Neutrini solari
Il Sole splende da circa 4,6 miliardi di anni; è una stella piuttosto comune, né giovane né vecchia, con una massa intermedia tra quella delle stelle che popolano l'Universo. Dista dalla Terra 150 milioni di chilometri, cioè appena otto minuti luce, e fornisce al nostro pianeta una quantità rilevante di energia, più di un milione di erg per centimetro quadrato per secondo. La potenza totale emessa dal Sole è di quasi 4×1033 erg al secondo: è lecito chiedersi da dove provenga questa enorme energia. Si potrebbe naturalmente supporre che il Sole 'bruci' come un'enorme palla di idrogeno e che tale energia abbia perciò origine chimica; ma da tale ipotesi, tenendo conto dell'elevatissima potenza emessa, si ricaverebbe che l'esistenza della nostra stella volgerebbe al termine entro qualche milione di anni, mentre metodi assai precisi di datazione per la Terra e più in generale per il Sistema solare, basati per esempio sul rapporto esistente in natura tra gli isotopi 235 e 238 dell'uranio, prevedono, come si è anticipato, vite di alcuni miliardi di anni. Nei primi decenni del Novecento il problema dell'origine dell'energia solare era del tutto aperto e non si riusciva a risolverlo richiamandosi a un qualche meccanismo classico. La massa di un atomo di elio è minore di quella di quattro atomi di idrogeno e già Sir Arthur S. Eddington aveva preso in considerazione la possibilità che questi ultimi si trasformassero nel primo. Fu, tuttavia, soltanto poco prima della Seconda guerra mondiale che il fisico di origine tedesca Hans Bethe elaborò un modello di funzionamento del Sole, valido, con opportune modifiche, ancora oggi. Secondo questo modello, il Sole si è formato da una grandissima nuvola di idrogeno che conteneva anche una considerevole quantità di elio. L'enorme forza di gravità generata da una tale massa di gas ne causa la compressione, aumentandone di conseguenza la densità e la temperatura nelle regioni centrali. Quando densità e temperatura raggiungono valori sufficientemente elevati, si innescano reazioni di fusione nucleare che trasformano quattro atomi di idrogeno in uno di elio. In base alla teoria della relatività, la massa che viene così a mancare si tramuta in energia: per ogni atomo di elio prodottosi sono emessi circa 28 MeV (milioni di elettronvolt).
Nelle reazioni nucleari si ha alla fine la produzione di nuclei di elio, di positroni, di fotoni e di neutrini: tutte queste particelle, tranne le ultime, sono assorbite nelle zone immediatamente vicine al punto in cui è avvenuta la fusione. Il calore prodotto dalle reazioni di fusione che hanno luogo nel centro del Sole impiega centinaia di migliaia di anni a raggiungerne la superficie. Solamente i neutrini filtrano indisturbati dal centro del Sole: raggiungono la Terra dopo soli otto minuti da quando sono stati generati, con velocità uguale, o comunque estremamente vicina, a quella della luce.
La grande importanza dello studio dei neutrini solari come sonda diretta per sapere quanto avviene all'interno del Sole, e per estensione nelle altre stelle, contrasta con le difficoltà legate alla bassissima probabilità di interazione di queste particelle.
Le reazioni di fusione che avvengono all'interno del Sole sono costituite da due cicli, quello dell'idrogeno e quello del carbonio-azoto-ossigeno: è il primo, però, a contribuire in massima parte, per quasi il 98%, alla produzione dell'energia solare. La reazione iniziale è detta p-p ed è di gran lunga dominante rispetto alle altre: consiste nella cattura di un nucleo di idrogeno da parte di un altro nucleo dello stesso tipo, con la produzione di un nucleo di deuterio, di un positrone (particella della stessa massa dell'elettrone, ma con carica positiva) e di un neutrino.
Si osservi che esistono tre tipi di neutrini: l'elettronico, il muonico e il tauonico, associati a tre particelle cariche, rispettivamente l'elettrone, il muone e il tauone (dette, come anche i neutrini, leptoni). Il muone e il tauone hanno masse pari rispettivamente a circa 200 e 3500 volte quella dell'elettrone, ma per il resto sono simili a questa particella: hanno carica negativa e spin 1/2 e danno luogo alle medesime interazioni dell'elettrone. La teoria attuale delle interazioni deboli prevede che i tre leptoni carichi, ciascuno con il corrispondente neutrino, siano caratterizzati da un diverso numero quantico, detto sapore, che può essere appunto elettronico, muonico e tauonico nei tre rispettivi casi. Secondo questa stessa teoria il sapore si conserva: per esempio, un neutrino elettronico non può trasformarsi in un neutrino muonico o tauonico, anche se questa trasformazione non violerebbe di per sé alcuna delle altre leggi di conservazione note (dello spin, della carica, ecc.).
