Vedi NEMEA dell'anno: 1963 - 1963 - 1973 - 1995
NEMEA (Νεμέα)
Eponima del santuario argivo, figlia di Asopo e di Metope. Secondo Diodoro, invece (iv, 72), si tratterebbe di una delle dodici figlie di Zeus e di Selene. Il Wagner, in base a questa discordanza, ritiene che si tratti di due divinità differenti.
Le fonti antiche citano alcune rappresentazioni figurate di N.: Pausania (v, 22, 6) ci informa di un donario con statue di Zeus, di Asopo e delle figlie, dedicato ad Olimpia dagli abitanti di Fliunte: fra queste statue era anche quella di Nemea. Ateneo (Deipn., xii, 534 d) cita un quadro rappresentante Alcibiade seduto sulle ginocchia di N., attribuendolo al pittore Aglaophon di Thasos. Plutarco ricorda lo stesso quadro (Alk., xvi, 199), ma ritiene che il pittore sia Aristophon (v.), figlio di Aglaophon. Un altro quadro con rappresentazione di N., portato a Roma da Silano, e successivamente esposto da Augusto nella Curia, era opera di Nikias. La dea vi appariva sopra un leone e con una palma in mano. Anche sul cratere Albani essa è raffigurata con una palma, accanto ad Eracle in lotta con il leone nemeo (l'identificazione, molto convincente, è dovuta al Visconti). In un'anfora da Ruvo, invece, la dea appare seduta e riccamente abbigliata, in atto di conversare con Zeus.
Bibl.: Wagner, in Roscher, III, i, 1897-1909, c. 115 s.; C. Robert, Die griechische Heldensage, Berlino 1921, II, 2 (Preller, Griech. Myth.), p. 442, n. 4; W. Göber, in Pauly-Wissowa, XVI, 1933, c. 2310 s., s. v., n. i. Cratere Albani: G. Zoega, Li Bassirilievi antichi di Roma, Roma 1808, p. 57 s., tav. LXII. Anfora di Achermos, al Museo Naz. di Napoli: A. Baumeister, Denkmäler des klassischen Altertums, Monaco 1885, p. 114.