NERI da Rimini
NERI da Rimini. – Nato attorno al 1270, originario di Rimini (nei documenti è detto «de Arimino») o della limitrofa pieve di S. Cristina, in relazione alla quale è spesso menzionato, ebbe qualifica di notaio e miniatore, anche se non è possibile certificare se svolse per tutta la vita entrambe le professioni.
Fino al 1330 è segnalato nelle fonti (ritrovamenti archivistici – dovuti innanzitutto a Delucca [1992A] – e sottoscrizioni datate su codici miniati) solo come «pictor» o «miniator». In gran parte delle occorrenze è indicato come «Nerius», benché in alcuni atti ufficiali sia attestata la forma «Neri», di origine toscana, con la quale è più noto oggi. Nelle firme, dove normalmente ricorre con lievi variazioni la formula «opus Neri miniatoris de Arimino», «Neri» potrebbe corrispondere tanto al genitivo indeclinabile quanto a forma abbreviata di «Nerii».
La prima testimonianza nota compare sul foglio sciolto di antifonario, datato al 1300 e firmato, oggi nella collezione della Fondazione Giorgio Cini di Venezia (inv. 2030). Dallo stesso codice proveniva una seconda carta, anch’essa sottoscritta e datata, oggi perduta. In un documento del 9 marzo 1303 si trova menzione di un «Nerius pictor», il cui terreno confinava con appezzamenti situati «in plebe Sanctae Cristine» per i quali l’ospedale di S. Lazzaro al Terzo, potente istituzione sulla via Flaminia, vicino a Rimini, percepiva un canone d’affitto (Delucca, 1992A, pp. 66 s.). Il possesso legale di un fondo indica che a quella data dovesse avere almeno 25 anni. Sempre del 1303 e commissionato dallo stesso ospedale di S. Lazzaro, come dimostra la dettagliata sottoscrizione, è un graduale oggi conservato al Museo diocesano di San Miniato (Pisa), esemplato probabilmente con l’aiuto di collaboratori. Il 16 (o 12) febbraio 1306, «Neri miniator» fu chiamato come testimone al rogito di «magister» Fusscolus pittore, per un rinnovo enfiteutico in contrada S. Bartolo, sotto la giurisdizione dell’ospedale di S. Lazzaro (ibid., p. 67). Del 1308 è il foglio sciolto al Cleveland Museum of art (Wade Fund, inv. 53.3651), anch’esso sottoscritto e datato.
Importante lavoro fu la serie dei tre antifonari notturni per il duomo di Faenza, oggi nuovamente riuniti presso la sede originaria (mss., A4, A5, A6); il termine post quem per la realizzazione è il 13 agosto 1309, anno in cui risulta registrata la somma di 100 libbre di bolognini, chiesta in prestito dal capitolo del duomo per pagare il lavoro (Faenza, Biblioteca comunale, Schedario Rossini). Nel 1314 vennero conclusi i tre codici di antifonario per la chiesa di S. Francesco di Rimini, oggi mutili e dispersi (tra i nuclei principali: Bologna, Museo civico medievale, 540; Cracovia, Biblioteka Czartoryskich, Czart. 3464; Philadelphia, Free Library, Collezione Lewis, 68, 7-9); la paternità, oltre a fattori di stile, è comprovata dalla firma stessa, celata nell’anagramma «rius-ne», che appare in un cartiglio a c. 3r del manoscritto bolognese.
Non firmata da Neri, ma senz’altro eseguita sotto sua responsabilità, è parte della decorazione del codice conservato nella Biblioteca apostolica Vaticana (Urb. lat., 11), cui misero mano anche altri importanti artisti coevi, come il pittore Pietro da Rimini. Il manoscritto, esemplato su richiesta di Ferrantino di Malatestino de’ Malatesti, signore di Rimini, raccoglie una copia dei Commenti ai Vangeli, agli Atti e all’Apocalisse, tradotta in francese da «Gefroi de Pinkegni» e terminata da «Pieres de Cambrai» fra il 1321 e il 1322 (o 1322-23), come risulta da notazioni rispettivamente alle cc. 424v e 425r. Nel 1326 Neri è menzionato come «Nerio uminiatore» in quanto teste di un atto relativo a una terra in S. Cristina (Delucca, 1992A, p. 70). L’ultima opera datata a lui attribuibile è l’antifonario conservato a Sydney (State Library of New South Wales, Rare books and special collections, Richardson 273), realizzato nel 1328, come documenta un lacerto di scrittura a c. 1r, forse di mano di Bonfantino, copista francescano bolognese che già aveva collaborato ai corali di S. Francesco. Ancora con la sola qualifica di miniatore, il 6 aprile 1330, Neri risulta versare, per conto di una vedova di contrada S. Bartolo, un canone di affitto al monastero di S. Giuliano e fare da testimone del rogito successivo (Delucca, 1992A, p. 72).