Tornando alla formazione del deuterio, nel caso già richiamato della reazione p-p l'energia di rinculo del nucleo finale è trascurabile e perciò l'energia emessa si distribuisce quasi esclusivamente tra il positrone e il neutrino, i quali avranno una distribuzione continua di energia (fig. 2). Molto più raramente però, nello 0,25% dei casi, avviene la reazione p-e-p, in cui un elettrone catalizza la fusione dei due nuclei di idrogeno, con la produzione di un atomo di deuterio accompagnato da un neutrino. L'energia di rinculo è trascurabile anche in questo caso ma, a differenza del precedente, il neutrino è monocromatico e trasporta la quasi totalità dell'energia a disposizione, 1,44 MeV.
Una volta avvenuta la sintesi del deuterio, questo può fondersi con un nucleo di idrogeno, con la formazione di un nucleo di 3He e l'emissione di un raggio gamma. Due nuclei di 3He possono quindi fondersi tra loro e, restituiti due protoni, produrre un nucleo di 4He. In definitiva, di sei protoni ne sono restituiti due e, nel caso p-p prevalente, sono prodotti due positroni, due neutrini e due raggi gamma, nonché naturalmente un nucleo di 4He.
Accanto a queste reazioni, che sono chiaramente dominanti, esistono alcuni processi che potremmo definire collaterali, in quanto più rari. Il nucleo di 3He può essere catturato da un nucleo di 4He, con emissione di un fotone e la produzione di un nucleo di 7Be, che è radioattivo con un tempo di dimezzamento di 53 giorni. A questo punto vi sono due possibilità. Nella prima, il 7Be cattura un elettrone ed emette un neutrino, trasformandosi in 7Li. Nel 10% dei casi il 7Li non si trova nello stato fondamentale, ma in un livello eccitato a 478 keV che si diseccita con emissione di un raggio gamma. Ne consegue che i neutrini, che dovrebbero essere monocromatici in quanto l'energia di rinculo del nucleo è trascurabile, hanno in realtà due possibili valori dell'energia: 861 keV nel 90% dei casi, qualora la cattura elettronica conduca allo stato fondamentale, e 383 (=861−478) keV se in seguito alla cattura il 7Li si trova sul livello eccitato. Il 7Li cattura successivamente un protone e produce prontamente due nuclei di 4He. Nella seconda possibilità il 7Be vive abbastanza a lungo per, seppur raramente, catturare un protone ed emettere un fotone, trasformandosi in 8B. Quest'ultimo decade con emissione di un positrone e di un neutrino elettronico in 8Be, che si disintegra in due nuclei di 4He. Osserviamo che nel primo caso sono stati necessari tre protoni per produrre un nucleo di 3He, quattro per 4He e uno per trasformare il 7Li in due nuclei di 4He; nel secondo processo sono stati coinvolti sette protoni per produrre il 7Be e un ulteriore protone per trasformarlo in 8B: al solito, sono stati necessari quattro protoni per ogni nucleo di 4He finale.
Nel secondo ciclo, quello del carbonio-azoto-ossigeno, un protone interagisce con un nucleo di 12C prodottosi dalla fusione di due particelle α in 8Be e dalla successiva cattura di una terza particella α. In tal modo si genera, con emissione gamma, un nucleo 13N, che emettendo un positrone e un neutrino con spettro continuo decade in 13C. Quest'ultimo cattura un secondo protone e produce il nucleo stabile 14N e radiazione gamma. Per cattura di un ulteriore protone si ottiene, sempre con l'emissione di un raggio gamma, l'isotopo radioattivo 15O, che decade in 15N con emissione di un positrone e di un neutrino. Un quarto protone, infine, interagendo con quest'ultimo nucleo produce 12C e 4He. Si osservi come anche questo ciclo trasformi quattro protoni in un nucleo di elio. Il 12C coinvolto all'inizio è restituito alla fine: in termini chimici diremmo che funge da catalizzatore.
