NEMBRINI PIRONI GONZAGA, Cesare
NEMBRINI PIRONI GONZAGA, Cesare. – Nacque il 27 novembre 1768 ad Ancona dal marchese Alessandro Nembrini Gonzaga (1736-1818), gentiluomo di Camera del duca di Modena, e da Maria (1741-1809), figlia del marchese Francesco Trionfi.
La famiglia proveniva da Nembro, vicino Bergamo, con attestazioni sin dal XIII secolo. Tra gli ascendenti risultano parentele con le famiglie dei papi Innocenzo XI e Clemente XI. L’ascrizione della famiglia Nembrini al patriziato di Ancona è attestata nel 1639. Il marchesato giunse con il diritto – concesso il 31 ottobre 1693 dal duca di Mantova, Ferdinando Carlo Gonzaga – di aggiungere il nome Gonzaga.
Ebbe quattro fratelli (Giuseppe, Raffaele, Luigi e Francesco) e tre sorelle (Anna, Lavinia e Livia), che entrarono nella vita monacale. Suo cugino fu il cardinale barnabita Antonio Maria Cadolini, che gli succedette, nel 1838, sul seggio episcopale di Ancona. I nipoti si legarono per via matrimoniale con le famiglie di Pio VIII e del cardinale Giovanni Battista Zauli. Diversi membri della famiglia furono canonici.
Compì il classico curriculum vitae dei giovani delle famiglie nobiliari dello Stato pontificio, studiando dapprima in provincia (presso il seminario di Recanati), per passare alla grande città (Collegio Montalto a Bologna); divenne dottore in utroque iure presso l’Università di Bologna il 10 giugno 1791 e approdò poi a Roma per la carriera ecclesiastica, proseguendo la sua formazione presso l’Accademia dei Nobili Ecclesiastici (1792-96).
Al tempo di questa formazione elitaria, poté mettersi in mostra tenendo nella basilica di S. Pietro l’orazione De cathedra romana Sancti Petri (18 gennaio 1795). Grazie all’interessamento di Pio VI, cioè all’interno del sistema delle protezioni ecclesiali, ricevette dalla città di Ancona il beneficio della prelatura Pironi (1795), da cui poi prese il nome.
Uscito dall’Accademia, rimase nella carriera ecclesiastica, entrando in prelatura in qualità di prelato domestico (prima del 7 gennaio 1797) e di referendario delle due Segnature (12 gennaio 1797). Con queste cariche fu testimone della prima invasione francese degli Stati pontifici. Una volta ripreso il potere temporale, il nuovo papa, Pio VII, lo coinvolse nell’opera di riordinamento provinciale dello Stato. La sua carriera passò per tutti i diversi ingranaggi della macchina amministrativa, permettendogli così di conoscere assai bene la struttura e il funzionamento dell’apparato burocratico. Il papa lo nominò, infatti, ponente della Consulta (30 ottobre 1800), governatore di Ascoli (breve del 21 aprile 1802), dove fu ordinato sacerdote il 5 giugno 1803, e poi di Frosinone, dove si scontrò con alcuni notabili locali. Al tempo del governo di Ascoli dovette fronteggiare la febbre carceraria, riuscendo ad anticipare gli ordini provenienti da Roma da parte della Congregazione della Consulta.
Nel contesto di questa prima restaurazione, fu uno dei membri fondatori e uno dei quattro promotori dell’Accademia di religione cattolica (4 febbraio 1801), passata alla storia per la sua natura conservatrice e intransigente. Egli stesso, nel primo anno di vita dell’istituzione, trattò pubblicamente l’argomento Dalle spirituali operazioni dell’anima si conclude ch’è immortale. Pur essendo vicino agli intransigenti, Nembrini non può essere limitato a quel gruppo: non solo dopo la parentesi francese del 1809-14 rientrò assai tardi nell’Accademia di religione (1830), ma soprattutto il suo orizzonte culturale era più ampio rispetto ai consodali. Fu, infatti, anche amico e ammiratore di Antonio Rosmini, con il quale ebbe incontri a Roma nel 1824.
