GAGGINI (Gagini), Nibilio (Annibale)
Non si conoscono l'anno e il luogo di nascita di questo orafo e argentiere siciliano, figlio di Giacomo (nato nel 1517) e nipote di Antonello, entrambi scultori. Fu attivo a Palermo nella seconda metà del XVI secolo e si formò certamente nella bottega familiare, punto di riferimento per l'arte plastica in Sicilia già dalla fine del XV secolo e aperta alle nuove istanze culturali che venivano importate nell'isola dall'Italia centrale, soprattutto dalla Toscana, dove i Gaggini si erano sempre riforniti di marmi per le loro commesse.
Memore del retaggio familiare, il G. riuscì a emergere nel campo dell'argenteria in un momento in cui in Sicilia avveniva il passaggio dalle esperienze tardogotiche alle nuove tendenze manieristiche.
Poche sono le opere a lui sicuramente ascrivibili: tra queste la custodia d'argento del Ss. Sacramento nella chiesa madre di Polizzi Generosa, firmata e datata 1586 ed eseguita per Leonardo Cirillo, appartenente a una famiglia della media nobiltà polizzana.
In quest'opera il G. rielabora la tradizionale concezione degli ostensori a tempietto tardogotici, molto diffusi in Sicilia, mantenendo la struttura basilare architettonica nella quale inserisce elementi rinascimentali desunti dalla bottega paterna. L'ostensorio presenta una base mistilinea polilobata, retaggio dell'oreficeria quattrocentesca; mentre il fusto reca un nodo ottagonale con colonnine a capitelli corinzi e nicchie a conchiglia dove sono collocate le figure degli evangelisti e dei padri della Chiesa. L'innovazione rispetto alla tipologia dell'ostensorio monumentale avviene nella zona del ricettacolo, inserito in una costruzione architettonica a tre archi, sormontata da un secondo ordine, nella quale trovano posto le figure dell'Ultima Cena; il fastigio terminale reca un'urna ovoidale baccellata sormontata dal Cristo Risorto, chiara soluzione moderna, mutuata dagli elementi manieristici presenti nella bottega paterna (Abbate, 1997, pp. 81-87). Nell'opera si rintracciano diversi segnali di un'adesione a moduli stilistici di ascendenza tosco-romana, soprattutto nelle decorazioni a festoni e grottesche e con putti, che hanno suggerito alla critica rapporti con l'ambiente artistico cittadino, documentati anche da relazioni tra il G., il pittore G. Alvino e lo scultore bolognese P. Rosso. L'Alvino fu testimone in un atto in cui il G., sempre nel 1586, si obbligava a eseguire un'altra custodia argentea per la cappella del Ss. Sacramento della chiesa di S. Antonio Abate a Palermo.
L'Accascina (1974, p. 182) ha sottolineato, infine, i numerosi punti di contatto con l'oreficeria spagnola, specialmente con le opere di Juan de Arfe y Villafane, come per esempio la custodia realizzata nel 1574 per la cattedrale di Siviglia, a testimonianza della cultura aggiornata e moderna del Gaggini.
Nel 1596 il G. eseguì quattro dei sei candelieri d'argento (gli altri due furono realizzati da P. Rizzo) per la chiesa madre di Enna e oggi al Museo Alessi: la base a sezione triangolare sostenuta da piedini zoomorfi con motivi fitomorfi e testine di cherubini, sarebbe una novità importata in Sicilia da artisti napoletani (Accascina, 1974; Guastella, 1982), mentre il nodo a vaso reca gli ormai usuali motivi decorativi tardomanieristici.
Alla bottega del G. viene assegnata la pace in argento sbalzato e cesellato in collezione privata a Trapani, datata 1596 e avvicinata a quella del 1608 con l'Ascensione del duomo di Piazza Armerina (Di Natale, 1989), che è stata riferita al figlio Giuseppe per la presenza di figure (due telamoni nella prima, due cariatidi nella seconda) che incorniciano la scena centrale.