Se osserviamo la distribuzione delle energie dei neutrini prevista dal cosiddetto modello solare standard (SSM, Standard solar model), riportata nella fig. 2, si riconoscono subito i neutrini di tipo monocromatico, rappresentati da righe, e quelli con spettro continuo. È evidente che i neutrini di bassa energia, in particolare quelli della reazione p-p, risultano di gran lunga i più abbondanti, ma purtroppo i meno difficili da osservare sono quelli di alta energia, sia perché la sezione d'urto cresce con il quadrato dell'energia stessa sia perché il fondo dovuto a reazioni spurie è, nel loro caso, assai inferiore. In aggiunta, il flusso dei neutrini con alta energia, e in particolare di quelli del boro, è calcolabile con attendibilità molto minore rispetto, per esempio, a quello dei neutrini della reazione p-p.
Le difficoltà che si incontrano in tutti gli esperimenti sui neutrini solari sono legate al fatto che i processi di interazione che si cerca di rilevare sono, anche qualora i rivelatori abbiano grande massa, molto rari, tipicamente qualche evento o frazione di evento per tonnellata e per anno. Si rendono necessari quindi rivelatori di centinaia di tonnellate, che oltre a ciò devono essere installati in laboratori sotterranei, perché in superficie il debolissimo segnale dovuto alle interazioni di neutrini solari risulterebbe completamente nascosto dai processi di interazione originati dai raggi cosmici. I materiali usati nel rivelatore devono inoltre contenere il minimo livello di contaminazioni radioattive possibile. Il primo esperimento sui neutrini solari ha avuto inizio più di trent'anni fa nella miniera di Homestake negli Stati Uniti, per iniziativa di Raymond Davis, oggi premio Nobel per la fisica. La reazione studiata, suggerita da Bruno Pontecorvo, è la seguente:
[1] νe + 37Cl → 37Ar + e−
seguita dal decadimento radioattivo dell'37Ar, con un tempo di dimezzamento di 35 giorni:
[2] e− + 37Ar → 37Cl + νe .
Possono produrre questa interazione soltanto i neutrini con energia superiore a una soglia che, sperimentalmente, si è rivelata di 813 keV. Da un recipiente contenente ben 610 tonnellate di percloroetilene (C2Cl4) sono estratti ogni cento giorni circa, ricorrendo a un intenso flusso di elio, i pochi atomi di 37Ar prodotti nel frattempo dai neutrini solari. Questi atomi sono quindi inseriti in minuscoli contatori proporzionali, che permettono di 'contarli'. Il segnale dovuto ai neutrini solari è comunemente misurato in SNU (Solar neutrino unit), dove 1 SNU equivale alla cattura di 10−36 neutrini per atomo e per secondo. L'esperimento di Davis ha evidenziato l'esistenza di un chiarissimo segnale, corrispondente a 2,55±0,25 SNU, un risultato di grandissima importanza sperimentale, che poneva però più dubbi di quanti ne risolvesse, in quanto l'SSM prevede un flusso ben tre volte maggiore. La carenza dei neutrini solari rispetto alla teoria è stata confermata successivamente da un altro esperimento, detto Kamiokande, condotto misurando nella miniera giapponese di Kamioka le interazioni dei neutrini solari con gli elettroni di 680 tonnellate di acqua e osservando la luce Čerenkov prodotta. Un vantaggio di questo esperimento è che si può determinare, sia pure approssimativamente, la direzione di provenienza del neutrino che ha prodotto un'interazione e accertare così se esso avesse origine dal Sole. Uno svantaggio consiste nel fatto che l'esperimento è sensibile solamente a neutrini con energia superiore a 7 MeV circa, quindi soltanto a quelli generati dal 8B. Anche in questo caso si è osservato un segnale molto netto dovuto ai neutrini solari, che è però pari a circa la metà di quanto previsto dallo SSM.
