CEBÀ (Grimaldi), Niccolò
Nacque a Genova tra la fine del sec. XIV e l'inizio del XV, primogenito di Tommaso e Caterina Lomellini. Appartenente a una famiglia di antica nobiltà, di cui si anno notizie già nel sec. XII, dovette ricevere una buona educazione umanistica. Ancora giovane si trasferì in Oriente per esercitarvi la mercatura. Risiedette dapprima ad Adrianopoli, dove nel 1432 gli fu affidato il compito di tenere informata la Repubblica della situazione di Chio assediata dai Veneziani, e quindi nel sobborgo costantinopolitano di Pera, colonia genovese, che fu la base di partenza per i suoi numerosi viaggi nei paesi del Medio Oriente. Il successo nell'attività commerciale e la posizione di rilievo nella comunità genovese di Pera contribuirono a ritardare di parecchio il ritorno in patria del C., che resistette a lungo alle pressioni esercitate a questo riguardo da familiari ed amici. Ancora il 14 luglio 1443 l' amico Giacomo Bracelli lo rimproverava di trascorrere negli "ocia Perensia" il tempo che avrebbe potuto più utilmente dedicare allo Stato e alla famiglia. Soltanto qualche tempo dopo il C. si decise a ritornare in patria.
In una lettera di ringraziamento del doge Raffaele Adorno all'ammiraglio bizantino Luca Natara, datata 11 luglio 1446 ed avente per oggetto il buon trattamento riservato ai genovesi di Pera, si fa menzione della relazione "testé fatta" in proposito dal Cebà. È molto probabile che si trattasse di una relazione orale; comunque la presenza del C. a Genova poco tempo dopo è accertata dal discorso da lui tenuto, a nome della Comunità di Pera, il 15 marzo 1447 al doge e agli Anziani in favore di una modifica al sistema della tassa di successione, detta "gabella dei defunti". Il 25 ott. 1448 il C., insieme con i suoi fratelli, si ascrisse all'"albergo" Grimaldi, di cui assunse di conseguenza il prestigioso cognome. Nel 1453 il C. figurava tra i protettori delle Compere di S. Giorgio, ufficio dotato di giurisdizione sulla Corsica e le colonie. Questa sembra essere stata l'unica carica rivestita dal C., che si dimostrò sempre restio ad assumere responsabilità pubbliche e, negli anni successivi, preferì addirittura lasciare la sua città in preda a feroci lotte intestine. Viaggiò ancora molto, soggiornando tra l'altro a Firenze e a Nizza, dove godé del favore del duca Ludovico di Savoia. Sembra comunque probabile che egli abbia trascorso in patria i suoi ultimi anni.
Era ancora in vita il 1° nov. 1475, quando fu murata nella chiesa di S. Francesco d'Albaro una lapide, recante anche il suo nome, a ricordo dei lavori di restauro promossi dai fratelli Grimaldi "olim Ceba". Ignota è la data della sua morte.
Se nell'attività politica il C. non si distinse particolarmente, nel mondo della cultura quattrocentesca la sua figura spicca con maggior rilievo anche se di luce costantemente riflessa. Tra gli umanisti contò numerosi amici con cui intrattenne una fitta corrispondenza. Oltre che con il Bracelli, il C. fu in buoni rapporti con Ciriaco d'Ancona, da lui conosciuto ad Adrianopoli e con il quale aveva progettato nel 1431 un viaggio in Persia. Il programma non poté essere realizzato a causa dell'elezione di Eugenio IV, che spinse Ciriaco a far ritorno immediatamente in Italia. Anche Leonardo Bruni dichiarò in una lettera scritta verso il 1440 di apprezzare lo stile latino del C., immutato nonostante il lungo soggiorno in terra greca, e gli chiese di procurargli dei codici greci. Il personaggio sulle cui relazioni col C. siamo meglio a conoscenza è comunque il Filelfo, che lo conobbe a Costantinopoli. Le numerose lettere da lui indirizzate al C. ci informano del duplice aspetto del carattere di quest'ultimo, sempre diviso tra affari e cultura, di una certa sua avarizia ed anchedella morte, avvenuta alla fine del 1453 o nei primi giorni del 1454, della moglie Maria Spinola, che gli aveva dato, quattro figli. In quell'occasione il vecchio amico lo consigliò di risposarsi, ma non sembra che il C. sia mai passato a seconde nozze. Il Filelfo gli dedicò anche una nota satira (IX, 10) sui cattivi costumi di Genova. Non ci restano opere del C., che probabilmente non arrivò a portarne a compimento alcuna. Ancora dal Filelfo sappiamo soltanto che stava scrivendo "turco-byzantias res", un argomento, su cui la sua lunga esperienza orientale doveva fornirgli un'ottima informazione.
Fonti e Bibl.: Lo studio più completo sul C. è costituito dagli articoli pubblicati da L. T. Belgrano, sotto lo pseudonimo di Giovanni Scriba, sul Caffaro, XII(1886), nn. 57, 58, 60. Cfr. inoltre su di lui: F. Filelfo, Epistolarum libri XXXVII, Venetiis 1502, pp. 31r, 42v, 46v-47v, 62v, 64v, 66rv, 81r, 82r, 83r, 85r; Id., Satyrae, IX, 10, Venetiis 1502, pp. n.n.; Biondo Flavio, Italia illustrata, Venetiis 1510, p. 51v; Ch. de Longueil, Epistolarum libri, III,Basileae 1562, p. 223; L. Bruni, Epistolarum libri, IX,a cura di L. Mehus, II, Florentiae 1741, pp. 147-149; Novelle letterarie, II(1741), col. 547; F. Scalamonti, Vita di Ciriaco Anconitano, in G. Colucci, Delle antichità picene, XV,Fermo 1792, pp. XXXI, LXXXII, LXXXIV; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VI,Milano 1824, pp. 275 s.; G. B. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, III,Genova 1825, p. 396; F. Gabotto, A proposito di una poesia inedita di Giovan Mario Filelfo a Tommaso Campofregoso, in Atti della Società ligure di storia patria, XIX(1889), 3, pp. 493-498; C. Braggio, G. Bracelli e l'umanesimo dei liguri al suo tempo, ibid., XXIII(1890), 1, pp. 28-39, 264-268; F. Gabotto, Un nuovo contr. alla storia dell'umanesimo ligure, ibid., XXIV(1891), 1, pp. 30-32, 75; R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne' secc. XIV e XV, I,Firenze 1905, p. 52; F. Beck, Studien zu Leonardo Bruni, in Abhandlungen zur mittleren und neueren Gesch., H. 36, Berlin-Leipzig 1912, p. 83; H. Baron, Leonardo Bruni Aretino. Humanistisch-philosoph. Schriften mit einer Chronologie seiner Werhe und Briefe, Leipzig-Berlin 1928, p. 215; G. Resta, Antonio Cassarino e le sue traduzioni di Plutarco e Platone, in Italia medioevale e umanistica, II(1959), p. 222 n. 4; G. Petti Balbi, Libri greci a Genova a metà del Quattrocento. ibid., XX(1977), pp. 277, 279. 292 n. 4.