NICCOLÒ da Cusa (Cusano)
Nacque tra l'11 agosto 1400 e il 1° agosto 1401 nel villaggio di Cues (Treviri) presso la Mosella. Era figlio del battelliere benestante Henne Chrypffs (Krebs, "gambero"). Fu educato alla scuola dei Fratelli della vita comune a Deventer; nel 1416 entrò all'università di Heidelberg, nel 1417 passò a Padova ottenendovi, nel 1423, il titolo di doctor decretorum. Dopo una breve visita a Roma, dove udì predicare S. Bernardino da Siena, si recò nel 1425 a Colonia per intraprendere, in quella università, lo studio della filosofia e della teologia.
Nel 1426 un parere giuridico da lui redatto attrasse l'attenzione del cardinale Giovanni Orsini, allora legato papale in Germania, che lo assunse come segretario. In questa posizione acquistò presto un nome, come scopritore di preziosi manoscritti di autori classici, tra gli umanisti italiani (Guarino, Poggio, Niccoli, Piccolpasso). Più nota di tutte, la sua scoperta di un codice di Plauto (cod. Ursinus, oggi cod. vat. lat. 3870), che conteneva dodici commedie fino allora sconosciute.
Nel frattempo era provveduto di parecchi piccoli benefici nel territorio della sua diocesi natale e consacrato sacerdote. Come decano di S. Florino a Coblenza egli comparve nel 1432 al concilio di Basilea, per sostenervi, nel conflitto per la cattedra arcivescovile di Treviri, la candidatura del suo protettore, il conte di Manderscheid, contro il candidato di papa Martino V. Presto però intervenne nella grande lotta politica tra il concilio e il papa, dapprima parteggiando per il concilio contro la supremazia del papa, poi però - deluso nelle sue aspirazioni unitarie dal convegno della maggioranza conciliare che portava allo scisma - prendendo le parti di Eugenio IV. Come delegato del partito papale si reca nel 1437 a Costantinopoli per invitare l'imperatore e il patriarca di Bisanzio a partecipare al grande concilio che avrebbe dovuto portare all'unione della Chiesa greca con la romana. Riuscì a condurre, nell'anno seguente, l'imperatore Giovanni Paleologo e la parte eletta del clero bizantino (Bessarione) al concilio di Ferrara.
Dopo che il concilio di Basilea ebbe creato un antipapa, il compito di N. fu di conquistare per Eugenio IV i principi tedeschi, che si erano dichiarati neutrali. La sua instancabile attività politica dei successivi dieci anni, svolta attraverso trattative personali, discorsi alle diete dell'impero, manifesti politici, ha avuto una parte preminente nel definitivo riconoscimento di Eugenio IV da parte dei Tedeschi e quindi nella conclusione dello scisma. Nominato già da Eugenio arcidiacono di Brabante, fu elevato nel 1448 al cardinalato col titolo di S. Pietro in Vincoli (1449). Dopo il suo arrivo a Roma nel 1450, fu consacrato vescovo di Bressanone e ottenne da Niccolò V la missione di proclamare il giubileo in Germania e di accordare l'indulgenza, ma anche di "riformare le chiese, di estirpare gli abusi, di curare l'osservanza delle leggi canoniche, di rendere accetti a Dio il popolo e il clero".
Durante tutto l'anno seguente percorre la maggior parte dell'impero tedesco e i Paesi Bassi, predica in tutte le maggiori città che incontra sulla sua strada, da Vienna a Leida, tiene concilî provinciali, risolve conflitti politici, visita e riforma monasteri, nomina visitatori per i singoli distretti. Scende in campo contro la corruzione e il concubinato del clero, contro l'eccessiva adorazione delle immagini dei santi e le aberrazioni della superstizione (ad esempio contro i pellegrinaggi all'ostia sanguinante di Wilsnack). Cerca di elevare la cultura religiosa dei laici e di rendere accessibili agli analfabeti i più importanti comandamenti e le preghiere per mezzo di quadri che fa appendere nelle chiese. La sua meta è una universale reformatio delle istituzioni ecclesiastiche e quindi della vita religiosa.
