BUONAIUTI (Bonaiuti), Niccolò
Nacque a Firenze, forse intorno al 1360, da Michele, che risulta iscritto all'arte della lana nel 1401; le uniche, frammentarie notizie che possediamo sulla sua vita sono quelle che si ricavano dai suoi scritti. Nulla conosciamo del periodo in cui visse a Firenze, fino ai primi anni del sec. XV, quando dovette lasciare la città natale. In una raccolta di lettere in esametri, di cui, come di tutte le altre opere del B., si conserva una copia autografa presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (cod. Basil. G 51), vi è un'epistola a Roberto de' Rossi (ff. 53-55) in cui egli dice di essere stato costretto all'esilio dalla povertà a cui lo aveva condotto un gravoso tributo impostogli durante la guerra che portò alla conquista di Pisa (1406); ridotto a condizione di servo, preferì servire cittadini stranieri che vivere a Firenze in tale stato. Da Firenze il B. si rifugiò a Roma dove trascorse quasi tutto il resto della sua vita: qui chiese di prendere gli ordini religiosi, forse per ottenere qualche prebenda, ma riuscì soltanto a essere accolto come custode di un chiostro.
Molto probabilmente in questi anni si dedicò alla stesura della sua opera più impegnativa, la Sancta Hierusalem, poema religioso in esametri diviso in dodici libri, ciascuno dei quali comprende otto canti (cod. Basil. G52).
In quasi tutti i canti il B. prende lo spunto da un ricordo della Bibbia, il Vecchio Testamento nei primi libri e il Nuovo negli ultimi, per scagliarsi con veemenza contro i molti vizi che corrompono l'umanità, dilungandosi allo stesso tempo nel ricordo di personaggi storici o mitologici che sono introdotti come "exempla" morali, generalmente per sottolineare la stoltezza umana e la severa punizione divina. Frequenti sono le invettive contro i principi e i potenti della terra ai quali si rimprovera di opprimere i sudditi più deboli e soprattutto di opporsi all'autorità della Chiesa, mentre dovrebbero sottomettersi alla volontà del papa; gli stessi sudditi, secondo il B., dovrebbero rifiutare obbedienza a tali sovrani. Così l'opera acquista, pur nella sua povertà culturale, un significato ideologico abbastanza pronunciato, ponendosi a difesa del primato gerarchico dell'autorità papale. Significative al riguardo sono le invettive, che ritorneranno anche in altre opere, contro quei prelati e sovrani che non riconoscono il pontefice di Roma, fomentando lo scisma che allora affliggeva l'Occidente: il poema si chiude proprio con un invito ai principi affinché non si lascino fuorviare dal clero scismatico. La polemica del B. non è rivolta però solamente contro quest'ultimo: anche agli ecclesiastici della Curia egli rinfaccia molte colpe, come la simonia.
Intanto l'instabile situazione di Roma sfociava nella conquista e nel saccheggio da parte di Ladislao di Durazzo: il B. fu preso dai soldati e spogliato perfino dei suoi libri. Ora di nuovo lo assillava la povertà, dalla quale del resto non si era mai liberato del tutto. Frequenti nelle lettere sono le suppliche del B. a vari membri della famiglia degli Adimari, soprattutto al cardinale Alamanno Adimari al quale si rivolge come ad un protettore, sia dopo la spoliazione subita dai soldati di Ladislao, sia quando le critiche rivolte al clero gli suscitarono contro ostilità e accuse per le quali, probabilmente, gli fu tolto anche l'incarico di custode. Si ridusse così ad una vera miseria, e addirittura a vivere di elemosina, se dobbiamo credere a quel che egli scrive a un amico, a cui dipinge a tinte crude la sua vita (cod. Basil. G 51, ff. 87-90).
Anche in quegli anni tuttavia continuò la stesura di altri poemi. In una lettera "de testamento librorum" (ibid., f.123rv) egli elenca, seguendo forse un ordine cronologico, le sue opere, che lasciò in eredità a Firenze ed alla basilica di S. Pietro: oltre alla Sancta Hierusalem, la Sancta Basilica (cod. Basil. G 53), poema in esametri in sei libri, ciascuno dei quali comprende sei canti che esaltano la religione e la missione della Chiesa; In figura paradisi de quattuor virtutibus e In figura Sancti Sepulcri (cod. Basil. G 54), due poemi in esametri, rispettivamente in quattro ed in sei libri: il primo esalta le quattro virtù cardinali, il secondo è una lunga invettiva contro i principi cristiani che non si preoccupano di liberare il S. Sepolcro, con ampi excursus nella storia antica e recente che riprendono la materia della Sancta Hierusalem, ed è chiuso da un caldo invito a Firenze perché si assuma il compito di scuotere dal torpore il mondo cristiano. In queste opere il B. dimostra una vena copiosa, ma la materia è sempre disorganica, a malapena tenuta insieme da artifici retorici: le invettive procedono con un tono concitato che vuol ricordare certe pagine dantesche, ma la monotona ripetizione degli schemi retorici genera piuttosto un discorso goffo e prolisso; il suo faticoso latino ignora il nuovo gusto umanistico, riproducendo sostantalmente quello medievale. Quando il B. scrisse il "testamento", non aveva completato la raccolta delle Epistolae, che spesso si soffermano su temi autobiografici, talvolta con più spontanea libertà, ma non con uno stile più sicuro. Notevole come documento, oltre a quelle citate, è l'epistola che invita Martino V, il papa eletto dal concilio di Costanza, a riportare la pace e lo splendore antico a Roma (cod. Basil. 51, ff. 75-81).
Tra gli ultimi componimenti è un lamento (ibid., ff. 136-37)per la morte del cardinal Adimari, avvenuta nel 1422; il B. morì probabilmente poco dopo, lasciando incompiuta la raccolta, come possono far supporre i fogli rimasti in bianco alla fine del manoscritto.
In ogni caso il "terminus ante quem" è indicato da una "computatio omnium Sacristie librorum", del luglio 1436, dove sono elencati già tutti e quattro i codici delle opere del B.: il fatto anzi che il nome dell'autore sia registrato in forma incerta ed errata lascia pensare che ormai egli fosse già dimenticato.
Bibl.: M. Poccianti, Catalogus scriptorum Florentinorum…, Florentiae 1589, sub voce N. Bonai, p. 136; sub voce N. Buonaiuti, p. 138; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 423; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2312 s.; Idelfonso di San Luigi, Proemio a Delizie degli eruditi toscani, VII, Firenze 1776, pp. XLIII-XLIV; G. Mercati, Codici latini Pico Grimani Pio..., Città del Vaticano 1938, pp. 151-154; V. Cian, La satira, I, Milano 1945, pp. 420-21; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Indices.