NEMRUD DAGH
È la tomba con il santuario sepolcrale del re Antioco I di Commagene (morto fra il 38 e il 32 a. C.).
Il santuario si trova a 2.100 m di altezza sulle vette dell'Anti-Tauro. Tutto il massiccio, che è coronato dal tumulo, alto 50 m, è chiamato oggi Ankar Dagh; non sono ancora noti i nomi con i quali anticamente venivano designati il tumulo ed il massiccio montuoso. La catena montuosa si innalza al di sopra dello scosceso pendio verso i Kâhta Çay (l'antico Nymphaios); sul vasto altopiano il tumulo costituisce un'altura netta e caratteristica poiché le propaggini meridionali del Tauro, al contrario di quelle settentrionali, si stagliano ripide e la catena principale non è nascosta da contrafforti, il massiccio era particolarmente adatto per la collocazione di un santuario sepolcrale, giacché lo si sarebbe potuto scorgere da ogni parte del regno di Commagene (cfr. Carta generale della Turchia, 1: 200.000, Ankara 1946-47; foglio F, xii Siverek i, 1-111).
Il primo impulso per una ricerca scientifica del santuario fu dato dall'ingegnere K. Sester. Nel 1880 il Sester percorse l'Asia Minore orientale per incarico del governo turco, ai fini di progettare un tracciato di vie di comunicazione per i trasporti commerciali che collegassero quella parte della regione con l'Anatolia centrale ed i porti del Mediterraneo, soprattutto Iskenderun. Durante le perlustrazioni a cavallo gli aiutanti curdi del Sester richiamarono la sua attenzione sulla caratteristica ed imponente forma del tumulo in cima al N. D., che per un vasto raggio era visibile anche da molto lontano. Dapprima i racconti sulle colossali figure di divinità poste davanti al tumulo sulla cima del Tauro dovettero sembrargli piuttosto inverosimili, e dopo il suo ritorno la sua relazione ebbe in un primo tempo la stessa incredula accoglienza. Nel frattempo il Sester volle accertarsi di persona della veridicità dei racconti e rimase letteralmente stordito dalla sublime grandiosità della costruzione e dalla bellezza del paesaggio.
Quello che probabilmente dovette ancor più meravigliare il Sester era il fatto che questo incomparabile monumento, posto a più di 2.000 m sul livello del mare, apparisse del tutto sconosciuto al mondo degli studiosi. Il Sester non lo trovò indicato su nessuna carta, nè in quella di H. von Moltke, che nel 1838-39, durante le sue ricognizioni, aveva percorso la Commagene in lungo e in largo, né in quella di W. F. Ainsworth. Entrambi avevano dovuto vedere il tumulo sul N. D. dal plateau della fortezza di Gerger (Arsameia sull'Eufrate) senza però aver sentore dell'importanza della cima artificiale di quel monte. Perciò non c'è da meravigliarsi che in un primo tempo all'Accademia di Berlino vi fosse uno scarsissimo interessamento allorché giunsero le prime notizie di questa costruzione cultuale. Comunque O. Puchstein ebbe l'incarico di mettersi in contatto con il Sester, giacché ambedue risiedevano in quel periodo ad Alessandria d'Egitto.
L'esauriente relazione stesa dal Puchstein a proposito di quest'incontro impressionò talmente la Presidenza dell'Accademia di Berlino, che nell'anno 1882 furono messi a disposizione i mezzi per una spedizione nella Commagene capeggiata dal Sester e dal Puchstein.
Ricerche più minuziose sul monumento del N. D. furono fatte nel 1883. Sotto la direzione di K. Humann furono prese le misure di tutta la costruzione e si fecero i calchi dei rilievi più importanti che da allora sono conservati nell'Antiquarium di Berlino. L'esatta descrizione del santuario è opera di Puchstein.
Negli anni dal 1953 al 1956, sotto il patronato delle American Schools of Oriental Research, venne riportata alla luce l'intera costruzione. La direzione di questa campagna fu affidata a T. Goell ed all'autore.
