CICERCHIA, Niccolò
Nacque, probabilmente la Siena, da Mino, in un anno che secondo il Varanini dovrebbe contarsi tra il 1335 e il 1340. Sconosciuti, o quantomeno malnoti, sono gli altri dati della sua biografia.
La famiglia dei Cicerchia era della piccola nobiltà comunale senese. Il padre del C. apparteneva alla Compagnia dei disciplinati della Madonna, che teneva le sue riunioni nello spedale di S. Maria della Scala in Siena. Un "Franciscus Mini Cicierchis", che seppure molto più giovane è stato supposto fratello del C., fu tra i provveditori di Biccherna nel 1429; così come è stato identificato per un altro probabile fratello di Niccolò il Giovanni Cicerchia che troviamo podestà di Grosseto nel 1419.
L'unico dato della biografia del C. che sia sicuramente attestato riguarda la sua presenza tra coloro che nel 1376 accompagnarono s. Caterina da Siena nella sua missione avignonese (Fawtier). Sebbene nel gruppo dei seguaci della santa (molti dei quali si contavano proprio tra gli iscritti della succitata Compagnia dei disCiplinati) il C. non dovesse costituire una figura di particolare rilievo - non si conservano lettere di Caterina a Aui indirizzate -, l'esperienza religiosa cateriniana rappresentò per il C. la premessa essenziale della sua attività di scrittore.
Morì non prima del 1376.
I due cantari di argomento religioso (la Passione e la Resurrezione)che la tradizione, per quanto prevalentemente anonima, attribuisce al C., rappresentano il contributo più concreto offerto dallo scrittore all'opera di propaganda religiosa legata al magistero catermiano e, più in generale, all'opera dei domenicani. La scelta della forma canterina, propria in modo esclusivo del racconto cavalleresco (questo genere vantava in Siena una tradizione ricca e articolata), permetteva allo scrittore di tradurre la materia evangelica nel linguaggio sperimentato di tanta letteratura amena, che - soprattutto negli strati popolari - godeva ancora di grande efficacia comunicativa. Il tentativo era parte dell'ampio disegno, messo in opera dai domenicani tra XIV e XV secolo, di delaicizzare ogni aspetto dell'esistenza umana in un'ottica religiosa essenzialmente antipauperistica, mirante a contemperare l'osservanza al magistero della Chiesa con le necessità politiche ed economiche delle emergenti, oligarchie borghesi. Del resto, che la scelta del C. debba leggersi come parte di un disegno generale più ampio è comprovato dal fatto che altri due scrittori senesi e cateriniani, Neri de' Pagliaresi e Felice da Massa, trasposero, analogamente a lui e proprio in quegli anni, la materia religiosa nelle forme canterine. Si può desumere da questo - e dal numero elevato di manoscritti che tramandano la Resurrezione e soprattutto la Passione - chegli ambienti in cui le opere del C. dovevano trovare la loro maggiore penetrazione fossero proprio le piccole comunità di estrazione e di cultura popolari, sia religiose sia domestiche, presso le quali i due testi, destinati forse a letture in comune, dovevano essere finalizzati ad un intento prevalentemente edificatorio. L'utilizzazione dei cantari del C. come opere di edificazione prima che come testi letterari spiega, d'altro canto, la costituzione di una tradizione poco attenta ai problemi della loro paternità, che ha proposto talvolta le attribuzioni più stravaganti: in un caso addirittura il Boccaccio.
