neuropsichiatria. Le basi biologiche delle malattie mentali
La ricerca neurobiologica in ambito neuropsichiatrico ha compiuto enormi progressi a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, aprendo prospettive nuove sia nella comprensione che nel trattamento delle malattie mentali. Gli sforzi nello studio delle basi biologiche dei disturbi della mente sono focalizzati soprattutto sulle quattro principali patologie psichiatriche: schizofrenia, sindrome depressiva, ansia e disturbi bipolari.
La neurobiologia della schizofrenia è appena agli inizi, diverse però sono le alterazioni osservate nella struttura, nella fisiologia e nella neurochimica del cervello dei pazienti affetti da questa malattia mentale, anche se a oggi nessuna di esse può essere concretamente utilizzata come marcatore diagnostico. Per es., gli studi di imaging funzionale hanno sottolineato l’importanza di alterazioni dell’area della corteccia prefrontale e le connessioni funzionali con le aree temporali, ma non vi sono studi univoci su queste osservazioni e sembra che questo tipo di alterazioni possa essere presente anche in altre patologie psichiatriche. La comprensione della neurochimica della schizofrenia ha beneficiato di studi tramite tecniche in vivo, come la PET e la tomografia computazionale a emissione di singolo fotone (SPECT), mentre prima esistevano solo le misurazioni di densità recettoriale e di affinità tramite tecniche di autoradiografia sui tessuti post mortem di pazienti schizofrenici. La dopamina, il glutammato, il GABA e i relativi meccanismi d’azione sono stati indicati come possibile espressione di alterazioni genetiche. La neurogenetica ha indicato in alcuni geni e nell’interazione di questi con l’ambiente i possibili meccanismi alla base dello sviluppo della schizofrenia. L’ipermetilazione della glutammicodecarbossilasi 67 (GAD 67), e delle proteine reelin è stata associata a difetti della trasmissione GABAergica telencefalica osservati nella schizofrenia. Il gene COMT codifica un enzima catabolico coinvolto nella degradazione della dopamina e la sua delezione si associa alle manifestazioni psichiatriche tipiche della schizofrenia. In partic., il polimorfismo genetico val/met (scambio tra valina e metionina), il quale determina alte e basse attività dell’enzima e quindi dell’azione della dopamina, ha attirato l’attenzione degli studiosi a tal punto da divenire il polimorfismo più studiato in psichiatria. Altri studi riguardano il recettore nicotinico A7, proteina espressa poco nel tessuto nervoso degli schizofrenici, di cui però rimane ancora non pienamente compresa la funzione.
Diversi studi genetici indicano che i parenti di primo grado dei pazienti affetti da depressione sviluppano un rischio maggiore di essere affetti da sindrome depressiva. Fra i geni associati alla depressione vi è quello che codifica una proteina che recupera la serotonina nei neuroni una volta che questa viene liberata. Dopo che la serotonina è stata recuperata, essa può nuovamente essere rilasciata in successive stimolazioni neuronali. Difetti nel sistema serotoninergico si riflettono nella depressione. In partic., l’allele corto (c) è associato a una ridotta quantità del trasportatore della serotonina. Anche se i meccanismi molecolari ancora non sono chiari, i trattamenti che determinano riduzione della neurotrasmissione serotoninergica sono associati allo sviluppo di quadri comportamentali ansiosi che evolvono in depressione. Inoltre i circuiti nervosi coinvolti in queste risposte sono stati individuati nell’amigdala, nella corteccia del cingolo anteriore e nella corteccia sottocallosa posteriore. Un secondo gene associato alla depressione è quello che codifica la triptofanoidrossilasi-2, che partecipa alla sintesi della serotonina. Bassi livelli di serotonina sembrano così essere associati alla depressione maggiore e molte delle terapie volte alla cura di questo disturbo psichiatrico cercano di ristabilire appropriati livelli di serotonina, anche se circa il 20% delle persone affette da depressione non risponde a nessun tipo di terapia.
Nei disturbi d’ansia le strutture cerebrali coinvolte sono l’amigdala, la corteccia prefrontale e l’insula anteriore. Fra i sistemi neurochimici coinvolti, probabilmente vi sono quelli che sottendono all’azione del fattore che rilascia la corticotropina. Quindi, per prevenire quadri ansiosi legati a fenomeni traumatici, si è prospettato l’uso di glicocorticoidi e noradrenalina. Anche diversi neuropeptidi (sostanza P, orexina, neuropeptide Y) risultano implicati nei meccanismi neurobiologici dell’ansia.
Sebbene il ruolo dei fattori genetici sia stato descritto nei disturbi bipolari, non sono ancora stati individuati geni specifici. L’incremento dell’incidenza dell’aumentata frequenza dell’iperintensità subcorticale (SHC), alterati livelli dello ione calcio, effetti neuroprotettivi degli stabilizzanti dell’umore, disfunzioni mitocondriali, indicano tutti l’esistenza di una maggiore vulnerabilità neuronale. In questo senso la neuropsichiatria si sta occupando di verificare l’ipotesi del neurone stabilizzante l’umore. Secondo questa ipotesi l’intervallo temporale nello sviluppo delle due fasi del tono dell’umore viene mantenuto da un sistema neuronale specifico, il quale, con la progressione della malattia, diventa sempre più instabile e incapace di generare pause temporalmente lunghe. Questo sistema stabilizzante l’umore sembra essere associato a neuroni GABAergici, la cui popolazione cellulare diviene sempre più vulnerabile rispetto ad altre durante l’evoluzione della malattia. Una seconda ipotesi attribuisce un ruolo per questa funzione di equilibrio ai circuiti dei ritmi circadiani.