NESAZIO (Nesatium; Νέσακτον)
Municipio romano presso il moderno villaggio di Altura sulla strada che da Pola (v.) va nella Liburnia (Jugoslavia). Perdute le più antiche fonti, quali il xvi libro degli Annali di Ennio e il Bellum Istricum di Ostio, il nome di N. appare per la prima volta in Livio (xli, ii, i) dov'è narrata l'ultima fase della guerra istriana secondo una congettura del Cluverio (Italia antica, i, p. 213) che emendò la lettura dei codici oppidummetmattis in oppidum Nesactium, nome già altrimenti conservatoci in Plinio (Nat. hist., iii, 19, 129), Tolomeo (3, i, 27: Νέσακτον) e nell'Itinerario ravennate (5, 14; cfr. 4, 31). Le ricerche degli studiosi locali dell'8oo (P. Kandler, L. Luciani e C. De Franceschi), riconobbero il luogo nel moderno villaggio di Visazze (nei documenti del Medioevo Isaccio, Campo Isacci o Isazii) a circa 11 km da Pola nei pressi di Altura, risultato cui pervenne anche l'intuizione del Mommsen e che due importanti scoperte epigrafiche dovevano più tardi pienamente confermare (T. Mommsen, Inscr., Pola et Nesatium, v. x, f. 1, 672, 676).
La Società Istriana di Archeologia e Storia Patria (sotto la direzione di P. Sticotti e A. Puschi), intraprese nel 1900 i primi scavi regolari che continuarono in parecchie campagne e dettero frutti cospicui soprattutto nel quadro della civiltà preistorica dell'alto Adriatico, dimostrando sul posto una continuità di abitato dall'Età del Bronzo alla conquista romana del 177 a. C. N. nasce infatti come villaggio fortificato (castelliere) tipico delle popolazioni proto-illiriche che subentrano nella regione alle popolazioni trogloditiche di stirpe mediterranea. Le tombe di questi più antichi abitanti non sono ancora state trovate, ma dovevano essere a tumulo, erette in luoghi visibili da lontano (simili a quelli di Monte Orsino, Monte Roncon, Barbariga, Promontore e così via). Nella prima metà del I millennio a. C. una seconda invasione, pure di stirpi illiriche, i Veneti, subentrò alla prima, che sottomise, pur senza distruggerla. I Veneti continuarono ad abitare nel castelliere, ma si valsero di un altro rito funebre, l'incinerazione. Di grande interesse è stata perciò la scoperta della relativa necropoli, sia per le sculture e i rilievi trovati in frammenti usati come lastre di copertura delle tombe, sia per la suppellettile di queste.
I primi furono variamente interpretati dai moltissimi che ne hanno fatto oggetto di studio, vedendovi alcuni (Sticotti, Gnirs e in un primo momento anche il von Duhn), i resti di edifici sacri già eretti sulla cima del castelliere, da ricollegarsi a prototipi micenei, altri invece distinguendo fra i prototipi degli elementi puramente decorativi e quelli delle sculture vere e proprie.
Si tratta infatti di una serie di lastre decorate con linee spirale variamente intrecciate, o a meandri a incrocio perpetuo, nonché di sculture a tutto tondo, resti di figure umane sedute, figure maschili nude del tipo degli xòana, tre frammenti di figure itifalliche, un cavaliere ignudo, una mezza testa femminile, il torso di una donna ignuda che allatta un bimbo mentre sta per darne alla luce un altro, infine una doppia testa. Come dimostra la base su cui stava la figura seduta, i due elementi, figurativo e ornamentale, sono inscindibili e quindi contemporanei non solo, ma essendo stati trovati senza possibilità di dubbio fuor d'opera a completamento di tombe, debbano essere anteriori a queste.
È da ritenersi perciò che le sculture non escano dall'ambito delle sculture greche del VII-VI sec., con cui concordano per la primitività delle forme e per il carattere sacro. E poiché intermediarî etruschi sarebbero da escludere per l'età anteriore all'occupazione di Bologna, non rimane che il filone greco risalente verso l'alto Adriatico. Il motivo poi della decorazione a spirale e a meandro è evidentemente derivato dalla ceramica a nastro (Bandkeramik), il cui campo di espansione è l'intero Mediterraneo orientale e l'Adriatico: a N. non meno che a Novilara (v.) nel Piceno ne è dimostrato il persistere sino al V secolo.
Infatti i motivi ritornano anche nella decorazione dei vasi cinerari issati nelle tombe, cui le lastre sopra ricordate fanno da copertura. Si tratta di ossuarî deposti in buche semplici o circondati da pietre. Si distinguono anche aree a più ossuari di età diverse, evidentemente destinate a gruppi familiari. Le tombe più antiche sono quasi senza suppellettile, mancano del tutto le fibule e le urne sono senza ornati. Nelle più recenti accanto a manufatti locali stanno oggetti di importazione dal Veneto (bronzi fra cui ciste a cordoni e situle figurate), dall'Apulia e dalla Grecia: magnifico esemplare di esse è la tomba in cui si sono trovati 10 vasi di tipo locale, ma altri più numerosi atestini e àpuli di tipo geometrico, un vaso attico a figure nere e 18 recipienti di bronzo. Si può indicarne la data in corrispondenza del 11-111 periodo atestino (V-IV sec. a. C.). Scarse, per non dire addirittura inesistenti, sono invece le tracce di influenze galliche.
Nel periodo romano N. fu sede di un municipium trasformato a partire dal III sec. d. C. in respublica. In questo centro romano si sono trovate tombe, resti di un tempio e di culti di origine preistorica, infine il Campidoglio con tre templi e il cerchio delle mura del 111-1V sec. d. C. L'età paleocristiana è attestata da due basiliche parallele esplorate dal Puschi. Dall'VIII sec. in poi si perde ogni traccia della località.
Bibl.: C. Marcheselli, I castellieri preistorici di Trieste e della reg. Giulia, Trieste 1903; Atti e Memorie della Società istriana di archeologia e storia patria, passim, in particolare v. XVIII, 1901; v. XIX, 1903; v. unico (Nesazio-Pola), 1905; v. XXX, 1914; v. I, N. S., 1949, p. 27 ss.; A. Gnirs, Istria praeromana, Karlsbad 1925; B. Tamaro, A proposito di alcune sculture di Nesazio, in Boll. Pal. Ital., XLVII, 1927; F. von Duhn, in Reallex. der Vorgeschichte, Berlino, VIII, 1927, s. v.; M. Fluss, in Pauly-Wissowa, XVII, 1936, c. 65-68, s. v. Nesactium; F. Duhn-M. Messerschmidt, Italische Gräberkunde, II, Heidelberg 1939, s. v.; B. Forlati Tamaro, Inscr. Ital., X, Regio X, f. I, Pola et Nesatium, Roma 1949; A. Novak, Prehistorischer Hvar (= Leina). The Cave of Grabar, Zagabria 1955, p. 298.