NETTUNO
. Neptunus, etr. Nethuns, nome d'incerta etimologia (sono da scartare quelle antiche da nubes o da nare) ma di origine certamente italica (Nept-unus; cfr. Port-unus, trib-unus, Fort-una) è in Roma il dio dell'elemento umido e particolarmente delle acque correnti. Negli Atti arvalici riceve l'epiteto di pater, che nulla aggiunge alla sua fisionomia, la quale rimane indistinta finché al dio, identificato con Posidone (v.) non fu attribuito anche il dominio del mare e la relativa mitologia.
Nell'antico calendario romano la sua festa, Neptunalia, cade il 23 luglio, durante i calori estivi e subito dopo le Lucarie (19 e 21 luglio) con le quali sembra formare un complesso. Infatti come le Lucarie erano una festa dei boschi, così era caratteristica delle Nettunali l'erezione di capanne di frasche dette "ombre": Umbrae vocantur Neptunalibus casae frondeae pro tabernaculis (Festo, s. v.). L'uso di queste capanne si ritrova in Roma nella festa di maggio del collegio arvalico, e nella festa di Anna Perenna; a Sparta nelle Carnee; in Israele nella festa dei Tabernacoli. Certo una festa al dio delle fonti in questa stagione sembra soprattutto diretta a deprecare i danni della siccità.
Paredra di Nettuno è Salacia che ha lo stesso significato primordiale di patrona delle fonti vive (cfr. salaces Nymphae); poi, dopo l'assimilazione di Nettuno a Posidone il suo nome si fece derivare da salum "mare" ed essa fu assimilata ad Anfitrite e a Teti.
Posidone entrò in Roma dall'Italia meridionale, forse da Taranto, che era sede insigne del suo culto (Neptunoque sacri custode Tarenti, Orazio, Carm., I, vv. 28, 29); il terminus ante quem della sua venuta è il lettisternio del 399 a. C. (Liv., V, 13) nel quale Nettuno è appaiato a Mercurio, forse per la relazione stretta che lega il mare al commercio. Nel lettisternio del 217 invece, Nettuno è appaiato a Minerva (Liv., XXII, 10). Come dio del mare Nettuno riceve un rilievo assai maggiore. Il primo Africano sacrifica a lui e a Giove O.M. prima di salpare per l'Africa (Appian., Pun., 13); a lui, ai Venti e alla Tranquillità del mare offre un'ara Ottaviano prima di attaccare Sesto Pompeo che, da sua parte, si dichiarava figlio di Nettuno (Appian., Civ., V, 98; Corp. Inscr. Lat., X, 6642-44), a lui e a Marte è eretto un trofeo dopo Azio (Svet., Oct., 18).
Durante l'epoca imperiale alla sua festa - che non doveva avere per sé stessa un grande rilievo se Orazio dice di non saper che fare in quel giorno: "Festo quid potius die Neptuni faciam?" - erano, almeno dal sec. III d. C., associati i giuochi (ludi Neptunalicii) che consistevano in corse e in naumachie.
Ma là dove non v'era la vicinanza del mare (popolazioni alpine, Pannonia, Africa povera d'acqua) Nettuno ha mantenuto la sua caratteristica di dio delle fonti, o associato a divinità delle fonti, e ha la tutela dei ponti, come l'epigrafia abbondantemente attesta. Valga per tutte l'epigrafe dedicata in Lambesa da Antonio Pio: collectis fontibus et scaturiginibus aedem Neptuni (a) solo fecit (Corpus Inscr. Lat., VIII, n. 2653).
A lui erano devoti quanti vivevano dell'acqua: pescatori, marinai, molinari, vettori.
In Roma Nettuno ebbe parecchi santuarî: un Neptunium nel Campo Marzio (Cassio Dion., LIII, 27, 1) detto anche Basilica Neptuni (Hist. Aug., Hadr., 19); un sacello e un'ara nel Circo flaminio, ara che trasudò nel 206 a. C. (Liv., XXVIII, 11); e una Aedes presso il Circo flaminio dove figurava il gruppo di Nettuno, Teti, Achille e le Nereidi scolpito da Scopa (Plinio, Nat. Hist., XXXVI, 4, 7).
Non v'è ricordo di raffigurazioni latine di Nettuno. Quella. tradizionale con tridente e delfino, nudo o ammantato, solo o con corteggio di Nereidi, è dovuta all'arte greca, per cui v. posidone.
Bibl.: Preller-Jordan, Römische Mythologie, 3ª ed., II, Berlino 1893, p. 120 segg.; G. Wissowa, Neptunus, in Roscher, Lexikon, III, coll. 201-207; id., Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 225 segg.