La discrepanza tra dati sperimentali e previsioni teoriche costituisce il problema dei neutrini solari (SNP, Solar neutrino problem), che soltanto negli ultimi anni si è riusciti a risolvere. Una prima possibilità è che il modello solare standard sia inadeguato nel predire il flusso dei neutrini di alta energia, non facilmente determinabile teoricamente. Va infatti osservato che il flusso previsto per i neutrini dal 7Be è proporzionale all'ottava potenza della temperatura centrale T del Sole, mentre quello del 8B dipende addirittura dalla diciottesima potenza! Basterebbero quindi piccole variazioni nella temperatura centrale del Sole, peraltro alquanto impopolari tra gli astrofisici, per risolvere l'SNP. Una seconda possibilità, suggerita da Bruno Pontecorvo, riguarda direttamente le proprietà fisiche del neutrino: se la massa di almeno uno dei neutrini è diversa da zero e se il numero di sapore non è conservato, i neutrini elettronici prodotti al centro del Sole potrebbero, nel loro lungo viaggio tra Sole e Terra, o ancor più all'interno del Sole, oscillare, ossia trasformarsi in parte in neutrini muonici o tauonici; questi ultimi due tipi di neutrini non possono ovviamente dar luogo a una reazione quale la [1] e darebbero comunque un segnale molto inferiore a quello dei neutrini elettronici nelle interazioni con gli elettroni rilevate mediante l'esperimento Kamiokande. Va osservato che fino a qualche anno fa le oscillazioni del neutrino non erano state messe in evidenza in alcuno degli esperimenti condotti con gli acceleratori di particelle; ci si doveva quindi assicurare che la carenza di neutrini solari, specialmente alle alte energie, non fosse semplicemente dovuta all'inadeguatezza dell'SSM.
I flussi dei neutrini di alta energia sono soltanto una piccola frazione del flusso totale di neutrini solari. Per questa ragione, per la risoluzione dell'SNP occorre impiegare rivelatori sensibili ai neutrini di bassa energia e, in particolare, a quelli alquanto ben determinati della reazione p-p.
Fino a qualche anno fa erano in funzione due esperimenti basati sulla reazione derivante dall'interazione dei neutrini solari con il gallio: SAGE (Soviet American gallium experiment) e Gallex (Gallium experiment). La reazione, suggerita dal fisico russo Vadin Kuzmin, è la seguente:
[3] νe + 71Ga → 71Ge + e−
seguita dal decadimento radioattivo del 71Ge con un tempo di dimezzamento di 11,4 giorni:
[4] e− + 71Ge → 71Ga + νe .
La soglia energetica di tale reazione è di 233 keV, ben inferiore all'energia massima dei neutrini della reazionep-p: i calcoli teorici prevedono un segnale totale tra 125 e 132 SNU, di cui almeno 70 SNU dovuti alla reazione p-p.
Nell'esperimento SAGE, condotto presso il laboratorio sotterraneo di Baksan nel Caucaso, si utilizza un insieme di recipienti (quattro all'inizio, otto oggi) contenenti 30÷60 tonnellate di gallio metallico liquido, con temperatura di fusione di soli 29 °C. Ogni tre o quattro settimane, il liquido è opportunamente acidificato e i pochi atomi di 71Ge prodotti sono trasformati in un composto volatile, il tetracloruro di germanio, estratto con aria e trasformato nel cosiddetto germano (GeH4), un composto gassoso che, come nell'esperimento di Davis, è inserito in un contatore proporzionale che permette di contare gli atomi di 71Ge prodotti dai neutrini solari. I primi risultati di questo esperimento furono pubblicati nel dicembre del 1990 ed ebbero uno straordinario impatto sulla comunità scientifica: il segnale dovuto ai neutrini solari era compatibile, sia pure con un grosso errore, con zero, il che comportava come unica soluzione che fosse valida l'ipotesi delle oscillazioni dei neutrini.
L'esperimento Gallex è stato condotto da una collaborazione di ricercatori francesi, tedeschi e italiani e con la partecipazione di un piccolo gruppo americano e israeliano, presso il Laboratorio nazionale dell'INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) del Gran Sasso (fig. 3). Il bersaglio era costituito in questo caso da 102 tonnellate di soluzione, contenenti 30,3 tonnellate di gallio sotto forma di tricloruro (GaCl3). L'estrazione, alquanto più semplice che in SAGE, avveniva facendo defluire ogni tre o quattro settimane il tetracloruro di gallio mediante un intenso flusso di azoto. Il successivo procedimento di trattamento chimico e di misurazione è simile a quello adottato da SAGE, ma l'efficienza di estrazione e di conteggio è considerevolmente maggiore.
