AMENTA, Niccolò
Nacque a Napoli il 18 ott. 1659 da Francesco e da Maddalena Troiano, ambedue di famiglia gentilizia. Intraprese gli studi di diritto, seguendo le orme paterne, in un momento di grande splendore della giurisprudenza napoletana; ma l'esercizio dell'avvocatura, nel quale fu danneggiato dalla debole costituzione fisica e da una cronica affezione agli occhi, non dovette procurargli grandi successi, se intendiamo bene certe velate osservazioni del suo primo biografo, il nipote G. Cito. L'inclinazione vera dell'A. era del resto verso le lettere e il teatro, e a queste passioni egli si dedicò quasi esclusivamente in età non più giovane, senza conseguire risultati eccezionalmente brillanti e originali, ma con un impegno e un entusiasmo non privi di dignità.
L'A. ebbe inizialmente interessi vari e compositi. Studiò lettere con Pompeo Sarnelli e Agnello di Napoli; ma la sua amicizia con Lionardo da Capua, una delle maggiori autorità di quel periodo a Napoli nel campo scientifico e ifiosofico, lo portò a frequentare ambienti dove la ricerca scientifica non disdegnava di mescolarsi al culto delle belle lettere. L'A. fece parte, come quasi tutti gli scrittori e storici del suo tempo, dell'Accademia degli Investiganti, la quale, pur essendo una istituzione a carattere scientifico, esercitò un certo influsso nel campo della letteratura, dove propugnava il buon gusto e l'italianità contro il seicentismo e il marinismo in specie. Un esempio tipico di questa contaminazione d'interessi fu la questione del rinnovamento scientifico, in cui l'A. prese posizione a favore del gassendismo (come il suo maestro ed amico Lionardo da Capua).
Un'eco di queste polemiche e una dipintura minuziosa delle persone e dei fatti del tempo si ha nella Vita di Lionardo da Capua,che l'A. compose per le Vite degli Arcadi illustri,II, Roma 1710 (altra edizione, Venezia [Napoli] 1710, ristampa integrale della mutilata precedente).
In letteratura, l'A. sostenne con intransigente fermezza la polemica contro il marinismo e il seicentismo, e fu purista nel campo linguistico, e strettamente tradizionalista nel campo della poesia e del teatro. Nel 1703 entrò a far parte della Colonia Sebezia, succursale napoletana dell'Arcadia, col nome pastorale di Pisandro Antiniano (fu iscritto anche all'Accademia degli Innominati di Bra e degli Inculti Agricoltori di Montalto).
L'occasione d'intervenire nel dibattito linguistico e letterario, allora particolarmente vivo, gli fu offerta dalla pubblicazione di un opuscolo, L'Eufrasio, dialogo in cui si discorre di alcuni difetti scoperti nelle opere di due poeti vicentini,Mantova 1708, nel quale costoro, che erano A. Marano e A. Bergamini, ribattevano sprezzantemente alle censure mosse ai loro versi da L. A. Muratori. L'A. replicò con una Lettera, dirizzata al P. Sebastiano Paohi, in difesa del Sig. L. A. Muratori,Napoli 1715, nella quale prendeva posizione a favore delle tesi sostenute dall'erudito modenese.
Con osservazioni spesso molto critiche l'A. ripubblicò nel 1717 a Napoli Il Torto e 'l Diritto del non si può, dato in giudizio sopra molte regole della lingua italiana, esaminato da Ferrante Longobardi [D. Bartoli], già apparso a Roma nel 1668: la posizione molto libera e disinvolta dello scrittore seicentista vi è fortemente censurata, come del resto in una lettera che l'A. indirizzò a proposito di tale opera all'Accademia della Crusca, ricevendone una lusinghiera e incoraggiante risposta. Infine, l'A. nutri l'ambizione di ridurre in un corpo organico la sua sapienza grammaticale e concepi una vastissima opera, di cui riuscì a condurre a termine soltanto la prima parte, pubblicata postuma da G. Cito col titolo Della lingua nobile d'Italia e del modo di leggiadramente scrivere in essa non che di perfetto parlare,Napoli 1723. Il Trabalza la giudica "la grammatica tipica con cui si concludeva questo periodo di predominio della Crusca"; vi è contenuta un'immensa quantità di riferimenti eruditi, di esempi di scrittori e di grammatici; ma lo spirito che l'ispira è arido e pedantesco.
