NICCOLO da Borbona
NICCOLÒ (Cola) da Borbona. – Nacque sul finire del secolo XIV o agli inizi del secolo successivo a Borbona, o da famiglia originaria di Borbona, località ai confini del Regno di Napoli, tra L’Aquila, Rieti e Amatrice.
Compare con certezza solo come autore di una vita in rime di s. Bernardino da Siena, scritta fra il 1450 e il 1456 (secondo De Matteis) o nel corso del 1459 (secondo Colapietra). Da quest’opera, dal carattere chiaramente agiografico e destinata alla recitazione in pubblico, si desume che nel 1426 fu testimone della guarigione di una bambina da parte di Bernardino a Rieti e che fu presente, probabilmente, a Cittaducale all'annuncio fatto da Bernardino dell'imminenza della propria morte, poi avvenuta il 20 maggio 1444 all'Aquila, dove il frate senese fu immediatamente fatto oggetto di culto e dove Niccolò probabilmente rimase.
Secondo una consolidata tradizione storiografica, fu autore di una cronaca aquilana in prosa volgare, pubblicata nel 1742 da Antonio Antinori nelle Antiquitates Italicae Medii Aevi di L.A. Muratori (VI, coll. 852-880), con il titolo Cronaca di Niccolò di Borbona. Delle cose dell’Aquila, dall’anno 1363 all’anno 1424. Il testimone della cronaca utilizzato da Antinori, trascritto sul finire del secolo XV da un altro cronista aquilano, Francesco d’Angeluccio, non è più reperibile e non recava, comunque, il nome dell’autore del testo cronachistico. Due ragioni portarono il primo editore ad attribuire la cronaca a Niccolò: la presenza nello stesso manoscritto del poemetto dedicato a s. Bernardino, sicuramente ascrivibile a lui grazie ai versi «Per Dio credate a mine / a Cola de Borbona che l’ha rimata», e l’invocazione a s. Nicola di Bari che apre il testo cronachistico e che si giustificherebbe solo se messa in relazione con il nome del cronista.
La cronaca registra le principali vicende cittadine dal 1363, anno della morte di Buccio di Ranallo e della fine della sua narrazione in rima degli eventi aquilani, e presta una particolare attenzione per i fatti di carattere politico-militare e per le calamità naturali, senza evidenti interventi del cronista, se si escludono rari giudizi etici e alcuni apparenti tentativi di esaltazione delle virtù civiche aquilane; s’interrompe con la meticolosa narrazione della grande battaglia contro Braccio da Montone, la sconfitta e la morte del condottiero umbro alle porte dell’Aquila e la fine del suo disegno egemonico (1423-24), fatti avvenuti, secondo l'autore, molti anni prima della stesura dell’opera, il che fa supporre che la narrazione si sia interrotta con la morte repentina del cronista: non si comprenderebbe altrimenti la ragione di una cesura intervenuta proprio nel momento in cui l’autore avrebbe potuto raccontare fatti di cui era direttamente informato. Il frequente ricorso al pronome «nui» per indicare la comunità aquilana e agli aggettivi «nostro» e «nostra», riferiti rispettivamente all’esercito o al popolo aquilano e alla città, lascia intendere che l’autore, se si accetta l’attribuzione antinoriana, nonostante l’origine da una località confinante con il contado aquilano, fosse perfettamente integrato nella comunità cittadina.
Dopo un primo tentativo di identificare Niccolò con un francescano, per i toni e i temi del gruppo di liriche a lui attribuito (De Bartholomaeis, 1933, p. 63), si è propensi a crederlo laico, probabilmente un cantastorie, vissuto all’Aquila ma originario di Borbona per nascita propria o paterna; proprio la sua condizione sociale spiegherebbe «il totale silenzio che circonda la sua figura» (De Matteis, 2011, p. 59), un silenzio particolarmente strano se si considera l’ampia circolazione della cronaca, conosciuta e ripresa da quasi tutti i cronisti aquilani successivi.