Dopo il suo ingresso in Bressanone (1452) egli cerca di porre in atto nell'amministrazione della sua diocesi questi principî in forma esemplare. Urta contro molteplici resistenze del capitolo del duomo, ma soprattutto delle monache nobili di Sonnenburg. Esse chiamano in aiuto il duca Sigismondo del Tirolo, il quale - già precedentemente mal disposto - coglie l'occasione per immischiarsi nelle faccende della diocesi. Dopo un lungo conflitto, N. deve rifugiarsi, per garantirsi dalle truppe del duca e da attentati alla sua persona (1458) nel suo castello di Andraz nelle Dolomiti (Livinallongo). Obbedendo all'invito di Pio II, egli abbandona quel luogo per "reggere e riformare la città di Roma e lo Stato della Chiesa" in assenza del papa come suo vicario generale. Come governatore di Roma (1459) egli compone le liti delle famiglie nobili (Anguillara, Colonna, Savelli), mette in atto una serie di salutari misure amministrative (organizzazione della gendarmeria, incremento della produzione delle saline ecc.) e ottiene la pacificazione della città. Dopo che il papa si fu adoperato per un accordo col duca del Tirolo, N. ritorna a Bressanone (1460). Tuttavia la conciliazione non fu duratura; Sigismondo gli dichiara la guerra, lo assedia a Brunico e lo fa prigioniero. Egli deve abbandonare la sua diocesi; il papa lancia l'interdetto sul Tirolo, gli Svizzeri marciano contro il duca, ma N. trascorre i suoi ultimi anni, oscurati da queste lotte, a Roma e a Orvieto, lavora per una riforma della Chiesa e si occupa della raccolta delle sue opere. Nel viaggio verso Ancona, dove doveva raggiungere Pio II, muore nel palazzo vescovile di Todi (Umbria) l'11 agosto 1464. Fu sepolto a Roma in San Pietro in Vincoli.
Scrittti. - La produzione letteraria di N. è straordinariamente ricca. Se si prescinde da un gran numero di memoriali politici e discorsi, da una copiosa corrispondenza e da appunti e progetti non destinati al pubblico, l'opera sua che ci è conservata, può essere ripartita nel modo seguente:
Scritti di politica civile ed ecclesiastica. - Nel 1433 N. presentò al concilio di Basilea la sua prima grande opera, il De concordantia catholica, il programma cioè d'una radicale riforma dell'Impero e della Chiesa, in cui cerca di rinnovare, mercé l'armonia di questi due poteri, l'ordinamento della società cristiana. Il governo ecclesiastico e il secolare, nettamente separati nelle loro competenze, devono formare, come l'anima e il corpo, un tutto unitariamente pervaso dallo Spirito Santo. Le Epistolae ad Bohemos hanno lo scopo di ricondurre alla Chiesa gli ussiti. Nel dialogo De pace fidei (1453), sorto sotto l'impressione della conquista di Costantinopoli, egli riunisce i rappresentanti di tutte le nazioni e religioni sotto la presidenza del Logos divino e fa loro riconoscere che una fede unitaria sta a fondamento della diversità dei riti e dei culti e che, da questo punto di vista, le guerre di religione perdono il loro senso. La medesima fiducia nella possibilità d'un'intesa religiosa riempie la Cribratio Alchorani, in cui egli cerca di convincere il sultano, attraverso l'analisi del Corano, della superiorità del cristianesimo. Verso la fine della sua vita egli abbozza nella Reformatio generalis il piano d'una profonda riforma della curia romana.
Scritti filosofico-teologici. - La sua prima e fondamentale opera filosofica è il De docta ignorantia (terminata il 12 novembre 1440); i tre libri di questo scritto, dedicato al cardinale Giuliano Cesarini, trattano di Dio, dell'universo e di Cristo, termine di congiunzione tra l'universo e Dio. Il De coniecturis offre una vasta sistemazione delle forme del sapere concesse all'uomo. Gli scritti degli anni intermedî (De filiatione Dei, De quaerendo Deum, De dato patris luminum, De genesi, 1445-47) esaminano il rapporto fra Creatore e creatura e l'ascesa dell'uomo a Dio. Nell'Apologia doctae ignorantiae (1449), composta secondo il modello d'un dialogo platonico, N. respinge un violento attacco del rettore dell'università di Heidelberg, che aveva definito un'eresia panteistica la dottrina della Docta ignorantia. Nei tre primi libri dell'Idiota (composto nel 1450 a Rieti e nei dintorni di Fabriano) egli fa intervenire un semplice laico, non guastato da nessun genere di erudizione, a istruire il più celebre oratore e il maggiore filosofo del tempo sulla via della sapienza e sulla natura dello spirito. (Il primo libro, De sapientia, fu adoperato in seguito per la falsificazione di uno scritto De vera sapientia, che fu attribuito al Petrarca e accolto in tutte le edizioni complete delle opere latine del poeta). Al periodo di Bressanone appartiene lo scritto De visione Dei (1453), un'invocazione, a forma di inno, dell'anima anelante a Dio. Il problema della conoscenza di Dio sta al centro delle opere degli anni più tardi: De beryllo (1458); De possest (1460) e De non aliud (1462), nelle quali cerca di racchiudere l'essenza di Dio in formule, che con la loro paradossalità devono mostrare il carattere sovrarazionale della divinità. Verso la fine della sua vità egli espone nel De ludo globi una grandiosa teoria dell'universo e della posizione del "libero e nobile" uomo nel cosmo. Infine riunisce in parecchi compendî la sua dottrina (De venatione sapientiae, Compendium, De apice theoriae, Directio speculantis).