Giudizi sulla letteratura passata e contemporanea costituiscono la materia di un'altra opera dell'A., I Rapporti di Parnaso,di cui peraltro apparve soltanto la prima parte (Napoli 1710). Il modello imitato è in questo caso I Ragguagli di Parnaso di T. Boccalini; ma il genio dell'A. è senza confronto minore. L'A. si pone in una posizione decisamente negativa nei confronti della letteratura del suo tempo; ma le opinioni espresse sono incerte e spesso còntraddittorie.
In poesia l'A. subì dapprima l'influenza del marinismo; poi, dopo le esperienze arcadiche e le polemiche puristiche, tornò alla più stretta osservanza del Petrarca. Versi dell'A. si trovano in Rime degli Arcadi,IV, Roma 1717, pp. 328-350,e in altre raccolte e scelte contemporanee.
La parte più vitale dell'attività dell'A. è quella teatrale. In questo campo l'A. convenne con quanti, in Italia e a Napoli, propugnavano la necessità di liberarsi dalla vuota magnificenza del teatro seicentesco e di tentare la strada della semplicità e della naturalezza. In particolare a Napoli il dilagare del dramma spagnoleggiante o italo-spagnolo, di cui erano stati i più grandi rappresentanti G. Pasca, R. Tarso, G. di Vito, C. Celano, ecc., con il suo gusto dell'esteriorità grandiosa, aveva prodotto sazietà e desiderio di rinnovamento. Due tra gli ingegni che più si adoperarono per estirpare il cattivo gusto spagnoleggiante dal teatro furono l'abate A. Belvedere e il nostro Amenta. Il primo esercitò la sua attività soprattutto nel campo della rappresentazione, organizzando una compagnia di filodrammatici e resuscitando opere, già da tempo soppiantate nella richiesta del pubblico dal dramma spagnoleggiante e dalla commedia musicale, come l'Aminta del Tasso, pastorali del sec. XVI, commedie italiane regolari; l'A. organizzò anche lui una compagnia fflodrammatica, nella quale non disdegnava egli stesso d'interpretare le parti buffe, ma diede il meglio di sé nella composizione di commedie, rinnovate secondo criteri che vedremo. L'A. si dimostrò d'un rigore maggiore del Belvedere, poiché, mirando al rinnovamento anche della dizione e dello stile, egli coinvolgeva in un'unica condanna, accanto al dramma spagnoleggiante, anche l'opera di un D'Isa e d'altri della stessa scuola, che invece il Belvedere aveva continuato a portare sulle scene; e scelse quasi come unica fonte d'ispirazione la commedia toscana del sec. XVI, coerente anche in questo con la sua solita posizione tradizionalista.
Le commedie dell'A. sono: La Gostanza,Napoli 1699 (altre ed.: ibid. 165, ibid. 1722); Il Forca,Venezia 1700 (altra ed., Napoli 1735); La Fante,Napoli 1501; La Somiglianza,Venezia 1706 (altra ed., Napoli 1706); La Carlotta,Venezia 1708 (altra ed., Napoli 1726); La Giustina,Napoli 1717 (altra ed., Venezia 1721); Le Gemelle,Venezia 1718 (altra ed., Napoli 1722). Tutta la sua opera comica fu ristampata in Commedie,Napoli 1750-53, voll. 3. È stato osservato giustamente (Zagaria) che la parte più riuscita ed interessante della riforma comica dell'A, è quella negativa, cioè il rifiuto che egli opera nei confronti di certi aspetti della commedia seicentesca.
La riforma dell'A., nondimeno, si presenta sostanzialmente come un anacronismo, gravato per di più dalle complicazioni e dalle fisime erudite e puristiche di uno spirito pedantesco. L'imitazione, che l'A. opera sui modelli cinquecenteschi, è spesso letterale, e tale comunque da porsi come un limite fortissimo alle stesse buone intenzioni dello scrittore: la commedia La Somiglianza deriva direttamente dalla famosa Gli Ingannati degli "Intronati" di Siena; La Fante dalla Fantesca del Della Porta; La Carlotta dall'Interesse di Niccolò Secchi di Brescia; e così via.