A Niccolò di Borbona sono attribuite anche altre opere in rima, scritte nella seconda metà del secolo XV e apparentemente destinate alla recitazione in pubblico: con maggiore probabilità un poemetto mutilo su Giovanni da Capestrano; non senza perplessità la Laude de mortalitate, legata a una delle epidemie che colpirono L’Aquila dopo la metà del Quattrocento (1456, 1463, 1478); una laude dedicata ai quattro predicatori dell’Osservanza che avevano operato all’Aquila intorno alla metà del secolo (Bernardino da Siena, Giovanni da Capestrano, Giacomo della Marca e Roberto Caracciolo da Lecce) affinché offrissero riparo dalla peste che infuriava in città; la Laude della pace contro le lotte intestine; la Laude della morte; la Laude de Aquila sulle discordie che laceravano la città, nella quale si può leggere un probabile riferimento al terremoto del 1461. Di dubbia attribuzione restano, invece, la Laude alla Vergine Maria, la Laude della donna e la Laude intorno a Jesu.
Particolarmente importante appare l’ultima strofa della poesia dedicata a s. Giovanni da Capestrano, che presuppone un pubblico di ascoltatori ed è, pertanto, tipica del discorso orale; il che sembra confermare, insieme con altri elementi stilistici (metrica approssimativa, sintassi elementare, lessico ripetitivo), l’identificazione dell’autore con un giullare o cantastorie che partecipa agli eventi che coinvolgono la città in cui vive e ne trae temi religiosi o civili per le sue opere in rima, al punto che lo si può immaginare nel 1459 come uno strumento della propaganda, sobillata dai Camponeschi, favorevole al pretendente Renato d’Angiò e contraria a Ferrante d’Aragona, riconoscibile nel «rigitelio» che, secondo le rime dello stesso Niccolò, avrebbe dileggiato L’Aquila (Colapietra, 1984, p. 188).
Recentemente Carlo De Matteis ha avanzato, con molte precauzioni, l’ipotesi che al cantastorie di Borbona possa essere attribuito anche un poema sulla guerra aquilana di Braccio da Montone (La guerra dell’Aquila, p. XXI), erroneamente attribuito a Nicola Ciminello e correttamente considerato anonimo dalla critica più avveduta.
La morte di Niccolò può essere collocata verso la fine del secolo XV, probabilmente prima del 1488, poiché non è registrata nella numerazione dei fuochi del 1508 che riporta i nomi dei morti dopo la numerazione precedente, risalente appunto al 1488, ed è improbabile che in età avanzata egli abbia lasciato la città abruzzese per morire altrove.
La sua opera è pubblicata in Rime e Cronaca, a cura di C. De Matteis e V. Di Flavio, Borbona 2006.
Fonti e Bibl.: V. De Bartholomaeis, N. rimatore, in Convegno storico abruzzese-molisano. Atti e memorie…, Roma…1931 , I, Casalbordino 1933, pp. 59 s., 63 s., 67-71; Id., La leggenda di s. Bernardino da Siena di N. da B., in Bullettino della R. Deputazione abruzzese di storia patria, XXV (1934), pp. 7-12, 16, 18 s., 35 s.; E. Giammarco, Storia della cultura e della letteratura abruzzese, Roma 1969, pp. 61, 66 s., 90; R. Colapietra, Dal Magnanimo a Masaniello, Salerno 1972, pp. 335-339, 348-350, 365; C. De Matteis, «De Sancto Bernardino» di Cola da Borbona, in Atti del Convegno storico bernardiniano in occasione del sesto centenario della nascita di s. Bernardino da Siena…,1980, L’Aquila 1982, pp. 189-197, 202, 206 s., 209, 212, 217, 220; R. Colapietra, Spiritualità, coscienza civile e mentalità collettiva nella storia dell’Aquila, L’Aquila 1984, ad ind.; La guerra dell’Aquila. Cantare anonimo del XV secolo, a cura di C. De Matteis, L’Aquila 1996, pp. XII, XVI-XVIII, XX s.; M.R. Berardi, I monti d’oro. Identità urbana e conflitti territoriali nella storia dell’Aquila medievale, Napoli 2005, pp. 20, 33, 57, 97, 131, 169 s.; C. De Matteis, Quattrocento letterario aquilano. Restauri e recuperi, Roma 2011, ad ind.