Scritti scientifico-matematici. - La correzione del calendario, Reparatio Kalendarii (1436), senza effetto sul concilio di Basilea, ebbe in seguito un'influenza decisiva sulla riforma gregoriana. Il metodo sperimentale del 4° libro dell'Idiota, De staticis experimentis, le cui esperienze con la bilancia portano alla scoperta dell'igrometro, diede, ai fisici delle generazioni successive, gli spunti più duraturi. Per i geografi fu importante la carta geografica che risale a lui, la prima carta moderna dell'Europa media e orientale. I numerosi scritti matematici si aggirano intorno al problema della quadratura del cerchio e dell'arcuazione della retta; per la rettificazione della circonferenza propose un metodo che concettualmente s'identifica con il metodo moderno degl'isoperimetri. In un'opera ancora inedita De quadratura circuli si trova per la prima volta il riconoscimento che, considerata dal punto di vista di un rigido concetto dell'uguaglianza, la quadratura del cerchio è impossibile.
Prediche. - Le prediche che ci sono conservate (parecchie centinaia) sono anche in gran parte d'interesse filosofico; finora sono state pubblicate soltanto sommariamente.
Dottrina. - La verità è qualcosa d'assoluto, unitario, infinito; ogni conoscenza umana invece è relativa, molteplice, limitata. Così la ragione umana non è capace, per la sua natura, di cogliere con precisione la verità. Ogni conoscenza è solamente un'approssimazione, ogni scienza soltanto coniectura. Per pervenire alla conoscenza dell'inconoscibilità di Dio c'è una sapiente ignoranza (docta ignorantia). Questa dottrina non va interpretata come uno scetticismo: il sapere che ogni conoscenza può essere sostituita da una ancora più precisa, deve agire non paralizzando, ma spronando: è compito dello spirito umano di avvicinarsi sempre più alla verità infinita, con la piena consapevolezza dell'impossibilità di raggiungerla appieno. Però il pensiero razionale (ratio), che è sottoposto al principio di contraddizione, deve fallire in questo processo dell'infinito avvicinamento. Esso è bensì superiore alla percezione sensibile (sensus) in quanto è in grado di raccogliere la moltitudine delle impressioni isolate nell'unità del concetto; tuttavia, nella sua inettitudine a pensare contraddizioni, esso è inadatto alla conoscenza di Dio. Perché nell'infinità di Dio coincidono tutte le opposizioni (coincidentia oppositorum). Al di là di tutte le contrapposizioni dell'intelletto finito, Dio è nello stesso tempo un massimo infinito e un minimo infinito, potenza infinita e atto infinito. Alla natura di Dio si avvicina perciò di più la suprema virtù dello spirito (intelligentia), che può sollevarsi, mercé una intuizione pura, al di sopra di tutte le antitesi vigenti nella sfera della ragione. Nella sua infinita semplicità Dio contiene in sé la molteplicità delle cose (complicatio), egli è in tutte le cose, come forma eterna che dà alla loro natura l'essere. Ciò non va inteso in senso panteistico: Creatore e creatura vanno sempre tenuti distintamente separati. Di speciale importanza per l'età successiva (Bruno) sono le dottrine dell'universo, che può essere definito come "Dio creato", del moto della terra, superamento teorico del sistema geocentrico, della relatività d'ogni movimento, che diventa decisiva per lo sviluppo della concezione fisica dell'universo. Dio, che ha creato il mondo per bontà, ha dovunque offerto appigli allo spirito pensante affinché si avvicinasse al mistero della sua natura; N. considera come un simbolo particolarmente idoneo la matematica, che ottiene nella sua filosofia un posto eminente come mezzo ausiliario per la conoscenza di Dio. Per la filosofia della civiltà è importante la giustificazione data da N. della diversità degl'individui e delle lingue. Il nuovo significato, che ottiene l'esistenza individuale nella filosofia di N., conduce alla prima sistematica formulazione del concetto, decisivo per il pensiero dell'età moderna, della personalità umana, che ha la libertà della scelta del suo proprio destino.
