neurogastronomia
s. f. Studio sulla relazione tra le conoscenze sviluppate dalle neuroscienze e la percezione del gusto del cibo, anche nell’ambito del contesto culturale.
• un efficace antidoto ai veleni di una moda pervasiva. Quella ‒ sarcasticamente denunciata fin dal titolo [«Neuro-mania» di Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà] ‒ di usare il prefisso «neuro» per aureolare di scientificità pseudo-discipline il cui oggetto è da sempre costituito dalle neuroscienze: dalla neuroeconomia al neuromarketing, e chissà che non si arrivi presto alla neurogastronomia. (Sandro Modeo, Corriere della sera, 21 marzo 2009, p. 47, Terza Pagina) • L’analisi delle dinamiche che nascono dall’interazione tra cibo e cervello spiega anche le preferenze gastronomiche, le abitudini dietetiche e le culture alimentari tipiche di ogni popolo. Una nuova scienza, la neurogastronomia, apre oggi interessanti prospettive di ricerca in ambito nutrizionistico e medico. Il nostro cervello è programmato per mantenere un peso corporeo equilibrato, segnalando quando mangiare e quando smettere di farlo. […] La neurogastronomia rivela come l’assunzione di cibo influenzi la plasticità neuronale rimodellando le reti cerebrali e come questi cambiamenti, se diventano stabili, a loro volta incidano profondamente sulle abitudini alimentari. (Vittorio A. Sironi, Avvenire, 2 agosto 2014, p. 3, Idee) • Gordon M. Shepherd, professore a Yale, ha fondato una nuova disciplina, la «neurogastronomia», che, cercando di riunire tutti questi campi di studio finora dispersi, si propone di «partire dal cervello per mostrare non solo come questo riceva gli stimoli sensoriali, ma anche come, nel farlo, crei attivamente la sensazione del sapore». (Bruno Arpaia, Repubblica, 25 gennaio 2015, p. 44, R2 Cultura).
- Composto dal confisso neuro- aggiunto al s. f. gastronomia.