ALBERTINI, Niccolò (Niccolò da Prato)
Nacque a Prato verso il 1250 da modesta famiglia ghibellina (il cui cognome è indicato variamente, dagli studiosi, in Alberti, Ubertini, Levaldini, Martini o Cancellarii) ed entrò nell'Ordine domenicano verso il 1266 a S. Maria Novella in Firenze, ove ebbe forse, come suo primo maestro, Convenevole da Prato.
Recatosi a continuare i suoi studi a Parigi (ma non fu né baccelliere né maestro in teologia) fu poi inviato ad insegnare a Roma, nel convento di S. Maria sopra Minerva. Nel 1296 fu nominato procuratore generale dell'ordine presso la Curia romana e, l'anno seguente, eletto provinciale romano e istituito predicatore generale. Promosso, il 1° luglio 1299, da Bonifacio VIII al vescovado di Spoleto, immediatamente soggetto alla S. Sede, fu mandato per una legazione pacificatrice tra Filippo IV il Bello di Francia ed Edoardo I d'Inghilterra. Conobbe allora, nell'autunno del 1301, il re di Francia, dal quale cercò vanamente di ottenere la liberazione del vescovo di Pamiers, Bernardo Saisset, incarcerato per la sua obbedienza a Bonifacio VIII. Verso la metà del 1302 l'A., pur conservando il vescovado spoletano, fungeva da vicario a Roma di Bonifacio VIII, allora residente ad Anagni. Benedetto XI, il 18 dic. 1303, creò l'A. cardinale vescovo di Ostia e Velletri e il 31 genn. successivo lo nominò suo legato per la Toscana, le Romagne, la Marca trevigiana e territori vicini al fine di ricondurre la pace nelle città dilaniate da lotte intestine. S'avviò il 19 febbraio alla volta di Firenze, ove, come già a Pistoia, alle vecchie fazioni dei ghibellini e dei guelfi erano succedute quelle dei Bianchi e dei Neri. Il legato, personalmente favorevole ai Bianchi, fu accolto con favore dai Fiorentini; era anzi riuscito in un primo tempo (26 aprile) a condurre a buon punto le trattative, ma i Neri di Firenze e di Prato guastarono ogni cosa, spargendo la voce che il cardinale, per riuscire nel suo intento, fosse ricorso ai ghibellini bolognesi. In seguito a un tumulto (10 giugno) egli dovette perciò fuggire da Firenze, sottoponendo la città a interdetto. Esito negativo ebbe pure la sua attività a Prato, Pistoia e Lucca. Va ricordato che, durante la missione in Toscana, l'A. conobbe il "ghibellin fuggiasco", il "bianco" Dante Alighieri, che gli indirizzò una lettera a nome di Alessandro conte di Roma. Rientrato in Curia a Perugia il 13 luglio, trovò la sede pontificia vacante per la morte improvvisa di Benedetto XI il 7 precedente. In qualità di decano del Sacro Collegio presiedette alle laboriose e lunghe consultazioni che portarono all'elezione di Clemente V il 5giugno del 1305.
A questo proposito, pur non accettando pienamente la tesi del cronista G. Villani e particolarmente l'esistenza di compromessi e di convegni segreti, non si può negare che l'A. abbia avuto una parte di primo piano in questa elezione: il suo posto nel collegio cardinalizio, l'abilità e l'intraprendenza che gli sono note, la tendenza ghibellina e il suo favore per un papa francese dal quale sperava venisse tolto l'attrito tra la Chiesa e la Francia dopo l'incidente di Anagni valgono a confermarlo. Trasferitosi ad Avignone presso il nuovo pontefice, ebbe da questo varie mansioni politiche, anche se il silenzio, la faziosità e le contradizioni degli atti e dei cronisti non permettono di vedere tutta la verità, in casi per esempio come quelli del suo intervento presso Clemente V affinché i Neri che assediavano Pistoia nel 1305 togliessero l'assedio, del suo comportamento nel processo contro i templari, riguardo alla memoria di Bonifacio VIII, in merito alle dimissioni di Aimerico da Piacenza dal generalato dell'Ordine domenicano ed in altri affari importanti della Curia. È certo, invece, che l'A., considerato " …magis providus et discretus et oculatus homo de toto collegio" nel 1309 (H. Finke, Acta Aragonensia, II, Berlin-Leipzig 1908, n. 352 a p. 529), nel 1311-1312 era legato del papa in Italia e delegato per l'unzione a imperatore romano di Enrico VII, la quale ebbe luogo a S. Giovanni in Laterano il 29 giugno 1312; il ritardo di questa consacrazione, fissata per l'Assunta del 1311, aveva, però, impedito all'A. di prendere parte al concilio di Vienne (16 ott. 1311-6 maggio 1312).