I suoi interessi culturali non lo sottrassero alla carriera amministrativa: con breve del 5 aprile 1807 fu promosso governatore della provincia di Marittima e Campagna, carica mantenuta fino all’agosto del 1808 per poi ritirarsi ad Ancona al tempo dell’occupazione napoleonica. All’inizio della Restaurazione fu subito coinvolto nell’opera di ristabilimento dell’ordine pontificio, a partire dalle province di prima recupera per poi passare alle altre e infine a Roma, secondo un crescendo di responsabilità e di fiducie.
Venne prima nominato delegato di Perugia (4 maggio 1814 a Cesena); il 12 maggio 1814 giunse in città e nel giro di un giorno organizzò la magistratura provvisoria, prendendo formale possesso di Perugia. In un contesto di generale accettazione, trovò alcune opposizioni e la resistenza degli ufficiali napoletani, che con loro truppe ancora stazionavano in città. A ogni modo, riuscì a portare sotto i propri ordini anche la truppa urbana. Nel giro di una settimana ripristinò il governo pontificio in tutto il territorio perugino e anche nei paesi limitrofi alla demarcazione napoletana. Successivamente razionalizzò lo strumento carcerario, riducendo il numero dei detenuti, con alleggerimento delle spese da parte dell’erario pubblico. Il 17 febbraio 1816 fu nominato prolegato di Forlì e Ravenna. La presa in carico della Delegazione è databile al 7 marzo 1816, quando avvenne il passaggio delle consegne dal precedente delegato, Tiberio Pacca, nipote del cardinale Bartolomeo. In quei mesi Nembrini si occupò della transizione dalle vecchie alle nuove valute, evitando la speculazione. Il 21 novembre 1816 fu nominato delegato di Macerata, dove dovette gestire l’emergenza causata dal tifo.
La svolta nella sua carriera avvenne quando fu chiamato a Roma. Promosso chierico della Camera apostolica il 1° ottobre 1817 (carica che tenne fino al 1829), allo stesso tempo fu nominato prefetto degli Archivi della Camera apostolica (1818-24) e vicario della basilica di S. Pietro. In quella fase di generosi quanto vani tentativi riformatori della prassi di governo dello Stato pontificio, in quanto prefetto emanò un ordine circolare, A prevenire ogni men retta interpretazione (3 settembre 1819), a proposito del rinnovo delle ipoteche del 1809. Nello stesso periodo divenne membro di una speciale commissione consultiva per gli affari di finanza, istituita il 5 ottobre 1819, voluta fortemente da Ercole Consalvi allo scopo di procedere a una revisione generale del sistema finanziario dello Stato pontificio. Presidente della Commissione fu Tiberio Pacca, ne furono membri pure i riformatori Belisario Cristaldi, Pier Maria Gasparri, Nicola Maria Nicolai, Vincenzo Bartolucci e Pietro Sterbini. I personali sforzi riformisti di Nembrini riuscirono a ottenere da Pio VII una legge sui notai (motu proprio del 31 maggio 1822).
La sua vita subì una nuova svolta, quando dopo il periodo del riformismo consalviano, sterilizzato dall’opposizione del gruppo degli ‘zelanti’, prese avvio il tempo della restaurazione del vecchio sistema da parte del nuovo pontefice, Leone XII. Nembrini, fautore di politiche riformatrici, lasciò così la carriera amministrativa per quella clericale. Il 24 maggio 1824 fu nominato vescovo di Ancona e vescovo e conte di Umana (oggi Numana); fu consacrato il successivo 7 giugno nel coro dei canonici della basilica di S. Pietro dal cardinale Pietro Francesco Galeffi (vescovo di Albano), coadiuvato da Giuseppe della Porta Rodiani e da Filippo Filonardi. In quello stesso anno inviò una lettera pastorale al clero e alla popolazione di Ancona e Umana. Divenne inoltre vescovo assistente al soglio pontificio. L’abbandono della via amministrativa per quella pastorale fu così significativo che non tornò sui suoi passi nemmeno nel dicembre 1828, quando rifiutò la nomina a tesoriere della Camera apostolica. Il sincero interesse per la cura delle anime lo portò a pubblicare un compendio della dottrina cristiana, approvato dal maestro del Sacro palazzo, e a istituire la Congregazione della dottrina cristiana (il tutto prima del 1831).
