attaccamento, neurobiologia dell’
L’attaccamento rappresenta un insieme dinamico di comportamenti che contribuiscono alla formazione dei legami affettivi fra due persone. L’a. è un processo fondamentale dal punto di vista biologico poiché è alla base della cura dei piccoli, cruciale per la loro sopravvivenza. In psicologia il termine è utilizzato negli studi sulla formazione delle relazioni tra il bambino e le figure di accudimento. Le prime ricerche sull’a. sono state condotte negli anni Cinquanta del 20° sec. dallo psicoanalista inglese John Bowlby. Contemporaneamente, e in maniera indipendente, lo psicologo americano Harry Harlow pubblicava i risultati dei suoi studi sugli effetti della deprivazione dalla madre in primati non umani: queste ricerche dimostravano che l’importanza della figura materna per il neonato era imputabile a fattori emozionali, piuttosto che nutrizionali. La teoria enunciata da Bowlby ha rappresentato un primo fondamentale tentativo di concettualizzare la propensione che gli esseri umani mostrano nel formare legami affettivi con alcuni individui, e lo stress che segue alla rottura di tale legame. Nella specie umana, una delle massime espressioni di questo sistema motivazionale è l’esperienza amorosa. Secondo la teoria di Bowlby, il neonato ha una naturale tendenza a sviluppare un forte legame di attaccamento con la madre o con chi si prende cura di lui (in inglese, caregiver). Tale processo avviene in fasi distinte: una prima fase (orientamento e pattern di riconoscimento) corrisponde al periodo che va dalla nascita ai primi sei mesi di vita; una seconda fase (a.), va dai sei mesi ai tre anni, periodo in cui compare l’ansia per l’estraneo; una terza fase (formazione di una relazione reciproca) inizia con il terzo anno di vita ed è caratterizzata da una capacità relazionale più complessa. Le principali caratteristiche della relazione di a. sono la specificità, ossia la ricerca della vicinanza di una persona preferita, e la durata, che di solito comprende tutta la vita dell’individuo.
Pioniere degli studi neuobiologici dell’a., Harlow ha utilizzato come modello di studio il macaco rheso (Macaca mulatta), nel quale ha descritto i processi comportamentali alla base della formazione del legame tra genitore e figlio, evidenziando gli stimoli (visivi, olfattivi, tattili) e le risposte motorie complesse che lo caratterizzano (attiva ricerca della vicinanza fisica, comportamento di cura o di difesa). L’a. dipende inoltre da complessi processi cognitivi quali l’attenzione, la memoria, il riconoscimento sociale e, soprattutto, la spinta motivazionale. Studi condotti nel pulcino, in roditori, nella pecora, nelle arvicole e nell’uomo hanno incominciato a rivelare i meccanismi neurali che sottostanno ai fenomeni di riconoscimento sociale, ai comportamenti di cura e all’instaurarsi di una preferenza per un determinato conspecifico. I neuropeptidi ipofisari ossitocina e vasopressina sono particolarmente importanti nella formazione e nel mantenimento delle relazioni sociali, inclusa la formazione di legami di coppia nei mammiferi monogami e la manifestazione del comportamento parentale al momento della nascita della prole. Tra gli altri sistemi neurotrasmettitoriali implicati nella regolazione dei meccanismi di a. vanno menzionati: la prolattina, gli oppioidi, la dopammina e l’acido gamma-amminobutirrico. È stata suggerita una sovrapposizione funzionale tra i circuiti neurali che regolano i comportamenti riproduttivi e quelli che sottostanno all’a.: alcune regioni del sistema limbico, quali l’amigdala e l’ipotalamo, sono responsabili tanto del comportamento parentale che dei legami di coppia. I circuiti che collegano l’ipotalamo rostrale all’area ventrale tegmentale hanno la potenzialità di integrare le informazioni sociali con le vie della gratificazione, soprattutto in specie altamente affiliative che rispondono agli stimoli sociali con l’attivazione di potenti meccanismi di rinforzo. Le vie dopamminergiche del prosencefalo sembrerebbero infatti mediare alcuni aspetti della formazione della preferenza per il partner: è dunque possibile ipotizzare che i meccanismi neurali associati all’abuso di droghe si siano evoluti per facilitare il riconoscimento sociale, i fenomeni di ricompensa e l’euforia, tutti elementi critici nei processi di attaccamento. Studi recenti hanno anche evidenziato un potenziale ruolo delle neurotrofine (proteine complesse le quali agiscono da agenti trofici e mediatori di plasticità per le cellule nervose), tra cui il Nerve growth factor (NGf) e il Brain-derived neurotrophic factor (BDNf), nei processi di attaccamento: è stata evidenziata una correlazione positiva tra i livelli plasmatici di NGf e l’attivazione legata all’innamoramento nell’uomo. I risultati di altre ricerche di base condotte su modelli animali suggeriscono importanti modifiche nei livelli cerebrali e periferici delle neurotrofine, in roditori e primati non umani, in seguito alla separazione dalla figura materna. I risultati di queste ricerche indicano un ruolo per questi neurotrasmettitori nella formazione di quei circuiti neurali coinvolti nel comportamento emotivo e sociale.
L’a. nell’uomo è stato definito come la regolazione interattiva della sincronia biologica tra due organismi. Queste transazioni a due servono nel breve termine a regolare lo stato affettivo del neonato e sono inoltre associate, nel lungo termine, a importanti modifiche strutturali del cervello. È stato suggerito che la regolazione del sistema emozionale immaturo del neonato da parte della madre, in determinati periodi critici, possa rappresentare il principale fattore responsabile della modulazione da parte dell’esperienza dello sviluppo di alcune aree cerebrali, e in particolare delle strutture cortico- e sottocorticolimbiche a cui è attribuibile l’autoregolazione degli stati emozionali. I risultati di una serie di studi più approfonditi condotti su soggetti postistituzionalizzati provenienti dai paesi dell’Europa orientale confermano che le esperienze sociali precoci hanno un ruolo di primo piano nello sviluppo dei processi affettivi di base: questi bambini mostrano infatti notevoli difficoltà ad appaiare le espressioni facciali appropriate a scenari lieti, tristi o spaventosi. A ulteriore conferma della presenza in questi bambini di importanti alterazioni del funzionamento cognitivo ed emozionale, nel 2001 il gruppo di Harry T. Chugani ha osservato in un gruppo di soggetti rumeni postistituzionalizzati una riduzione del tasso metabolico del glucosio in svariate regioni corticali.