MARTINENGO, Nestore
MARTINENGO, Nestore. – Nacque con tutta probabilità a Brescia intorno al 1547-48, ultimogenito di Alessandro di Gianmaria, del ramo dei conti Martinengo di Barco, e di Laura di Graziolo Gavardo, la cui dote era consistita nello stabile di Villanova.
Il padre, già capitano in Fiandra e cultore del mondo classico, utilizzato per l’onomastica della prole, fece testamento il 13 marzo 1550 e morì prima del 6 agosto. Dal matrimonio con Laura erano nati, prima del M., Ortensia (sposa, nel 1561, di Ercole Salis Soglia, colonnello dell’esercito imperiale a Rastadt); Ulisse (1545 - circa 1570), che fu esule per motivi di fede, abbracciò il calvinismo insieme con la madre e divenne pastore in Valtellina, esercitando soprattutto a Morbegno (A. Olivieri, Ulisse Martinengo, Brescia e la «religio Helvetica» (1572-1574), in Riformatori bresciani del ’500. Indagini, a cura di R.A. Lorenzi, Brescia 2006, pp. 169-187); Aiace; Achille; Ascanio, nato nel 1541, da distinguere dall’omonimo del ramo Cesaresco (1555-83), che ospitò B. Arnigio, fu rappresentato da costui nella terza delle Veglie (Brescia 1577), fu abate di Leno nel 1567 e fondatore, nel 1573, a Padova dell’Accademia degli Animosi. Invece, l’Ascanio fratello del M. indossò, nel 1557, l’abito dei canonici lateranensi in S. Afra di Brescia e si distinse come religioso colto, predicatore elogiato dal futuro vescovo di Chioggia Gabriele Fiamma, autore di Praeludia in Sacram Scripturam, rimasti inediti, di Glossae… in Genesim (Padova 1597), accreditato agiografo locale con le Vite de’ ss. Faustino e Giovita, di s. Affra e d’altri santi bresciani… (Brescia 1602). Nel 1585 fu nominato visitatore della sua Congregazione e, nel 1591, fu eletto generale. Morì non, come si riporta, nel 1600, ma dopo il 1° giugno 1602.
Quanto al M., optò per la milizia. Nel 1567-69 fu a Creta, al seguito di Girolamo Martinengo di Padernello, cooperando con lui a lavori di fortificazione. Rimpatriato, il 15 marzo 1570 salpò, sempre al seguito del congiunto, alla volta di Cipro, dove sbarcò il 2 maggio con un contingente ridotto dalle vicissitudini del viaggio e dalla febbre, di cui anche Girolamo era stato vittima durante la navigazione.
Tra i difensori di Famagosta (tra i quali si distinse Ercole Martinengo da Barco, già architetto militare proprio a Cipro e in particolare a Famagosta), sempre più attanagliata, dopo la caduta di Nicosia, dall’assedio ottomano, nell’aprile 1571 il M. passò al comando della sua compagnia. Diresse, altresì, lo scavo d’una galleria per intercettare quella fatta dal Turco per far saltare le mura. Ferito due volte, il 29 giugno e il 9 luglio, non desistette dal battersi. Il 5 agosto fu latore della lettera di Marcantonio Bragadin a Mustafà Lalà, pascià di Damasco, dove – dopo 11 mesi d’assedio costati agli Ottomani 50.000 uomini – i Veneziani chiedevano una resa con garanzie. Il comandante turco rispose con toni tranquillizzanti, sicché in serata Bragadin gli si consegnò fiducioso, ma il vincitore reagì con un brusco voltafaccia per vendicare una cinquantina di prigionieri turchi che Bragadin, il giorno prima della resa, aveva fatto trucidare. La fine del patrizio veneziano fu atroce e con lui perirono pure Astorre Baglioni e Luigi Martinengo delle Palle; i circa 700 superstiti del sanguinoso assedio furono destinati a spietata schiavitù e poi inviati a Costantinopoli il 22 settembre. Per cinque giorni il M. si nascose in una casa di famagostani; quindi, raccomandato da «un greco suo amico», si consegnò come schiavo personale riscattabile con 500 zecchini a un sangiacco del Bei. A Costantinopoli – anche grazie ai denari fatti avere al sangiacco da un medico bresciano (forse un rinnegato colà esercitante) – il M. godette d’una certa libertà di movimento, grazie alla quale, in modo ingegnoso, poté veleggiare fino a Tripoli di Siria. Qui con l’aiuto del console francese s’imbarcò per Creta, dove lo accolse calorosamente il comandante delle milizie Latino Orsini, e il 3 dic. 1571 sbarcò a Venezia, come racconta il nunzio G.A. Facchinetti (futuro Innocenzo IX), esponendo le traversie del M. più chiaramente di quanto egli stesso avrebbe fatto.
Dell’assedio di Famagosta, il M. rese una lunghissima Relatione, che sia nel 1571 sia nel corso dell’anno seguente fu stampata più volte in più luoghi (Brescia, Milano, Fano, poi Verona, Venezia) ed ebbe traduzioni in tedesco (Augusta 1572) e in francese (Parigi 1572, opera questa di François de Belleforest), divenendo uno dei testi di più intensa circolazione sulla guerra contro il Turco ancora in corso. Sempre del M. una breve Agionta – rimasta manoscritta – alla Relatione, ove rapidamente rifletteva sulle caratteristiche dell’esercito del Turco, connotato da obbedienza, parsimonia, capacità di sopportare disagi e privazioni e assenza del timore della morte, in quanto quella ottenuta in battaglia era ritenuta meritoria. A fronteggiare un tanto esercito così motivato era necessaria, da parte della Cristianità, una milizia non mercenaria, strutturata senza i vincoli che limitassero i comandi e l’azione del principe ereditario, pronta a obbedire a un principe «nuovo».
