NEPOTISMO
. La tendenza a dar favore ai congiunti, senza aver molto riguardo ai loro meriti, naturale e assai comune in chi ne abbia, in qualsiasi campo, il potere, fu particolarmente rimproverata ai pontefici, che per lo stesso loro altissimo ufficio parevano dovere essere liberi da vincoli familiari troppo stretti e da passioni troppo terrene. Fu detta nepotismo, perché il favore dei papi, soprattutto nell'età seguente alla Riforma cattolica, si rivolse di preferenza a nipoti.
L'esempio di uffici ecclesiastici o politici dati dal papa a persone della sua famiglia era già antico e facilmente spiegabile per la necessità, in cui erano i pontefici anche migliori di cercare, nell'ufficio loro nuovo e di solito breve, innanzi a mille insidie e pericoli, un appoggio in uomini legati a loro anche dal vincolo del sangue, accrescendone l'autorità, perché l'appoggio fosse più efficace:
Così ebbe rimprovero di nepotista Giovanni XV; la potenza dei conti di Tuscolo, già prima grande, fu nel sec. XI aumentata dai pontefici di quella famiglia; lo stesso Innocenzo III favorì largamente i congiunti, che erano tuttavia uomini degni; con minore misura e con loro biasimo, Niccolò III, Niccolò IV, Bonifacio VIII accrebbero gli Orsini, i Colonna, i Caetani. E nepotista fu più d'uno dei papi avignonesi, come Clemente V e Clemente VI, sicché già la capitolazione del conclave del I352 escludeva i congiunti del papa dalla curia e dall'amministrazione dello stato; ma essa rimase lettera morta. La tempesta dello scisma accrebbe il male: con Urbano VI e Bonifacio IX appare il cattivo vezzo di intrecciare gl'interessi spirituali e temporali della Chiesa con l'innalzamento dei familiari e di costituire a essi vaste signorie nello stato pontificio, o fuori di questo; Martino V, nella sua energica opera di restaurazione di quello stato, allargò i dominî già considerevoli dei Colonna e ottenne a essi grandi feudi nel regno di Napoli, che gl'importava assai avere amico.
Comincia così il grande nepotismo; a giustificazione storica del quale possono essere addotti l'isolamento in cui si trovava il pontefice, la scarsità delle sue forze, la poca fiducia che egli poteva riporre nei principi vicini, nei baroni e signori dello stato papale, fin negli ecclesiastici di curia e nei cardinali: gli stessi sforzi, che nelle deliberazioni conciliari di Basilea e nelle capitolazioni di conclave erano fatti per limitare anche in questa parte la libertà del pontefice, davano all'eletto il senso della necessità di avere strumenti sicuri nella difficile lotta per salvare il prestigio del pontificato. Ma l'amore della famiglia trascinò più volte i pontefici a scambiare il mezzo col fine; e, del resto, quel mezzo era già di per sé stesso troppo pericoloso, perché spingeva a dare autorità politica e, peggio, religiosa a uomini non tutti degni, offendeva le altre famiglie potenti dello stato papale e talvolta i vicini e li incitava contro il papa, involgeva questo in maneggi politici e in guerre, costringeva ciascun pontefice a demolire faticosamente l'edificio, che il predecessore aveva innalzato.