Da vescovo di Ancona dovette affrontare la difficile situazione economica che gravava sulla città da diversi anni, per cui già il suo predecessore, cardinale Nicola Riganti, era intervenuto. La sua azione fu ostacolata da eventi imprevedibili: dapprima i moti del 1831, il conseguente intervento austriaco e il successivo stazionamento della truppa francese; poi il colera del 1836, che lacerò ulteriormente il tessuto sociale. In questa cornice, aiutato da diversi concittadini, Nembrini poté dispiegare le sue qualità amministrative, che furono apprezzate lungo tutto il suo episcopato, e si adoperò per il restauro delle chiese, impiegando anche il patrimonio personale, per l’istituzione di nuove parrocchie, per la promozione delle pie associazioni dei fedeli, per la protezione degli introiti delle Confraternite e dei Monti frumentari; nel 1828 istituì anche un Monte di Pietà. Diverse e ripetute testimonianze indicano la sua operosità nel campo della beneficenza (specialmente verso il conservatorio della Carità). La generosità verso i bisognosi non fu alternativa alle sue capacità gestionali: intervenne anche sui possedimenti del vescovato, investendo ben 30.000 scudi per la fertilità delle terre, il prosciugamento delle paludi, la riparazione delle case coloniche e la riqualificazione delle colture. Si occupò pure di accrescere il bestiame della mensa episcopale e di ristrutturare diverse proprietà. Il successo fu così evidente che trovò apprezzamento presso la Congregazione del Concilio. Il forte investimento ebbe delle ricadute a livello sociale, in quanto Nembrini ne impiegò il reddito a pubblico vantaggio, soprattutto a favore degli orfani e delle vedove.
Dopo la costituzione della Congregazione degli studi a Roma, che riorganizzò per tutto lo Stato pontificio l’iter scolastico e accademico, si adoperò per la riqualificazione degli studi seminariali, favorendo la crescita dei corsi filosofici e introducendo il corso di storia ecclesiastica. Parallelamente all’applicazione delle norme romane, a volte prese iniziative più personali, come nel caso dell’introduzione in seminario, tramite il canonico Mucci, delle dottrine filosofiche di Rosmini, contenute nell’opera Nuovo saggio sull’origine delle idee (Roma 1830). Emanò inoltre norme per i chierici che vivevano a casa e non in seminario, ai quali prescrisse di esercitarsi nel dare lezioni di catechismo e nell’apprendere il canto. La stessa attenzione formativa fu rivolta ai sacerdoti, indotti a partecipare ai ritiri del clero. In più, favorì un contatto personale con loro, incontrando i parroci di città una volta al mese e quelli di fuori due volte l’anno. Allo stesso tempo, allontanò dalla diocesi i sacerdoti forestieri.
Istituì quattro benefici nel capitolo della cattedrale, di cui curò anche i restauri. I rapporti con i canonici non furono conflittuali, anzi si può addirittura parlare di docilità, in quanto furono applicate le indicazioni episcopali anche nel campo della cappella musicale. Convocò il sinodo diocesano. Nell’ambito di questo suo dinamismo, indisse una visita pastorale alla diocesi che si protrasse fino al 1828 (la visita precedente risaliva al 1779).
Lo zelo pastorale non lo rese attento alle esigenze amministrative di Roma, presso la quale per ben undici anni (a partire dalla nomina, del 1824) non compì la visita ad limina apostolorum, inviandovi una sola relazione sullo stato della diocesi (nel 1831), incorrendo così nelle censure ecclesiastiche.