Nelle iscrizioni conservate sul N. D. il monumento è designato come hierothèsion del re Antioco I di Commagene. Questa denominazione, che significa luogo sepolcrale consacrato da un culto, è certamente originaria dello stesso ambito commagenico, poiché finora è documentata esclusivamente qui. I visitatori accedevano per mezzo di apposite vie processionali allo hierothèsion; questo consta di due terrazze di struttura molto simile situate sul lato occidentale e su quello orientale del tumulo e di una terrazza più piccola a N. Mentre sulla terrazza orientale lo stato di conservazione delle figure di divinità è relativamente perfetto in situ, sulla terrazza occidentale non rimane della disposizione originaria che un caos di blocchi monumentali. Per creare lo spazio per le tre terrazze la roccia fu scavata ed asportata e dal materiale roccioso asportato si ricavò immediatamente la ghiaia utile per il rivestimento del tumulo. Giacché il tumulo è costituito da un massiccio centrale protetto tutt'attorno da un rivestimento di breccia. In questo tumulo, il cui diametro è di circa 160 m, re Antioco I si fece fare la tomba "vicino ai troni celesti" (cfr. iscrizione riga 38: οὐρανίων ἄγχιστα ϑρόνων), nella quale dovevano riposare "le spoglie conservate felicemente fino a tarda età" della persona del re "dopo aver inviata l'anima amata da Dio ai troni celesti di Zeus Oromasdes" (cfr. iscrizione righe 39 ss.).
Dinanzi al tumulo, sulla terrazza orientale e su quella settentrionale, era rappresentato il re stesso come era in uso presso i sovrani d'Oriente, in grandezza monumentale, nella cerchia delle divinità indigene.
Sebbene nella loro struttura le forme siano modellate solo rozzamente, alla maniera orientale, i volti sono invece talmente espressivi che si intuisce il tentativo degli artisti di esprimere l'essenza ed il carattere delle persone rappresentate.
È per noi della massima importanza il fatto che il re Antioco I facesse scolpire sulla parte posteriore dei cinque troni delle statue di divinità un'iscrizione votiva dalla quale possiamo trarre importanti notizie relative alla struttura dello hierothèsion. Il fatto che l'iscrizione sia stata scolpita sul lato posteriore dei troni su ambedue le terrazze, ha reso possibile una ricostruzione quasi integrale del testo, poichè fortunatamente i due esemplari si completano a vicenda.
Prima di passare a denominare le figure di divinità è importante notare che nell'iscrizione nella quale Antioco I si rivolge al mondo contemporaneo e ai posteri, egli stesso ha reso noti sia il significato e lo scopo del suo hierothèsion, sia l'insieme dei suoi concetti religiosi. Conosciamo così re Antioco come annunciatore di una nuova religione, i cui elementi fondamentali egli trasse sincretisticamente dal mondo religioso greco e da quello persiano, della sua "stirpe culla felice" (cfr. iscrizione riga 30 ss.). Secondo quanto asserisce l'iscrizione, al centro, fra le cinque divinità, troneggia Zeus Oromasdes (= il persiano Ahura Mazdāh); alla sua sinistra sta seduta la personificazione della "patria Cominagene che tutti nutre", rappresentata con una cornucopia nella sinistra ed un mazzo di spighe e frutta nella destra e con la testa adorna di una ghirlanda di spighe ed anche di un kàlathos, ora caduto. La dea è l'unica figura ritrovata in stato di perfetta conservazione, a prescindere da alcuni frammenti caduti dalla spalla destra, rintracciati però durante gli scavi. Corrispettivamente, sul lato destro è collocato Antioco divinizzato, mentre i lati esterni sono occupati da Apollo Mithra Helios Hermes (sinistra) e Artagnes Herakles Ares (= il persiano Verethragna), riconoscibile dall'enorme clava che ha nella sinistra. Questa serie di divinità terminava da entrambe le parti con due basi ornate con le statue di un'aquila e di un leone di cui sono rimasti soltanto alcuni frammenti.
Inoltre rappresentazioni molto efficaci raffigurano queste quattro divinità su grandi stele, recanti sul retro iscrizioni esplicative, su cui ciascuna divinità porge la mano al re Antioco. Le quattro stele della terrazza occidentale sono in gran parte conservate (cfr. Humann-Puchstein, tavv. 38-39); erano collocate qui a mo di continuazione della fila di divinità (cfr. la ricostruzione di Humann-Puchstein, p. 328, tav. 48). Sulla terrazza orizzontale queste "stele dei personaggi deificati" erano collocate su una piattaforma direttamente sotto le grandi statue degli dèi. Di queste però, durante i nuovi scavi eseguiti, furono ritrovati soltanto alcuni frammenti.