Il M. era assente da Brescia quando, il 13 ott. 1572, il fratello Achille vendette anche a suo nome dei beni, a Villanova, al conte Leopardo Martinengo; risulta, invece, essere in città il 15 nov. 1578 e, ancora, il 6 maggio 1591 e il 16 apr. 1592, in concomitanza con la stipula di alcuni accordi patrimoniali. Comunque – a parte qualche puntata intermittente – il grosso del suo tempo l’impiegò, non senza discapito dei suoi interessi privati (quali la lite per un possesso d’acqua, nella quale prevaricò il conte Ettore Martinengo), al servizio della Serenissima. Per tre anni fu governatore a Sebenico, dove le condizioni della milizia e delle dotazioni d’armi erano lamentevoli, come riferì al termine del mandato. Nel 1582 ebbe il governo di Legnago, a capo di 35 fanti. Dal 1592 fu a Corfù, governatore della fortezza vecchia. Il 18 maggio 1594 sottoscrisse a Zara una emptio, trovandosi lì di passaggio, forse trattenuto dal maltempo e pure dall’attesa di galere per Venezia. È pertanto ragionevole l’ipotesi che ne Il dialogo dove si descrive il ragionamento fatto da un conte con l’autore (in B. Lorini, Delle fortificationi…, Venetia 1597, pp. 52-104 e di nuovo, ibid. 1609, pp. 56-110 e parzialmente in Arte militare di varii autori, a cura di L. Carrer, ibid. 1840, pp. 117-163) Lorini rappresenti nel «conte», suo interlocutore in quel di Zara per cinque giornate (stando alla prima edizione) o per sei (stando alla seconda), proprio il M., sia perché il conte ricorda la diretta esperienza dell’assedio di Famagosta, l’avervi «visto patire e miserabilmente morire», l’esservi «stato fatto schiavo», sia per il riferimento a un antecedente colloquio avvenuto a Corfù, nel quale i due s’erano, appunto, ripromessi di avere, con l’occasione, «un commodo e lungo ragionamento sopra il modo di fortificare».
Il M. morì a Corfù nel 1598. È pertanto errata la persistente notizia che ne ritarda la fine al 1630: forse questa data vale per l’omonimo conte Nestore Martinengo che al testamento del 23 giugno 1627 aggiunse, il 29 giugno 1629, un codicillo.
La nobile romana Livia degli Amici figurava vedova del M. e tutrice dei figli già in una locatio del 15 ott. 1599. Dall’unione era nata numerosa prole: una sola femmina, Orizia, dotata dalla madre il 24 ott. 1601 per entrare nel convento bresciano di S. Giulia; e ben dieci maschi: Bernardo, Leonardo, Sforza, Achille, dei quali resta solo il nome; Alessandro, volontario in Fiandra, morto nel 1601 all’assedio di Ostenda; Gianbattista (1588-89 - 1630 circa) che, entrato a 14 anni nella Compagnia di Gesù, morì prodigandosi per gli appestati a Bologna, autore d’una Cynosaura devotis Deiparae… dedicata al fratello Marcantonio; Cesare, governatore in varie città venete; Gianfrancesco (1595-1647) che sposò la friulana Camilla Porcia e fu al seguito d’ambasciatori veneti a Costantinopoli, Vienna, Roma; Ottaviano che, nato nel 1594, dopo le armi divenne camaldolese, con il nome di Anselmo, nell’eremo di Rua nel Padovano per poi fondare nel 1639 quello di S. Bernardo a Gussago.
Quello che più si distingue tra i figli del M. è Marcantonio (1592-1673), il quale fu canonico nel duomo di Padova e dedicò al capitolo un ponderoso Trattato pio e necessario… alla vera divotione… di Maria (Venezia 1629). Amico e benefattore dei teatini, fu vescovo di Torcello dal 1643 e fece stampare il Ritus admittendi vergines saeculares ad habitum et recipiendi novitias… (ibid. 1654), già fissato con decreto sinodale del 1648; frutto del medesimo sinodo fu la stampa delle Constitutioni… per la retta disciplina monacale che, stabilite da un precedente vescovo, Antonio Grimani, sono da lui confermate… con aggiunta d’alcuni de suoi decreti… a buona direttione de’ monasteri… (ibid. 1666). A lui si devono il calendario torcellano; l’intransigenza severissima contro le zazzere e i capelli lunghi del clero; la sostituzione con la Dottrina cristiana di Roberto Bellarmino di quella – già vigente nella diocesi – del patriarca di Venezia Lorenzo Priuli; la proclamazione di s. Eliodoro vescovo a santo protettore della diocesi con la fissazione a festa di precetto del 3 luglio. Affezionato alle memorie della sua gens, Marcantonio Martinengo fece pubblicare – nella versione latina di Ottavio Ferrari che uscì col titolo di Origo et stemma gentis Martinenghae (Padova 1671) – una dissertazione di Francesco Leopardo Martinengo sull’Antichissima origine della famiglia Martinengo.
In precedenza aveva pubblicato i Ricordi…a’ suoi figliuoli (Padova 1650) del M., che ai figli aveva raccomandato la virtù e l’applicazione allo studio senza peraltro esortarli alla vita militare, nella quale lui s’era impegnato.
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