I primi risultati di Gallex sono stati presentati e pubblicati nel giugno del 1992: il segnale dovuto ai neutrini solari era nettissimo, sebbene inferiore ancora una volta alle previsioni dell'SSM. Un secondo esperimento della collaborazione SAGE indicava, in contrasto con il primo, un segnale del tutto coerente con quello rilevato da Gallex.
Per circa cinque anni, fino alla chiusura nel 2004, l'esperimento Gallex è stato condotto da un collaborazione più limitata e ha preso il nome GNO (Gallium neutrino observatory). L'esperimento SAGE è invece ancora in corso. Riportiamo nella tab. 1 i risultati ottenuti fino a oggi dai due esperimenti, indicando separatamente gli errori statistici e quelli sistematici. I risultati di Gallex, confermati da SAGE, indicano un forte segnale, che potrebbe dare conto in modo completo delle previsioni relative ai neutrini prodotti nella reazione p-p (70 SNU), ma che non è compatibile con la presenza di altre fonti di neutrini solari (è questo il risultato più importante). La reazione p-p rappresenta il cuore della fusione solare e il flusso di questi neutrini è direttamente correlato con la luminosità del Sole. Anche gli esperimenti con il gallio confermano quindi la scarsezza dei neutrini di alta energia evidenziata negli esperimenti di Homestake e di Kamiokande.
Un problema comune a tutti gli esperimenti che abbiamo fin qui descritto è la necessità di assicurarsi con certezza assoluta che essi siano in grado di rilevare al 100% i neutrini provenienti dal Sole. L'unico modo sarà quello di esporre l'apparato sperimentale usato per la rilevazione dei neutrini solari a fasci di neutrini artificiali, di energia e intensità note. In pratica, ciò si può realizzare soltanto ricorrendo a sorgenti radioattive molto intense di neutrini prodotti per cattura elettronica. Negli esperimenti con il gallio si è pensato di usare il decadimento
[5] e− + 51Cr → 51V + νe (751 keV) (90,2%)
[6] e− + 51Cr → 51V*+ νe (431 keV) (9,8%),
dove la cattura elettronica porta nella maggior parte dei casi al livello fondamentale del 51V con emissione di neutrini da 751 keV, ma può portare anche allo stato eccitato a 320 keV con conseguente emissione di un raggio gamma, nel qual caso l'energia del neutrino sarà solamente di 431 keV.
Per produrre una sorgente molto intensa di 51Cr, che ha un tempo di dimezzamento di 28 giorni, in un reattore nucleare occorrerà esporre il cromo a un fascio molto intenso di neutroni, provocando la reazione:
[7] n + 50Cr → 51Cr + γ.
Nell'ambito Gallex è stata prodotta una sorgente molto intensa di 51Cr con cui si è tarato l'esperimento. Osserviamo anzitutto che il 50Cr ha nel cromo naturale un'abbondanza isotopica pari soltanto al 4,35%: l'uso di cromo naturale comporterebbe quindi un enorme sperpero di neutroni. In collaborazione con l'Istituto Kurchatov di Mosca, si sono quindi prodotti ben 36 kg di cromo arricchito al 38% in 50Cr. Questo materiale è stato poi esposto a un fascio di circa 5┤1013 neutroni cm−2 s−1 nel reattore sperimentale SILOE da 35 MW del Centro di Studi Nucleari di Grenoble (Francia). A sua volta, Gallex è stato esposto a questa sorgente e dai risultati ottenuti sull'estrazione di atomi di 71Ge si è ricavato che l'efficienza dell'apparato era vicina al 100%.
Un'analoga taratura con una sorgente meno intensa, sfruttando però la maggiore densità del bersaglio (gallio liquido), è stata condotta con lo stesso risultato da SAGE.
I risultati ottenuti nei primi esperimenti sono stati confermati da nuovi apparati, che chiameremo di seconda generazione. Tra essi, il SuperKamiokande (Giappone) è l'estensione del Kamiokande, basato sulla rilevazione della luce Čerenkov emessa dai neutrini. È in funzione dal 1997 ed è costituito da ben 50.000 tonnellate d'acqua. La distribuzione angolare degli eventi osservati dimostra chiaramente l'origine solare dei neutrini (fig. 5).
