neurochirurgia
Ramo specializzato della chirurgia che si occupa delle patologie del sistema nervoso, centrale e periferico. La moderna n. comincia negli anni Sessanta del 20° sec. con l’uso del microscopio operatorio; successivamente, con l’invenzione della TAC e della RMN, la conoscenza del sistema nervoso ha permesso l’introduzione di tecniche neurochirurgiche che ne rispettassero al massimo l’integrità anatomofunzionale. L’adozione di procedure che utilizzano coordinate stereotassiche (➔ stereotassico, apparato) e di metodi computerizzati di neuronavigazione (➔) ha ulteriormente affinato la n.; per es., in aree cerebrali particolarmente critiche (come l’area motoria oppure quella del linguaggio) si dimostra necessario, durante l’intervento, un monitoraggio clinico e soprattutto elettrofisiologico, eseguito allo scopo di delimitare i confini chirurgici: con il paziente sveglio o risvegliabile, si stimola l’area di interesse, localizzando la zona corticale che controlla la funzione da salvare.
La n. funzionale si applica in special modo alla chirurgia dell’epilessia (➔ epilessia, La chirurgia dell’epilessia) e a quella dei disordini motori; di rilievo è anche la n. del dolore. La n. rimuove tumori primitivi e metastatici dell’encefalo e del midollo spinale, gli adenomi ipofisari che non sono suscettibili di terapia medica o radiante; compie interventi per emorragia subaracnoidea da rottura di aneurisma e malformazioni arterovenose; rimuove ematomi postraumatici intracerebrali, subdurali ed epidurali. La n. traumatologica corregge le fratture con dislocazioni delle vertebre, che causano pressione sul midollo spinale e sulle sue radici nervose (particolarmente pericolose sono le fratture della colonna cervicale); la patologia vertebrale non traumatica più comune trattata con la n. è l’ernia del disco lombare. Per quanto riguarda le malformazioni neonatali, si possono compiere interventi di n. per encefalocele, mieloschisi (mancata chiusura della parte posteriore del tubo neurale), mielomeningocele, idrocefalia. Infine, la n. permette la rimozione di neurinomi e fibromi, tipici tumori dei tronchi nervosi, asportati senza danneggiare il nervo da cui originano.
La neurochirurgia palliativa
La neurochirurgia palliativa ha come finalità l’attenuazione di sintomi in pazienti portatori di malattie non guaribili. Comprende procedure chirurgiche fra loro molto diverse qui di seguito esaminate.
Una massa endocranica in accrescimento comprime il tessuto nervoso circostante e ne altera la vascolarizzazione, conducendo a un malfunzionamento circoscritto con sintomi che dipendono dalla localizzazione della massa stessa. Essa provoca inoltre uno stato di ipertensione endocranica che produce effetti generali sul sistema nervoso. Questi si manifestano con sintomi di crescente gravità (cefalea, vomito, diplopia, disturbi dello stato di coscienza, turbe del respiro e del circolo). Il quadro clinico può subire brusche accelerazioni, fino al decesso, per l’instaurarsi di spostamenti del parenchima cerebrale (cosiddette ernie intracerebrali, ➔), con compressione del tronco encefalico e compromissione delle sue funzioni di supporto vitale. Interventi di decompressione possono pertanto avere un positivo effetto, diminuendo l’effetto massa locale e generale. Nella craniectomia decompressiva un’ampia superficie del cranio viene rimossa, consentendo alla massa encefalica di espandersi in parte al di fuori di esso, con beneficio immediato sulla pressione endocranica. La decompressione può essere ottenuta anche con la rimozione parziale di una neoplasia endocranica altrimenti inoperabile. Analoghi effetti possono essere conseguiti nei tumori spinali tramite laminectomia decompressiva (apertura posteriore del canale spinale tramite rimozione delle lamine vertebrali) e parziale rimozione della neoplasia. Sia nel caso di craniectomia sia di laminectomia, è necessario associare un allargamento dell’involucro durale (plastica durale), tramite innesto di trapianti di dura madre. In presenza di edema cerebrale la decompressione può essere anche ottenuta farmacologicamente con somministrazione endovenosa rapida di diuretici osmotici, quali il mannitolo, che sottraggono velocemente liquidi alla massa encefalica. Altra misura atta a combattere l’edema cerebrale è l’iperventilazione, applicabile nei pazienti che necessitano di assistenza ventilatoria per la presenza di turbe della coscienza e della respirazione.