Mercé una lettura sconfinata, N. si era assimilato tutto il sapere del suo tempo e nel corso della sua formazione si era rese familiari tutte le correnti della filosofia e della teologia del Medioevo, tanto la tradizione mistica quanto la nominalistica, la neoplatonica come l'averroistica; senza impegnarsi con nessuna scuola, trasse elementi da tutte (soprattutto ha subito l'influenza di Agostino, Proclo, Teodorico di Chartres, R. Lullo, Maestro Eckhart) e li unì in un'ultima grande sintesi della sapienza medievale, che nello stesso tempo costituisce - mercé l'impiego dinamico del concetto d'infinito e la sua dottrina della libera personalità umana - l'inizio del patrimonio ideale dell'età moderna. Naturalmente, la sua influenza sull'età successiva è straordinariamente forte; nella storia delle scienze si ravvisano tracce della sua opera nella geografia, matematica, fisica, cosmologia (Kepler). Al suo incitamento si deve l'emigrazione dei primi stampatori in Italia. Grande e molteplice è l'efficacia della sua filosofia, che pone in luogo d'un tranquillo e sicuro possesso della verità, un'incessante ricerca verso una meta infinita e insegna a considerare la logica aristotelica come un inadeguato strumento; in Germania dall'umanesimo fino alla monadologia del Leibniz; in Francia su Lefèvre d'Étaples, Bovillus, la cerchia di Margherita di Navarra; in Italia, alla quale era legato attraverso numerosi amici (Toscanelli) e discepoli (Giovanni Andrea de Bussi), su Leonardo e Campanella e soprattutto su Giordano Bruno: "uno de' particolarissimi ingegni, ch'abbiano spirato sotto questa aria" è per lui "il divino Cusano".
Edizioni: La prima edizione del maggior numero delle opere fu pubblicata nel 1488 a Strasburgo. Il marchese Rolando Pallavicini fece fare nel 1502 una ristampa di questa edizione, probabilmente nel suo castello di Cortemaggiore. Di gran lunga più completa è l'edizione di Lefèvre d'Étaples, Parigi 1514. Una ristampa di questa edizione, con l'aggiunta di alcuni scritti matematici minori, fu fatta a Basilea nel 1565. Per incarico dell'Accademia delle scienze di Heidelberg è in corso un'edizione critica degli scritti di filosofia e di teoria dello stato; sono stati pubblicati finora due volumi (I: De docta ignorantia; II: Apologia doctae ignorantiae, Lipsia 1932). In italiano è tradotta La dotta ignoranza a cura di P. Rotta, Milano 1927.
Bibl.: La migliore monografia è sempre ancora l'opera di E. Vansteeberghe, Le Cardinal Nicolas de Cues, Parigi 1920: vi è riportata un'ampia bibliografia. Deriva da essa P. Rotta, Il cardinale N. da C. La vita ed il pensiero, Milano 1929. Vanno inoltre ricordati: E. Cassirer, Individuum und Kosmos in der Philosophie der Renaissance, Lipsia 1927; E. Hoffmann, Das Universum des Nikolaus von Cues, Heidelberg 1930; M. Losacco, La dialettica del Cusano, (Rendiconti d. Acc. naz. dei Lincei), Roma 1928; R. Klibansky, Ein Proklos-Fund u. seine Bedeutung, Heidelberg 1929; A. Hermet, Cusano, Milano 1927; P. Duhem, Léonard de Vinci, ceux qu'il a lus, ceux qui l'ont lu, II, Parigi 1909. Utile ancora F. Fiorentino, Il risorgimento filosofico del Quattrocento, Napoli 1885.