Le tre divinità principali, Zeus Oromasdes, Apollo Mithra Helios Hermes ed Artagnes Herakles Ares, compaiono ancora una volta sullo splendido oroscopo e precisamente come divinità planetarie, Giove (Φαέϑων Διός), Mercurio, (Στίλβων ᾿Απόλλωνος) e Marte (Πυρόεις ῾Ηρακλ[έους]). Questa rappresentazione costituisce il più antico oroscopo che ci sia conservato. Esso rappresenta un leone colossale eseguito in bassorilievo; il suo corpo è coperto da diciannove stelle e porta la mezzaluna sotto al collo. Sopra alle piccole stelle ad otto raggi ve ne sono di più grandi a sedici raggi ed anche i nomi delle divinità planetarie che le caratterizzano.
Si può premettere con assoluta certezza che l'oroscopo è connesso con la persona del re. Purtroppo i dati astronomici inerenti alla rappresentazione non sono del tutto chiari. Dicono soltanto che l'oroscopo di Antioco era sotto la costellazione del leone e che anche i pianeti Marte, Mercurio e Giove si trovavano nella stessa costellazione contemporaneamente alla Luna (Humann-Puchstein, p. 330 s.). Lo Humann ed il Puchstein stabiliscono come datazione probabile della costellazione l'anno 98 a. C. ed interpretano la rappresentazione come l'"oroscopo della nascita". Al contrario il Neugebauer ed il van Hoesen pongono la costellazione nell'anno 62 a. C. e tentano di metterla in connessione con il nuovo ordinamento politico dell'Oriente, voluto da Pompeo, in cui venne coinvolta anche la Commagene sotto Antioco. Questa interpretazione appare però del tutto inverosimile. Se si dovesse preferire la costellazione del 62 a. C. non ci si potrebbe domandare se in quest'anno fosse per caso stata iniziata la costruzione dello hierothèsion? Però anche la costellazione del 98 a. C. e un interpretazione più o meno possibile, come l'autore del presente articolo si ripromette di dimostrare prossimamente.
Infine dobbiamo citare ancora la Galleria degli Antenati di Antioco sulla terrazza orientale e quella occidentale. Consta di due serie, paterna e materna, rispettivamente persiana e macedone-seleucide, ciascuna delle quali delimita un lato delle terrazze. La serie persiana inizia con Dario I, quella greca con Alessandro il Grande. Ciascuno degli antenati è rappresentato su una lastra di pietra arenaria (donde purtroppo il cattivo stato di conservazione per la maggior parte dei bassorilievi); le iscrizioni sul retro, purtroppo spesso in pessimo stato, denominano i personaggi raffigurati sul lato anteriore. Dinanzi ad ogni singolo rilievo di antenato e posta un'ara formata semplicemente da pietre accatastate. Durante gli scavi recenti fu ritrovato un gran numero di frammenti dei diversi personaggi della Galleria degli Antenati; essi dimostrano che gli artisti erano incaricati di rappresentare i personaggi possibilmente con i loro ornamenti originali. Le fasi principali dell'evolversi degli ornamenti regali sono trattate esaurientemente da I. H. Joung in una pubblicazione in corso (1962).
Per quanto le due terrazze principali possano essere simili nella struttura, differiscono tuttavia per una particolarità importante: sulla terrazza orientale, di fronte alla lunga fila di divinità, era posto l'altare principale dello hierothèsion e se ne può dedurre che principalmente qui si svolgessero le grandi cerimonie culturali. Sull'altare principale, circondato da leoni ed aquile, era anche un eccellente rilievo del re Antioco del quale fortunatamente è rimasta ancora conservata la testa-ritratto (cfr. Humann-Puchstein, tav. 30, p. 246 s.).
Nella sua grandiosa iscrizione cultuale il re Antioco ha esaurientemente illustrato ai posteri il significato e lo scopo del santuario. Il re non volle considerare il suo hierothèsion soltanto come il proprio mausoleo, ma consacrò la cima del N. D. come luogo santo e trono comune di tutte le divinità. Le figure divine dei grandi dèi reggitori da lui consacrate dovevano costituire per i posteri una testimonianza perenne della devozione del re.