La presenza di una neoplasia cerebrale può rallentare o bloccare la circolazione liquorale, con la formazione di idrocefalo (➔) ostruttivo che contribuisce al determinarsi dell’ipertensione endocranica. L’idrocefalo ostruttivo può essere trattato assai efficacemente, creando artificialmente nuove vie di deflusso del liquor (terzoventricolostomia endoscopica). In alternativa vengono impiantati sistemi di derivazione liquorale, costituiti da cateteri in silicone inseriti nel sistema ventricolare endocranico che riversano il liquor nella cavita peritoneale o nel cuore (➔ derivazione liquorale).
La trasmissione del dolore all’encefalo può essere bloccata lesionando intenzionalmente i fasci spinotalamici all’interno del midollo spinale (cordotomia anterolaterale). Negli ultimi tempi, tuttavia, ha trovato maggior impiego, per l’assenza di neurolesività, l’impianto di pompe programmabili per il rilascio di oppioidi nel liquor cerebrospinale, a dosi molto minori rispetto all’impiego per via generale.
Nei casi in cui non sia possibile abolire chirurgicamente l’epilessia (➔ epilessia, La chirurgia dell’epilessia) è possibile effettuare interventi chirurgici con intento palliativo, per ridurre l’intensità e la frequenza delle crisi. Questi interventi hanno lo scopo di limitare o bloccare la propagazione della scarica epilettica e di ridurre l’eccitabilità neuronale sopprimendo sistemi facilitanti o esaltando sistemi inibenti: la stimolazione del vago viene effettuata tramite un elettrodo impiantato sul nervo in sede laterocervicale sinistra, connesso a uno stimolatore programmabile inserito in sede sopraclaveare. In circa la meta dei pazienti si ottiene una riduzione di almeno il 50% della frequenza delle crisi. L’efficacia sembra migliore nei bambini, e appare aumentare nel tempo; nell’intervento di callosotomia si interrompono le fibre trasversali del corpo calloso che collegano fra loro i due emisferi cerebrali; viene così bloccata la propagazione della scarica epilettica da un emisfero all’altro, impedendo la generalizzazione secondaria di una crisi (➔ commissurotomia). Si ottiene una riduzione dal 50% all’80% della frequenza delle crisi, in partic. di quelle con caduta a terra; la transezione subpiale multipla è indicata nel trattamento delle epilessie focali originanti dalla corteccia motoria primaria o dalle aree del linguaggio. Essa consiste nella selettiva interruzione delle fibre intracorticali a orientamento orizzontale, preservando l’architettura colonnare verticale. In tal modo si impedisce alla corteccia ipereccitabile di reclutare progressivamente porzioni adiacenti della sostanza grigia, limitando la possibilità dell’insorgenza di una scarica epilettica. Il tessuto nervoso così trattato mantiene sostanzialmente la propria funzionalità, poiché questa dipende essenzialmente dalle strutture verticali; la stimolazione cerebrale profonda (DBS, Deep Brain Stimulation) è una procedura tuttora (2010) in fase di validazione. Consiste nell’impianto, con tecnica stereotassica, di elettrodi all’interno dell’encefalo, connessi a uno stimolatore programmabile impiantato in sede sopraclaveare. La neuromodulazione di vari nuclei cerebrali (nuclei talamici anteriori, nucleo talamico centromediano, nucleo subtalamico, ipotalamo posteriore, nucleo caudato), scelti in base alle diverse sindromi epilettiche, consentirebbe una riduzione significativa delle crisi, ma i casi trattati sono ancora troppo pochi per ricavarne conclusioni definitive.