NEMEE (τὰ Νέμεια)
La quarta e ultima, in ordine cronologico, delle quattro grandi feste nazionali dei Greci; delle quali le altre tre furono le Olimpie, le Pitiche, le Istmie. La leggenda ne attribuiva l'istituzione ai sette eroi che avevano guidato la spedizione contro Tebe: in quell'occasione, durante una sosta nella valle di Nemea (fra Cleone e Fliunte, nell'Argolide settentrionale), il piccolo figlio del re Licurgo, Archemoro (o Ofelte), abbandonato dalla nutrice Ipsipile, che s'era recata a insegnare ai guerrieri assetati il luogo dove sgorgava una fonte, era stato ucciso da un serpente; e in suo onore i sette eroi istituirono la festa. Secondo un'altra leggenda Eracle stesso, dopo avere abbattuto il leone nemeo, aveva istituito i giuochi, o li aveva rinnovati in onore di Zeus: e in onore di Zeus si festeggiavano in realtà le Nemee, già al tempo di Pindaro.
Quali che siano le leggende che correvano sulla loro origine, la prima delle feste Nemee ufficialmente riconosciuta era quella celebrata nell'anno attico 574-3 (Eusebio nella versione armena: = anno di Abr. 744-3): ond'è che si suole collocare l'inizio dell'era nemea al 573 a. C.; che si possa parlare di un' "era nemea", che cioè anche le Nemee si contassero di seguito, come le Olimpie e le Pitiche, si rileva con sicurezza da un passo dell'"ipotesi" alla VII Nemea di Pindaro. La festa veniva celebrata negli anni dispari (del nostro computo) a. C., negli anni pari d. C. come tempo della festa ci viene indicato il mese di Panemos, corrispondente al macedonico Gorpieo e, ordinariamente, all'attico Ecatombeone; quindi, i giorni di mezza estate, probabilmente i primi di agosto, e perciò proprio i giorni che segnavano il trapasso fra il primo e il secondo e poi fra il terzo e il quarto anno di ciascuna Olimpiade.
La direzione della festa spettò dapprima ai cittadini di Cleone; passò poi ad Argo, per ritornare indi quasi subito ai Cleonei, che erano gli "agonoteti" quando Pindaro scriveva la decima Nemea (cfr. il v. 42); la rivalità fra Argivi e Cleonei su tale questione durò ancora a lungo, finché agli Argivi fu definitivamente riconosciuto il diritto di presiedere la festa.
Conosciamo l'esistenza anche di Nemee penteteriche, festeggiate nell'inverno; ma queste Nemee invernali (χειμερινά) furono una festa locale argiva (non panellenica), che si celebrava in età romana tarda e la cui fondazione pare si debba fare risalire all'imperatore Adriano.
Le feste Nemee si tenevano presso il santuario di Zeus, che, ombreggiato da un bosco di cipressi, si ergeva nella valletta traversata dal torrente Nemea, presso la città omonima, che ebbe vita politicamente autonoma fino alla metà del sec. V. Il modo della celebrazione era simile a quello delle altre feste panelleniche. Tutti i Greci venivano invitati a partecipare al solenne sacrificio a Zeus Nemeo, e ai giuochi che seguivano a esso. Al principiare della festa, s'invitava alla tregua di Dio, e tosto arrivavano le rappresentanze inviate da tutti gli stati del mondo greco, insieme con agonisti, uomini e fanciulli, che tosto davano principio alle gare. Si ricorda che anche Alcibiade vi inviò la sua quadriga (Paus., I, 22, 6) e che l'aggiunta della palma nemea a quelle guadagnate negli altri tre agoni, assicurava straordinaria gloria al vincitore, che veniva allora designato come Periodonikes, cioè "colui che ha vinto in tutto il ciclo dei giuochi". Anche il fatto che Cassandro non disdegnò di presiedere, come agonoteta, ai giuochi nemei, dimostra di quanto prestigio essi ancora godessero: al tempo di Filopemene, vi si aggiunse anche un agone di citaredi.
Poiché i giuochi, secondo la citata leggenda, erano stati istituiti in seguito alla morte di Archemoro e valevano perciò come agoni funebri, così gli agonisti indossavano vesti a lutto. Il vincitore riceveva un ramo di palma e una corona di apio o di quercia.
Bibl.: C. Gaspar, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, VII, col. 50 segg.; J. K. Krause, Die Pythien, Nemeen und Isthmien, Lipsia 1841; G.F. Schoemann, Griech. Alterthümer, 4ª ed. a cura di J.H. Lipsius, Berlino 1902, II, p. 71 segg.; K.J. Beloch, Griech. Geschichte, 2ª ed., I, ii, Strasburgo 1914, p. 145 segg.; P. Stengel, Die griech. Kultusaltertümer, 3ª ed., Monaco 1920, p. 217 segg.