Il fiorentinismo letterario e pedantesco di queste commedie suscitò già a suo tempo la reazione di G. Gigli, che nel suo Vocabolario Cateriniano gratifica l'A. del titolo di "curialetto imboccaccito",smanioso "d'imbrodolarsi nella chiavica del Mercato Vecchio fiorentino",per aver così male travestite per la scena "l'eccellenti commedie intronatiche, ed altre toscane" (ne nacque tra i due una contesa, nella quale s'introdusse come paciere L. A. Muratori). Certo è che gli orditi delle commedie dell'A. sono gli stessi che si ritrovano così frequentemente nell'abbondante produzione comica erudita del Cinquecento: con in più il tanfo della biblioteca e delle vecchie carte, in mezzo alle quali egli li costruiva, lontano da ogni veritiera osservazione della realtà e dei costumi del suo tempo. Gli unici tratti gustosi e genuinamente comici di queste opere sono mvero da cercare in qualche spunto realistico o per lo meno ambientale: come ad esempio in quella figura del napoletano,presente nonostante tutto in quasi tutte le commedie dell'A., che lo scrittore sfronda dei caratteri più appariscenti e grossolani, lasciandole però quasi sempre una carica di vivace umorismo.
Il tentativo dell'A. viene ascritto tra i conati di riforma comica, che precedettero quella ben altrimenti importante del Goldoni; non c'è bisogno di dire che esso non ha in realtà niente a che fare con lo spirito dell'intrapresa goldoniana, alla quale può essere accostato semplicemente per un analogo senso d'insoddisfazione verso le esperienze precedenti, ma dalla quale lo allontana non solo la minore validità artistica, ma anche la direzione completamente opposta, nella quale esso si svolge.
Resta da far cenno d'un ultimo gruppo di opere, I Capitoli,pubblicati postumi (Napoli 1721),anch'essi sulla linea di una tradizione dotta, che è in questo caso quella della poesia giocosa del Berni, ma di una naturalezza e di una espressività, che non trovano riscontro in nessun'altra parte della produzione dell'Amenta.
Nel 1718 aveva cominciato un'altra opera, L'Arte di ben fare le commedie toscane,nella quale egli esponeva probabilmente i propri criteri intorno al problema della riforma teatrale contemporanea, che non sono altrimenti trattati in nessun altro suo scritto; ma di essa non fu trovata traccia.
L'A. morì a Napoli nel 1719.
Bibl.: Fondamentale per la conoscenza della vita e delle opere dell'A., R. Zagaria, Vita e opere di N. A.(1659-1719),Bari 1913, con bibi. precedente. Si cfr. anche: G. Cito, Vita di N. A.,di - cui esistono tre redazioni: la prima premessa al trattato Della lingua nobile d'Italia,Napoli 1723; la seconda apparsa a Napoli nel 1728; la terza premessa alle Commedie di N. A., Napoli 1750-53;N. Tommaseo, N. A., in E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri,VIII, Venezia 1836, pp.54s.; M. Scherillo, La prima commedia musicale a Venezia,in Giorn. stor. d. leuer. ital.,I (1883), pp.240-259; P. Fedele, N. A. e il teatro napoletano,Avellino 1897; I. Sanesi, G. Gigli e N. A.,in Bollett. senese di storia patria,XII (1905), pp. 27 ss.; V. Colavolpe, N. A. e le sue commedie,in Riv. d'Italia,XI (1908), vol. II, pp. 533-604;C. Trabalza, Storia della grammatica italiana,Milano 1908, pp. 339, 359 s.; G. Baretti, Prefazione alle Tragedie di Pier Cornelio, tradotte in versi italiani (1747-48), al Conte Demetrio Mocenigo Primo, in Prefazioni e polemiche, a cura di L. Piccioni, Bari 1911, pp. 49-50; B. Croce, I teatri di Napoli dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo,Bari 1947, pp. 130-132; Id., Saggi sulla letteratura italiana del Seicento,Bari 1948, pp. 281-282, 342; I. Sanesi, La Commedia,II, Milano s.d. [ma 1954],p. 1-4.