Nel conclave che condusse all'elezione di Giovanni XXII il 7 ag. 1316 il cardinale di Prato fu nuovamente decano e scrutatore dei voti. Con il nuovo pontefice, però, di tendenze decisamente guelfe, l'A. si estraniò dalla politica e venne impiegato in mansioni dottrinali o strettamente curiali: figurò nel processo contro Bernardo Délicieux e diresse l'esame della Postilla sull'Apocalisse di Pietro di Giovanni Olivi; consacrò vescovi ed approvò dimissioni. Come già sotto Clemente V l'A. s'era prodigato per la causa di canonizzazione di Raimondo da Penyafort, così, sotto Giovanni XXII, aiutò Guglielmo di Tocco per quella di Tommaso d'Aquino, di cui forse era stato uditore a Parigi.
Di quest'uomo di multiforme e versatile attività, dalla diplomazia non totalmente spoglia della faziosità della vita comunale e spesso segnata da insuccessi, merita di essere rilevato lo spirito umanistico e particolarmente il mecenatismo.
Su richiesta dell'A., Niccolò Triveth commentò le tragedie di Seneca. Fece erigere da Giovanni Pisano il monumento a Benedetto XI nella chiesa di S. Domenico di Perugia e affidò allo stesso la decorazione di S. Domenico di Prato, la città natia che era stata da lui interdetta e verso la quale seppe, tuttavia, dare segni ancor maggiori di affetto, cingendola di mura, fondandovi il monastero domenicano di S. Niccolò, ampliandovi il convento dei frati e completandone la chiesa. Pure i conventi di Viterbo e di Pistoia ebbero in lui un benefattore, come in genere l'intera provincia romana alla quale apparteneva e l'Ordine dei Servi di Maria di cui era protettore. E non senza un certo spirito di nepotismo ottenne poi benefici e cariche ai suoi collaboratori e parenti. A lui si attribuiscono anche due opere, oggi perdute, un trattato De Paradiso e un secondo trattato De pontificalium comitiorum habendorum ratione.
Morì il 1 apr. 1321 ad Avignone, ove fu sepolto nella chiesa del convento domenicano, ch'egli aveva restaurato.
Bibl.: Jean Mactei Caccia, Chronique du couvent des Prêheurs d'Orviéto, a cura di A. M. Viel-P. M. Girardin, Roma 1907, pp. 39-41; F. Theile. N. von Prato Kardinalbischof von Ostia, Marburg a. L. 1913; H. Ströbele, N. von Prato Kardinalbischof von Ostia und Velletri, Freiburg i. Br. 1914; P. Toynbee, Dantis Alagherii Epistolae, Oxford 1920, pp. 1-10 (con indicazioni bibliografiche sui rapporti tra Niccolò, Dante e Firenze); S. de Salaniaco-B. Guidonis, De quatuor in quibus Deus praedicatorurn Ordinem insignivit, a cura di T. Kaeppeli, Romae 1949, cfr. Indice, sub voce; G.Mollat, Les Papes d'Avignon (1305-1378), Paris 1950, passim; S. Orlandi, "Necrologio" di S. Maria Novella, Firenze 1955, I, pp. 259-261; II, pp. 423-424; Dictionnaire d'Histoire et de Géographie Écclésiastique, I, coll. 1590-1591.