NICCOLO cieco
NICCOLÒ cieco. – Non è nota la data di nascita di questo poeta e cantore volgare del XIV secolo, di cui si contendono i natali Firenze e Arezzo, senza che si disponga di sufficienti elementi per risolvere la questione, perché nelle fonti le due città si alternano regolarmente. L’appellativo «cieco» deriva dalla sua condizione di non vedente («Lumine caret, nec unquam vidit»: Archivio di Stato di Perugia, Annales decemvirales, 8 ottobre 1432, c. 61), confermata da molte testimonianze, tra cui quella del copista Piero di Giovanni nella rubrica iniziale di Guerino Meschino (Firenze, Biblioteca nazionale, Conventi soppressi, C.1.720).
Soggiornò in diverse città italiane: nel secondo decennio del secolo si trovava forse a Venezia, avendo dedicato un ternario alla Repubblica nel 1425; due anni dopo si trasferì presso la corte pontificia. Al periodo romano appartengono il capitolo composto «in commendazione di papa Martino» per le nozze del nipote Antonio Colonna e il ternario Ave, padre santissimo, salve ave, in onore del successore Eugenio IV (Ibid., Magl., VII. 1201, cc. 22r, 25r).
Secondo lo studio di Adamo Rossi sui canterini del Quattrocento (1874) l’8 ottobre 1432 fu assunto come cantore «ad servitia comunis perusij pro uno anno». Nel contratto, il Comune si fece carico delle spese per una guida che lo accompagnasse. Non è conservata la produzione di questo soggiorno, a eccezione del ternario Un nuovo monarca inclito e vero, del 1433 e dedicato all’imperatore Sigismondo in visita a Perugia. Nella seconda parte dell’anno tornò a Roma, dove compose la canzone «contro l’ingratitudine», datata in molti codici 1433. Non dovette fermarsi a lungo nella capitale, visto che nel 1435 si trovava già a Siena, come attestato dalla rubrica della canzone Magnanimo signor, per quello amore (ibid., 1201), componimento non di attribuzione certa, essendo conteso a Niccolò da Giusto de’ Conti.
Negli ultimi mesi di quell'anno si spostò a Firenze, ospitato da Michele Del Giogante, e fu in quel periodo che raggiunse l’apice della notorietà per la sua particolare bravura nell’arte dell’improvvisazione, dimostrata cantando la domenica in piazza S. Martino. Il successo è testimoniato dal cospicuo numero di manoscritti che riportano i suoi testi, trascritti molto spesso dagli stessi spettatori per conservarne memoria. Al 1435 appartengono il sonetto Perché s’apparecchiavano a fare festa, composto il 6 novembre per i capitani della Compagnia de’ magi, e i testi per Francesco Sforza, in visita a Firenze nel novembre dello stesso anno. Godette di grande ammirazione anche presso i colleghi, come testimoniano i sonetti dedicatigli da Anselmo Calderoni e Alessandro Braccesi. Anche Giovanni Pontano lo nomina nel De fortitudine, nel capitolo De caecitate et malis aliis corporis insieme ad altri nomi celebri di non vedenti.
Del Giogante restò particolarmente affascinato dalle straordinarie tecniche mnemoniche dell’amico, tanto che decise di trascriverle ne L’arte della memoria. In realtà non è ancora ben chiaro se Niccolò si sia limitato a dare solo uno spunto generale o se abbia invece dettato il trattato.
Dopo il soggiorno fiorentino si perdono completamente le sue tracce. Non morì però prima del 1440, avendo inviato un testo di consolazione a Cosimo de' Medici per la morte del fratello (il componimento fu attribuito a Niccolò Tinucci da Casotti, ma cinque codici, tra cui l’Isoldiano, ne confermano l'appartenenza a Niccolò).
La sua produzione dovette essere notevolmente più vasta di quella pervenuta. Molto si è probabilmente perduto a causa del carattere orale della sua poesia e della sua ritrosia a far mettere per scritto le sue opere, tanto che lo stesso Del Giogante gli inviò tre ottave di scuse per aver trascritto alcuni versi (Bacci, 1906, pp. 101 s.). Amos Parducci (1913) ha ipotizzato, pur con molte riserve, che possa attribuirsi a Niccolò cieco il poemetto anonimo Istoria di Susanna e Daniello, tesi fondata principalmente sulla lingua toscana meridionale del testo, sullo stile raffinato e sulla ricchezza del linguaggio, che secondo l’editore sono opera di un cantastorie molto abile, come pochi altri oltre a Niccolò, del quale è inoltre noto che recitò molte sacras historias in volgare. Un sonetto di Niccolò fu trascritto da G.M. Crescimbeni, Istoria della volgar poesia, III, Venezia 1730-31, p. 250.
Fonti e Bibl.: Due canzoni morali di maestro N. da Firenze, Faenza 1845; F. Bonaini, Tre lettere di Sigismondo imperatore ai Perugini, 1849 (estratto da Appendice all’Archivio storico italiano, n. 24, app. 7, pp. 431 ss.); Due poesie inedite di maestro N. di Arezzo, a cura di F.M. Mignanti, Roma 1858; Due canzoni inedite di maestro N. da Firenze, a cura di N.M. Fruscella, Firenze 1867; A. Rossi, Memorie di musica civile in Perugia nei secoli XIV e XV, in Giornale di erudizione artistica, III (1874), 5, pp. 129-52; Versi di N. aretino editi da Oreste Gamurrini per le fauste nozze del signore Alessandro Norsa con la signora Mariannina Conti, Firenze 1878; A. D’Ancona, I canterini dell’antico comune di Perugia, in Varietà storiche e letterarie, Milano 1883, pp. 39-73; Poesie inedite di N. da Firenze pubblicate ed illustrate per cura di L. Lenzotti, Modena 1887; F. Flamini, La lirica toscana del rinascimento anteriore ai tempi del Magnifico in Annali della regia scuola normale superiore di Pisa, 1891, pp. 107, 138 s., 177-186, 189 s.; O. Bacci, Un trattatello mnemonico di Michele del Giogante, in Prosa e prosatori, Milano-Palermo-Napoli 1906, pp. 95-138; La "Istoria di Susanna e Daniello", poemetto popolare italiano antico, a cura di A. Parducci, in Romania, XLII (1913), 165, pp. 34-75; Rime del Codice Isoldiano, a cura di L. Frati, Bologna 1913; Lirici toscani del Quattrocento, a cura di A. Lanza, I-II, Roma 1973-75, pp. 169-213.