L'esempio di Martino V fu seguito troppo largamente da Callisto III, un Borgia, il quale a nipoti giovani e non degni diede la porpora e altissimi uffici - uno di loro fu papa Alessandro VI - e di Borgia, più o meno legittimi, riempì la curia e lo stato. Non del tutto immune da nepotismo fu Pio II, gravemente macchiato Sisto IV, che per favorire i della Rovere e i Riario e soprattutto per creare uno stato a Gerolamo Riario attizzò guerre ed ebbe parte assai sconveniente a pontefice nella congiura dei Pazzi. Poi il nepotismo divenne anche più doloroso, quando il favore del papa si volse a chi gli era più vicino assai di un nipote. Se Innocenzo VIII ebbe da Lorenzo de' Medici biasimo per non avere provveduto a sufficienza al figlio Franceschetto Cibo, il biasimo, troppo significativo per i costumi dell'età, non poteva essere dato ad Alessandro VI, che volle fare un grande stato in Italia al suo Cesare, e agli altri figli e nipoti e congiunti diede uffici e dignità senza numero. Continuò il nepotismo con i papi medicei, Leone X e Clemente VII; e Paolo III malamente congiunse il vantaggio del suo Pier Luigi e degli altri Farnese con una politica per altri rispetti dignitosa e avveduta: Adriano VI e Marcello II furono in quell'età un'eccezione assai ono. evole. Lo stesso ardente fautore della riforma cattolica, Paolo IV, si lasciò in parte guidare da mire nepotistiche nella generosa e necessaria lotta contro la Spagna e i Colonna e, tutto occupato dalla guerra prima, dalla grande opera della riforma poi, abbandonò al nipote Carlo Carafa l'amministrazione delle cose temporali, creando per lui una segreteria di stato. Poi, fatto accorto dell'indegnità di questo e degli altri nipoti, li privò di ogni potere (1559).
Il grande nepotismo fu così spazzato dal soffio purificatore, che alitava sopra la Chiesa; né, del resto, il nuovo assetto, ormai fermo, dell'Italia, offriva a esso un terreno favorevole: la bolla Admonet nos di Pio V (29 marzo 1567), rinnovata dai suoi successori, vietando l'investitura dei dominî papali, ne rese impossibile il ritorno. Ma già Pio IV, sull'esempio di Paolo IV, aveva posto a capo della segreteria, con pienezza di poteri anche negli affari ecclesiastici, un giovanissimo nipote, che per grande ventura fu il santo cardinale Carlo Borromeo. E dopo d'allora presso che tutti i pontefici ebbero al loro fianco il cardinale nipote con autorità più o meno assoluta, grandissima sempre. E, per la maggior parte, diedero ai congiunti uffici e ricchezze: sicché al nepotismo dovettero l'origine o l'incremento della loro fortuna le più delle grandi famiglie romane, Pamfili, Boncompagni, Sfondrati, Aldobrandini, Borghese, Ludovisi, Barberini, Chigi, Altieri; anzi con i Barberini, pontificando Urbano VIII, si ebbe, nell'acquisto per loro di molti castelli nel Lazio e nella guerra di Castro, qualche accenno al riapparire di un grande nepotismo.
Ma anche il piccolo nepotismo era deplorato per le ingerenze dei nipoti, gl'intrighi nei conclavi, le rivalità delle grandi famiglie vecchie o nuove, lo sperpero del denaro, la gravezza dei pesi che venivano a ricadere sui sudditi. Innocenzo XI non pure si tenne affatto immune da questa macchia, ma incoraggiò lo Sfondrati a metterne in luce con un suo scritto la vergogna e il danno, e preparò la bolla che doveva condannare il nepotismo. La bolla, Romanum decet pontificem, fu pubblicata il 22 giugno 1692 da Innocenzo XII: e contiene la proibizione ai pontefici di arricchire in qualsiasi modo i loro congiunti, abolendo uffici e dignità riservate prima a costoro; fu fatto obbligo a tutti i cardinali di giurarla allora, e poi ai cardinali e al nuovo papa di rinnovare il giuramento in ogni conclave.
Dopo d'allora, forse al solo Pio VI possono essere rimproverati l'eccessivo amore e i troppi favori ai Braschi: l'antica piaga si può, del resto, considerare sanata.
Bibl.: Riflessioni sopra il nepotismo, in Civiltà cattolica, II (1868), p. 395 segg.; Jungmann, Dissertationes selectae in historiam ecclesiasticam, VI, Ratisbona 1886, pp. 429-38; ampio, ma confuso articolo di W. Felten, in Wetzer und Weltes Kirchenlexicon, 2ª ed., IX (1895), p. 102 segg.