L'esperimento SNO (Sudbury neutrino observatory), in funzione dal 2000, si avvale anch'esso di un rivelatore Čerenkov, dove però la parte interna è costituita da 1000 tonnellate di acqua pesante (D2O), per osservare le interazioni dei neutrini solari non solamente con l'idrogeno, ma anche con i nuclei del deuterio.
Questi due esperimenti hanno prodotto nei primi anni del nuovo secolo risultati di grandissima importanza, dimostrando in via definitiva l'esistenza delle oscillazioni del neutrino. Il primo ha sfruttato in particolare la grande massa e il notevole numero di eventi osservati, nonché la possibilità di rilevarne la direzione di provenienza. Il secondo ha permesso di osservare non solamente la reazione:
[8] νx + e− → νx + e−
dove si è indicato con il simbolo x sia il neutrino elettronico sia quello muonico e tauonico, ma anche le due reazioni
[9] νe + d → e− + p + p
[10] νx + d → νx + p + n.
La presenza delle oscillazioni del neutrino è stata confermata anche dal rapporto tra neutrini elettronici e muonici prodotti nell'atmosfera dai raggi cosmici, osservato, oltre che da Kamiokande e SuperKamiokande, dall'esperimento MACRO (Monopole, astrophysics and cosmic ray observatory), condotto presso il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso; dalla carenza di neutrini elettronici in un fascio inviato dall'acceleratore KEK in Giappone verso il rivelatore SuperKamiokande; dalla carenza di antineutrini elettronici prodotti da reattori nucleari giapponesi nel rivelatore KAMLAND, situato nello stesso laboratorio sotterraneo di SuperKamiokande.
Anche se le oscillazioni del neutrino si possono considerare definitivamente dimostrate, si tratta ora di determinarne l'esatta natura con esperimenti sui neutrini solari che impegneranno maggiori risorse ed eventualmente useranno tecniche diverse. Il primo apparato a entrare in funzione presso il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso sarà Borexino, un rivelatore costituito da 300 tonnellate di scintillatore liquido con cui rilevare le interazioni di neutrini con una soglia relativamente bassa (250 keV ca.). Un elenco delle proposte di esperimenti di terza generazione sulla osservazione dei neutrini solari è riportato nella tab. 2. Strettamente correlati con gli apparati sperimentali fin qui descritti sono quelli sulle oscillazioni cosiddette long baseline, in cui si usa un fascio di neutrini prodotto in un laboratorio sotterraneo da un acceleratore di particelle. In Europa, sono in costruzione due apparati presso il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso, verso cui nel 2006 è stato diretto un intenso fascio di neutrini prodotti presso il CERN (Centro Europeo di Ricerche Nucleari) di Ginevra.
L'esperimento ICARUS (Imaging cosmic and rare underground signal) si avvale di una camera a deriva temporale (TPC, Time projection chamber) contenente argon liquido. Una prima parte di questo apparato, con una massa di 600 tonnellate, è in via di installazione presso i laboratori del Gran Sasso. L'apparato OPERA (Oscillation project with emulsion-tracking apparatus), alquanto complesso, è costituito da rivelatori elettronici e da una grande massa di emulsioni nucleari che permettono l'osservazione dettagliata delle interazioni del neutrino. Negli Stati Uniti è in costruzione un apparato sperimentale denominato MINOS (Main injector neutrino oscillation search), che sarà installato presso il laboratorio sotterraneo di Soudan, con lo scopo di osservare le interazioni di un fascio di neutrini prodotto dall'acceleratore del Fermilab. Altri esperimenti con fasci ancora più intensi di neutrini sono previsti in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone.
Una nuova tecnica che si potrebbe impiegare in esperimenti sui neutrini solari è quella suggerita dieci anni fa da Tapio Niinikosky del CERN e da chi scrive, basata sul fatto che la capacità termica di un cristallo perfettamente diamagnetico e dielettrico, tenuto a temperature appena al di sopra dello zero assoluto, è estremamente piccola. Come conseguenza, anche la ridottissima energia fornita da una particella sotto forma di calore potrà essere sufficiente a produrre un innalzamento misurabile della temperatura del cristallo stesso. Questo innalzamento, trasformato in impulso elettrico, è rilevato e misurato da opportuni termometri detti termistori. Rivelatori basati su questa nuova tecnica sono già stati realizzati in vari Paesi per ricerche su eventi rari e si sta considerando il loro impiego anche in vista di esperimenti sui neutrini solari.
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