Secondo le iscrizioni i festeggiamenti religiosi culminavano con il genetliaco ufficiale del re, il 16 Audnaios, che probabilmente coincideva con la festa principale di Mithra, ed il giorno del suo avvento al trono, il 10 Loos. Tali festeggiamenti religiosi dovevano protrarsi per due giorni interi nello hierothèsion sul N. D. ed in altri santuari della Commagene, con la partecipazione di tutto il popolo (a proposito di altri luoghi di culto cfr. la voce Samosata). Inoltre i sacerdoti erano incaricati di festeggiare questi due giorni eponimi anche ogni mese. I particolari inerenti alle solennità religiose erano fissati da una legge (nòmos). Antioco promulgò tale legge, come disse egli stesso, "perché durassero queste istituzioni che per doverosa devozione gli uomini avveduti devono osservare imperituramente non in mio onore, ma per la speranza datrice di vita" (cfr. iscrizione, righe 105 ss.). Coloro che obbedivano alla legge potevano attendersi di essere compensati dagli dèi, ma ai trasgressori erano destinati gravi castighi. "Poiché ogni devozione è di facile attuazione, mentre l'empietà è seguita da prolungate e penose tribolazioni" (cfr. iscrizione, righe 119 e ss.).
Fra le minuziosissime norme riguardanti le solennità si citi quella che ordinava ai sacerdoti di indossare il costume persiano; oltre alla celebrazione delle cerimonie religiose era loro compito occuparsi a che il trattamento ospitale con cibo e vino fosse adeguato alla quantità di popolo riunitasi. Per il finanziamento dei festeggiamenti il re metteva a disposizione i beni della corona che assegnava direttamente allo hierothèsion.
Secondo le sue personali intenzioni, Antioco, ha costruito il suo hierothèsion come un "esempio tipico della pietas " (cfr. iscrizione, riga 212 ss.: τύπον εὐσεβείας). Il suo hierothèsion sfidò i secoli ed annuncia ancor oggi l'aspirazione del re a stringere un vincolo fra tutti i popoli civili dell'Oriente e dell'Occidente. Il fatto che il concetto religioso sincretistico da lui ideato fosse troppo debole per realizzare un'unione siffatta, non diminuisce il merito di re Antioco, il quale come sua estrema convinzione alla fine di una lunga vita annunziò ai posteri: "Sono giunto alla conclusione che la fede costituisca per gli uomini non soltanto il possesso più sicuro di tutti i beni, ma anche il loro più dolce godimento; questa convinzione fu per me origine di un potere fortunato e del suo uso che ben si puà chiamare felice. Durante l'intera mia vita, come tutti hanno potuto constatare, io ho considerato la religione quale fedele custode ed ineguagliabile gioia del mio regno. È in grazia sua che contro ogni aspettativa mi sono salvato da grandi pericoli, sono riuscito a padroneggiare facilmente situazioni disperate e sono giunto felicemente al compimento d'una lunga vita" (cfr. iscrizione, righe 11-23).
Bibl.: K. Humann-O. Puchstein, Reisen in Kleinasien und Nordsyrien, redatto per incarico della reale Preuss. Akademie der Wissenschaften, Berlino 1890 (Relazioni dei viaggi e degli avvenimenti delle due spedizioni del 1882 e del 1883); Th. Goell-F. K. Dörner, Nemrud Dagh, The Excavations of the Hierothesion of Antiocus I of Commagene, pubblicato sotto gli auspici delle American Schools of Oriental Research. Questa pubblicazione è in corso e conterrà i risultati degli scavi eseguiti dal 1953 fino al 1956; cfr. Ill. London News, 18 giugno 1955 e la prefazione nel Bulletin of the American Schools of Oriental Research, n. 147, 1957, p. 4 ss. La grande iscrizione cultuale è stata pubblicata più volte dopo Humann e Puchstein, ultimamente da L. Jalabert e R. Mouterde, Inscriptions grecques et latines de la Syrie, I: Commagène et Cyrrhestique, Parigi 1929 (con un minuzioso commento ed altra bibliografia; le altre iscrizioni di N. D. si trovano ugualmente in Jalabert-Mouterde, n. 2-37). Sull'oroscopo del Leone (Humann-Puchstein, p. 329 ss.) cfr. O. Neugebauer - H. B. van Hoesen, Greek - Horoscopes, (Memoirs of the American Philosophical Society, Philadelphia 1959, vol. 48, p. 14 ss.); R. Ghirshman, Parthes et Sassanides, Parigi 1962.