Tre anni dopo venne commissionata al G. la cassa reliquiaria di s. Giacomo nell'omonima chiesa di Caltagirone, che fu probabilmente terminata dal figlio Giuseppe (Kreplin, 1920): in quest'opera il G. si produsse in un repertorio decorativo manieristico con mascheroni, motivi a candelabra, girali vegetali e festoni, riconducibile sempre alle esperienze del nonno Antonello; le stesse statuette con gli apostoli e i sei rilievi con scene della vita del santo, prendono spunto da quelle della tribuna della cattedrale palermitana (Guastella, 1982, p. 266).
Nel 1601 il G. ricevette la commissione di un ostensorio monumentale per la chiesa madre di Mistretta, che terminò nel 1604: come l'esemplare di Polizzi Generosa, anche questo ostensorio reca segnali di rinnovamento, soprattutto nella complessa architettura con arco centrale e colonne disposte lateralmente a delimitare spazi nei quali si trovano statuette a tutto tondo, e nell'ordine successivo, dove entro un tempietto spicca la figura dell'Immacolata.
Il G. morì a Palermo nel 1607.
Al G. viene attribuita la croce astile del principio del Seicento, già in S. Croce a Caltanissetta e oggi nel Museo diocesano (Di Natale, 1989): l'Accascina (1974, p. 182) aveva notato una stretta rispondenza tra la descrizione di una croce astile commissionata dalla "Maramma" della cattedrale palermitana al G. nel 1587 e la croce di Caltanissetta, che, soprattutto nella decorazione dei bracci a festoni e candelabra, fa propendere per l'attribuzione al Gaggini. Sempre riconducibile alla sua mano sarebbe il calice datato 1603 dell'abbazia di S. Martino delle Scale, presso Palermo (Di Natale, 1989), che presenta una base circolare, con motivi fitomorfi e testine di cherubini, e un nodo a vaso di notevoli dimensioni che ricorda quello dei candelieri del tesoro del duomo di Enna. In quegli anni il G. lavorò ad altri arredi dell'abbazia di S. Martino: per esempio, ai rilievi in argento per il paliotto in seta ricamato a fili d'oro; di questo lavoro sopravvivono solo, inseriti in un paliotto del XVIII secolo, i tondi raffiguranti S. Martino e il povero, la Carità e la Fede, i Ss. Benedetto e Scolastica (Accascina 1974, p. 188 fig. 113; Di Natale, 1989, pp. 211 s.). Proprio le somiglianze tra questi due santi benedettini e i ss. Mauro e Placido di due reliquiari della stessa abbazia hanno fatto propendere per una attribuzione di questi ultimi al G. (Mazzè, 1980; Di Natale 1989). L'Abbate (1997, p. 91) gli attribuisce anche l'urna d'argento per le ceneri di s. Gandolfo, sempre a Polizzi Generosa, affidata nel 1549 all'argentiere Andrea de Leo, ma da questo non eseguita: per l'Abbate, anche le statuette che ornano la cassa e la testa del santo sarebbero opera del G.; mentre il resto della decorazione sarebbe stato ultimato dal figlio Giuseppe, alla cui morte vari elementi - tra cui l'Angelo annunziante e l'Annunziata, tre figure di apostoli e i ss. Francesco d'Assisi e Antonio da Padova - si trovavano ancora nella bottega.
Anche di Giuseppe non si conosce l'anno di nascita. Nel 1607 egli si impegnò a eseguire un calice d'argento per l'abbazia di S. Martino e a terminare la cassa reliquiaria di Caltagirone (Di Marzo, 1883, pp. 335 s., docc. CCLXXI s.). Morì nel 1610 dopo aver fatto testamento: è noto anche l'inventario dei suoi beni (ibid., pp. 357, 362, docc. CCLXXIV s.).
Fonti e Bibl.: G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI, I-II, Palermo 1880-83, pp. 639-652; B.C. Kreplin, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, Leipzig 1920, p. 61; M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, ad indicem; A. Mazzè, Mostra iconografica benedettina in Sicilia, Palermo 1980, pp. 43 s.; C. Guastella, Attività orafa nella seconda metà del secolo XVI tra Napoli e Palermo, in Scritti in onore di O. Morisani, Catania 1982, pp. 243-292; M.C. Di Natale, in Ori e argenti di Sicilia (catal, Trapani), Milano 1989, schede nn. 26, 34, 36-39, pp. 143-145; V. Abbate, Polizzi. I grandi momenti dell'arte, Caltanissetta 1997, pp. 81-87, 91.