NEO-GUELFISMO
È la forma italiana d'un movimento culturale europeo: il cattolicismo liberale. La denominazione neoguelfismo fu coniata dai suoi avversarî, Gabriele Pepe e Giuseppe Ferrari, i quali volevano così spacciarsene come d'un semplice anacronismo; ma il nome fu accettato francamente dai nostri cattolici-liberali, che sentivano in esso il mito delle origini e insieme quello della missione della nazione italiana: coi guelfi, sotto le grandi ali del papato, si era rivelata l'Italia all'Europa per la prima volta nei suoi tratti essenziali; coi neo-guelfi, condotti da un nuovo grande papa, l'Italia si sarebbe ricostituita a stato nazionale e avrebbe ripresa la sua missione di civiltà nel mondo.
Da varie fonti scaturisce il neo-guelfismo: dalla riflessione storica sull'opera civilizzatrice del cristianesimo, i cui primi germi si trovano nel De Maistre; dall'attesa fiduciosa in una nuova rivelazione religiosa consistente nella riforma della chiesa cattolica; dall'esperienza politica del tempo sull'efficacia della fusione di sentimento religioso e sentimento nazionale (guerre nazionali della Spagna, della Grecia, del Belgio, della Polonia); dal riformismo dei principi italiani; dall'esempio del costituirsi di formazioni politiche confessionali in Francia e nel Belgio per opporsi al dilagare dell'idea laica.
Sorto con l'ingenuo entusiasmo, con l'intima sincerità di un'utopia nelle pagine dei poeti e degli storici; coltivato nel segreto degli epistolarî e dei conversari privati, il neo-guelfismo piglia corpo in pieno nell'anima del Gioberti con la forma soreliana del mito, creazione consapevole e riflessa del politico, che vuole smuovere le masse. Si rivelò allora un significativo fenomeno di psicologia etico-politica: tra le figure rappresentative i sinceri neo-guelfi, come il Manzoni, il Troya, il Capponi, il Balbo, preferivano chiamarsi moderati e i meno sinceri erano i più entusiasti della denominazione di guelfi. Già il De Maistre col Du Pape aveva tracciato un vasto programma d'azione cattolica su basi nazionali, che avrebbe dovuto ricondurre il papato di nuovo, come nel Medio Evo, alla direzione della storia europea. In questo programma ogni nazione aveva il suo compito specifico, la sua missione da svolgere, ma un certo primato morale spettava alla Francia, come nazione primogenita della chiesa ed iniziatrice in Europa d'ogni grande moto nel bene come nel male. Il Gioberti col Primato (1843) accettò nelle linee generali il programma, ma ne capovolse lo spirito politico dal cattolicismo aristocratico al cattolicismo democratico e, quanto alla nazione iniziatrice, operò una trasposizione dalla Francia all'Italia, che, identificandosi col papato, aveva più diritto della Francia a guidare la cattulicità.
Conciliazione d'Italia ed Europa, d'Italia e papato, di principi e principi, di principi e popoli italiani, il Primato potrebbe definirsi il libro della conciliazione, salvo in un punto: nelle invettive contro lo spirito aristocratico del De Maistre fremeva l'odio accumulato da secoli del bourgeois subalpino per il cavajer. Gioberti lanciava il suo messaggio nel momento giusto: da un lato i principi italiani si erano dati a un'intensa attività riformatrice, specialmente Carlo Alberto e Ferdinando II di Napoli, e andavano slargando i freni agl'intellettuali, permettendo i congressi scientifici; dall'altro i patrioti italiani, sia quelli emigrati, sia quelli residenti nei loro paesi, erano sfiduciati per il poco frutto delle congiure, dei moti insurrezionali. Tuttavia molti esitavano ad accogliere il programma del Gioberti per le lodi che egli dava ai gesuiti: in Francia e nel Belgio gesuiti e cattolici liberali lottavano insieme per la libertà d'insegnamento, ma in Italia la situazione era diversa e per affermare le idee liberali a Torino e a Roma era necessario passare sul corpo dei gesuiti. Il Gioberti comprese il problema e ingaggiò quella famosa polemica con la Compagnia, dalla quale si può fare scaturire come principale risultato la formulazione dei due concetti di civiltà moderna e di civiltà cattolica, che ancora divide la spirìtualità italiana. Oltre questa netta delimitazione nel seno del cattolicismo, che gli guadagnò molte simpatie, il Gioberti non fissò altri confini politici: il neo-guelfismo non si configurò, né d'altronde poteva configurarsi, nella forma d'un partito, ma si presentò come opinione pubblica nazionale, e anzi la polemica contro i partiti, identificati con le sette e le fazioni, divenne uno dei luoghi comuni della scuola ed ebbe un carattere non solo politico, ma morale. Si determinarono invece molti altri problemi: il problema delle comunicazioni (Petitti) e quello doganale (Balbo) per creare in Italia come in Germania la base economica della nazione; il problema dell'indipendenza italiana come nocciolo della politica estera sabauda (Balbo e scuola storica piemontese) e il problema della riforma dello stato temporale dei papi (D'Azeglio e Galeotti) per far leva su Torino e su Roma, i due necessarî centri morali strategici per irraggiare il moto neo-guelfo.