I materiali utilizzati dal C., più che dagli Evangeli canonici, derivano da talune conipilazioni che nel Medioevo erano molto diffuse in tutta l'arca occidentale: le cosiddette armonie evangeliche (o"quatuor in unum"), che risalivano in vario modo alle Evangelicae harmoniae di Ammonio d'Alessandria, conosciute nella redazione latina dei VI secolo di Vittore da Capua. Ma l'opera che influenza più in profondità il C. sono forse le anonime Meditationes vitae Christi, anchesse un testo di grande fortuna, nato in area francescana alla fine del Duecento e volgarizzato in toscano nella prima metà del secolo successivo. Dalle Meditationes viene al C. un certo gusto del patetico e una tendenza alla umanizzazione delle figure più vicine al Cristo (Maria, la Maddalena), nel rispetto, dei resto, di una consuetudine comune a tutta la letteratura religiosa popolare e alla tradizione delle laudi segnatamente. Proprio in questi particolari si colgono i momenti più interessanti dell'arte del Cicerchia. È anchè degno di nota che il C., con le Meditationes, utilizzi un testo riato in ambito francescano adattandolo alle esigenze della spiritualità domenicana, con l'esclusione, ad esempio, dei temi legati alla povertà. Questo caso costituisce forse uno dei primi sintomi della tendenza che ha la cultura domenicana a riassorbire nell'ambito della piena ortodossia le punte meno eccentriche del pauperismo medievale, tendenza che troverà attuazione soprattutto nel corso del Quattrocento: sì pensi, per citare uno degli esempi più appariscenti, allo stravolgimento in senso domenicano di una figura così legata ai movimenti pauperistici come quella di Giovanni Colombini, di cui sarà responsabile in pieno XV secolo Feo Belcari.
La Passione, a ragione iI più fortunato dei due cantari del C., che il ms. I.VI.11 della Bibl. com. degli Intronati di Siena assegna al 1364, oltre a rappresentare nel suo particolarissimo genere un esempio letterario pressoché unico, è anche un prezioso documento, proprio per la straordinaria fortuna che ha incontrato anche fuori di Toscana, dei modi in cui la pietà popolare ancora nel corso del Trecento amava atteggiarsi. Protagonista del cantare, più che restare come nel racconto evangelico la figura del Cristo, diviene la Madonna. Ad essa il linguaggio canterino presta in modo umanissimo e suggestivamente popolare quelle reazioni psicologiche eccessive che erano la caratteristica del sentire dei personaggi cavallereschi. Di grande efficacia anche la rappresentazione della Maddalena, quasi una comprimaria nell'opera, il cui sconforto per la morte di Gesù non esclude i toni di una morbida e dolente sensualità.
La Passione e la Resurrezione si leggono nell'ottima edizione critica che ne ha curato il Varanini (Cantari religiosi senesi del Trecento, a cura di G. Varanini, Bari 1965, pp. 307-447, 537-606, cui si può far riferimento anche per le fonti della biografia del Cicerchia).
Bibl.: Sull'edizione del Varanini, si vedano A. Balduino, Per il testo della "Fanciullezza di Gesù" di fra Felice Tancredi da Massa, in Lettere ital., XVII(1965), pp. 333-47; A. Limentani, recens. a Varanini, cit., in Giorn. stor. della lett. stal., CXLII (1965), pp. 429-34; e la replica di G. Varanini, Alcune osservaz. su due recenti scritti dedicati di "Cantari religiosi senesi del Trecento"in Lettere italiane, XIX(1967). pp. 103-20. Si vedano inoltre: R. Fornaciari, Il poemetto popolare italiano nel sec. XIVe Antonio Pucci, in La Nuova Antologia, 5 genn. 1876, pp. 8 ss.; G. Grimaldi, Un rifacimento del poemetto sulla Passione attribuita a N. C., in Le Marche, V(1905), pp. 34-78; M. Catalano Tittrito, Ilpoemetto religioso nei secc. XIII e XIV, in Esercitazioni sulla letteratura religiosa in Italia nei secc. XIII e XIV, a c. di G. Mazzoni, Firenze 1908, p. 429; R. Fawtier, Sainte Catherine de Sienne, II, Paria 1930, pp. 107 s.; N. Sapegno, IlTrecento, Milano 1966, pp. 515 a. L. Cellucci, Le "Meditationes vitae Christi" e i poemetti che ne furono ispirati, in Archivum romanicum, XXII(1938), pp. 30-98; R. Ridolfi, Giunte e correzioni al Gesamtkatalog der Wiegendrucke, III, Cicerchia, Passione di Gesù Cristo, in La Bibliofilia, LXI(1959), pp. 233-42; Bibliografia della poesia popolare, I, La poesia religiosa. I cantari agiogr. e le rime d'argomento sacro, a cura di A. Cioni, Firenze 1963, pp. 32-35; A. Tartaro, Scrittori, devoti, in Letter. italiana. Storia e testi, a cura di C. Muscetta, II, 2, Bari 1972, pp. 508-12.