Nel concistoro del 27 luglio 1829 fu nominato da Pio VIII, quale sua prima creatura, cardinale presbitero, con il titolo di S. Anastasia, ricevendo il galero cardinalizio il 28 settembre 1829. Il 1° ottobre Pio VIII lo aggregò alle congregazioni dei Vescovi e Regolari, dell’Immunità, del Buon Governo e di Loreto. Fino al 1835 non partecipò ad alcuna attività di quelle congregazioni, a causa della sua residenza in diocesi.
Non a caso fu prima creatura di quel papa: non tanto per la comunanza dei pregressi formativi presso il Collegio Montalto, quanto per comunanza con il gruppo dei cosiddetti zelanti moderati, che collaborarono alle riforme del cardinale Consalvi.
Nel conclave dopo la morte di Pio VIII, sostenne il cardinale Pacca e ricevette lui stesso alcuni voti. Non fu però tra gli attori del conclave, limitandosi al ruolo di votante. Solo a un certo momento di impasse, ci fu chi fece circolare il suo nome quale candidato, ma i cardinali non lo ritennero idoneo a sostenere il peso del pontificato, essendo tra l’altro disinteressato alla politica e privo di ambizioni di tal genere. Il conclave elesse Bartolomeo Alberto Cappellari, che prese il nome di Gregorio XVI, ma per quanto fosse espressione del partito avversario con lui Nembrini intrattenne rapporti di reciproca stima.
In occasione del colera del 1836 reagì in maniera esemplare, interrompendo il suo soggiorno di riposo a Umana per rientrare ad Ancona e stare con la popolazione afflitta dal morbo, che, in collaborazione con il delegato, Fabio Maria Asquini, si adoperò fattivamente per bloccare, istituendo una speciale Congregazione dei sussidi.
Provato dalle fatiche affrontate durante l’epidemia, morì a Umana il 5 dicembre 1837, lasciando per testamento la sua biblioteca ad Ancona e i propri beni ai poveri. È sepolto nella cattedrale di Ancona.
Fonti e Bibl: Ancona, Archivio storico diocesano, Decreti e Positiones; Archivio segreto Vaticano, Congregazione del Concilio, Relationes, 42 B; Segreteria Stato, Interni, Rubrica 26, anno 1814. Sempre nel fondo della Segreteria di Stato e non ancora consultabili, documenti relativi a Nembrini sono nelle serie Delegazione di Ancona, Delegazione di Macerata, Delegazione di Perugia. L. Barili, Elogio del cardinale C. N. vescovo di Ancona vescovo e conte di Umana, Ancona 1838; F. Borioni, Elogio funebre del cardinale C. N., Loreto 1838; Alla dolce memoria del suo vescovo e cittadino patrizio cardinale C. N. Il comune di Ancona, Ancona 1838; G. Moroni, N. C., in Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, XLVII, Venezia 1847, pp. 264 s.; G.B. Pagani, Il Rosmini e gli uomini del suo tempo, Firenze 1918, pp. 225 s.; L. Alpago-Novello, Il conclave di Gregorio XVI, in Archivio veneto-tridentino, VI (1924), pp. 67-114; M.A. Borelli, N. C., in Dizionario ecclesiastico, II, Torino 1955, pp. 1157; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia Catholica Medii et Recentioris Aevi, VII, Padova 1968, ad ind.; A. Piolanti, L’Accademia di religione cattolica. Profilo della sua storia e del suo tomismo, Città del Vaticano 1977; C. Weber, Kardinäle und Prälaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates …, I, Stuttgart 1978; N. Del Re, Tiberio Pacca. Cardinale mancato, Roma 1984; Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), a cura di C. Weber, Roma 1994, ad ind.; Genealogien zur Papstgeschichte, a cura di C. Weber, II, Stuttgart 1999, pp. 663-665; III, ibid. 2001, p. 145; P. Boutry, Souverain et pontife. Recherches prosopographiques sur la Curie romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846), Rome 2002, p. 433; Die Päpstlichen Referendare 1566-1809. Chronologie und Prosopographie, a cura di C. Weber, III, Stuttgart 2004, p. 763; F. Castelli, Ancona Osimo, in Le Diocesi d’Italia, II, A-L, Cinisello Balsamo 2008, p. 85.