L'elezione di Pio IX (giugno 1846) sembrò tradurre completamente dall'ideale nel reale il sogno neo-guelfo. Non si può spiegare il mito di Pio IX coi procedimenti del reclamismo americano, non si può spiegarlo semplicisticamente come un pallone gonfiato: senza circa mezzo secolo di sogni, di speranze, di attesa fiduciosa in un nuovo Gregorio VII il mito non si sarebbe accreditato. Il neo-guelfismo si sciolse nella lotta senza quartiere di quegli opposti elementi, che esso si era illuso di conciliare. La guerra all'Austria, ponendo in conflitto nella chiesa la sua missione universale e quella italiana, spezzò l'idillio tra papato e Italia e con esso perì il nocciolo dell'ideologia. Con l'assassinio di Pellegrino Rossi si spense ogni speranza di una laicizzazione del dominio temporale e sorse la questione romana. Con il fallimento della lega doganale e della lega politica si rivelarono gli antagonismi degli stati italiani. Con il parlamentarismo e col sorgere dei partiti democratici, il neo-guelfismo fu costretto a riconoscersi come parte tra le parti e prese corpo nel partito moderato. Con la libertà scoppiarono le lotte sociali tra aristocrazia e borghesia in Piemonte, tra borghesia agraria e contadini in altre regioni. In questi contrasti sparì il neo-guelfismo, che ebbe breve vita, ma lasciò un bilancio cospicuo.
In letteratura il neo-guelfismo diffuse in Italia il romanticismo (v.); in filosofia tentò realizzare nei limiti d'una filosofia cattolica le esigenze del criticismo e dell'idealismo (v. Gioberti; rosmini); nella storiografia pose i problemi centrali della storia e dell'educazione nazionale; nella religione, se fasciò di risolutezza i cattolici del Risorgimento, e li spinse ad andare oltre gli anatemi del papa per realizzare l'unità nazionale, salvò pure il cattolicismo dall'identificarsi e dal perire con le vecchie forme politiche - tanto che si dovette coniare un nuovo vocabolo per definire il cattolicismo retrivo, quello di clericalismo - e spinse la Chiesa a porsi al di sopra dei partiti con le teorie del padre Taparelli e della Civiltà Cattolica; nella politica infine trasformò in sentimento politico nazionale il sentimento politico locale, facendo confluire nella cultura nazionale le culture regionali, e quindi compì, sotto certi rispetti, un'opera d'educazione nazionale maggiore di quella di Mazzini, perché operava dal seno stesso delle vecchie formazioni statali italiane e ne produceva la crisi morale. Del neo-guelfismo, restò, trasformandosi ed evolvendosi, il liberalismo nazionale o partito moderato col nuovo ideale d'Italia e casa Savoia, elaborato dalla storiografia piemontese; restò il cattolicismo nazionale, che abbandonò le idee di riforma cattolica, si restrinse ad aspirare alla conciliazione tra il papato e la patria italiana e ha visto realizzato il suo sogno dalla nuova politica ecclesiastica italiana di B. Mussolini; restò l'ideale del primato, che è stato ripreso dal fascismo. Nessuna continuità storica invece esiste tra neo-guelfismo e modernismo italiano, tra neo-guelfismo e partito popolare: modernismo e popolarismo furono formazioni culturali e politiche nuove e, se il popolarismo accolse il cattolicismo nazionale, non gli permise di dare il tono dominante al partito.
Bibl.: G. Gentile (Rosmini e Gioberti, Pisa 1898) ha delineato l'ossatura speculativa dell'indirizzo neo-guelfo, ma manca ancora un buon lavoro che ingrani la storia della filosofia nella storia piena. Un tentativo di sintesi è quello di F. Landogna, Saggio sul cattolicesimo liberale nel sec. XIX, Livorno 1925. Una vigorosa caratteristica del neo-guelfismo in contrapposizione al democraticismo, in F. De Sanctis, La letteratura italiana nel sec. XIX, Napoli 1898; cfr. anche E. Solmi, Mazzini e Gioberti, Milano-Roma-Napoli 1913. Per la storiografia, B. Croce, Storia della storiografia italiana nel sec. XIX, I, Bari 1921; per la religione, A. Gambaro, Riforma religiosa nel carteggio inedito di R. Lambruschini, I, Firenze 1926; per la politica, A. Anzilotti, Dal neo-guelfismo all'idea liberale, in Nuova riv. stor, 1917, pp. 227-56 e 385-422; id., Gioberti, Firenze 1922: id., La funzione storica del giobertismo, Firenze 1923; per l'economia, R. Ciasca, Origini del programma per l'opinione nazionale italiana del 1847-48, Milano-Roma-Napoli 1916; per il confluire della cultura regionale nella nazionale e la funzione neo-guelfa, G. Gentile, G. Capponi e la cultura toscana nel sec. XIX, Firenze 1922; per alcune osservazioni generali, B. Croce, Storia dell'Europa, Bari 1932; A. Omodeo, Figure e passioni del Risorgimento, Palermo 1932.