Il 24 gennaio 1330, un Nerio notaio, figlio di Pietro, stilò un rogito per il rinnovo della concessione di un terreno a Vergiano da parte del sindaco del convento di S. Marino, utilizzando la formula «Ego Nerius filius quondam Petri cives Arimini imperialis auctoritate notarius et iudex ordinarius rogatus scripsi» (ibid., p. 70). Dato il periodo interessato, si ha tendenza a identificare il Neri miniatore con il notaio figlio di Pietro e, con entrambe le qualifiche, o una sola, compare nei documenti successivi; nelle fonti si trova anche un omonimo «Nerius quondam Bernardini», dall’attività notarile legata però all’area di borgo S. Giuliano, e collocabile in un periodo precedente – cioè l’inizio del Trecento – al probabile inizio dell’attività del Neri miniatore (ibid., p. 68). Ancora in relazione alle terre di S. Cristina Neri risulta far da testimone, menzionato la prima volta come «miniator», la seconda come «magister» e «notarius» (ibid., p. 73), sia l’8 settembre sia il 29 dicembre 1337. Una matricola notarile riminese, ascrivibile al 1338, attesta la competenza di «Nerius miniator notarius» sulla pieve di S. Cristina (ibid., p. 72). Il 28 luglio 1342, un atto stilato da Nerio con la stessa formula del gennaio 1330, registra una donazione a favore dell’ospedale di S. Lazzaro al Terzo (ibid., p. 73). La coincidenza che lega ancora una volta un Neri e l’ospedale farebbe propendere per l’identificazione di questa figura con il miniatore, ma il fatto che in questo documento sia ricordato solo come notaio lascia aperte le conclusioni. Se si accetta tale ipotesi, sarebbe questa l’ultima data a noi nota della sua vita.
Grazie alla relativa ricchezza di testimonianze documentarie e storico-artistiche, inconsueta in un ambito di miniatori medievali di cui spesso non si tramandano che nomi senza corpus o opere senza autore, di Neri è dunque possibile tracciare un profilo più articolato. La produzione superstite oggi nota si compone, oltre ai manoscritti citati, di una cinquantina di fogli sciolti a carattere liturgico, sparsi fra musei e collezioni private. Ai già menzionati bisogna aggiungere l’antifonario, non datato ma attribuito con certezza, oggi presso la collezione privata Amati, a Londra, di cui si ignora la destinazione originale, probabilmente esemplato dopo il ciclo del 1314; più discussa, dato lo stato di conservazione, è la paternità dell’unica miniatura supersite, raffigurante la Missione degli apostoli, del corale oggi a Imola (Museo diocesano d’arte sacra, 16-VIII), datato fra 1315 e 1320, forse eseguito per conto dei serviti. Pur operando intensamente nel territorio di origine, con lavori richiesti da committenze di alto profilo – riminesi o comunque romagnole – Neri si dimostrò assai aggiornato sulle novità in campo pittorico, dando prova fin dal 1300 di una conoscenza precoce e meditata di Giotto. Si formò, con tutta probabilità, sui modelli della scuola bolognese duecentesca, sebbene non manchino spunti còlti dalla scuola pittorica riminese e auliche reminescenze bizantineggianti.
I numerosi interventi di collaboratori, i modelli iconografici ricorrenti, la capacità di gestire ingenti commissioni in poco tempo, suggeriscono che fosse a capo di una bottega fiorente, capace di operare anche senza il suo diretto intervento e di realizzare opere che, seppur non sempre di qualità omogenea, fossero comunque un prodotto riconoscibile del suo atelier: si vedano i manoscritti, datati fra 1314 e 1322, oggi a Venezia (S. Maria della Fava, graduale, Lit. 1, Lit.2/A, Lit. 2/B) e destinati probabilmente ad una comunità femminile riminese. Della sua bottega sono anche i corali oggi a Pesaro (Biblioteca Oliveriana, graduale, Mss., B-24-12-1, B 24-12-2, B-24-12-3, B-24-12-4, B-24-12-5, B-24-12-6, B-24-12-7), probabilmente esemplati entro il 1330 per i domenicani di Rimini. A indiretta conferma di quanto detto è anche l’abitudine, novità assoluta per l’epoca, di firmare o far sottoscrivere le sue opere (anche qualora non interamente di sua mano), scelta che dimostra una notevole consapevolezza del proprio valore, come artista e come responsabile di bottega, una forte volontà di autopromozione, nonché una certa familiarità con la parola scritta come prassi di autocertificazione, derivata forse dalla sua doppia qualifica professionale.
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