NEGRETTI, Antonio, detto Antonio Palma
NEGRETTI, Antonio, detto Antonio Palma. – Figlio di Bartolomeo e di Antonia Mussige, nacque a Serina (Bergamo) attorno alla metà del secondo decennio del XVI secolo.
La data di nascita è stata a lungo fissata al 1515, sulla scorta dell’iscrizione («aetatis suae XLVI») apposta sul Ritratto di uomo con palma di Tiziano (Dresda, Gemäldegalerie), datato 1561. L’identificazione con Negretti, fondata sulla presenza dell’attributo eponimo della palma, è stata tuttavia respinta a favore dell’ipotesi che il ritratto rappresenti un venditore di colori (molto probabilmente Alvise della Scala: Weber - Weddigen, 2009). Tale proposta è avvalorata anche dal confronto con un disegno di mano del figlio Jacopo (Palma il Giovane) già nella coll. Liechtenstein, che ritrae Negretti in età matura e presenta caratteristiche fisionomiche incompatibili con quelle del dipinto tizianesco (Mason, 2007).
Una cronologia più sicura può essere comunque desunta sulla base di un atto notarile stipulato a Serina il 30 maggio 1524, dal quale si evince che a quella data Negretti era ancora minorenne. In quel giorno difatti il pittore Jacopo Negretti (Palma il Vecchio), fratello di Bartolomeo, a seguito del decesso di quest’ultimo, avanzava la richiesta di nomina di un tutore per i nipoti rimasti precocemente orfani al fine di poter procedere alla divisione dei beni di famiglia. Oltre ad Antonio, nel documento venivano menzionate due sorelle (Margherita e Marietta), nonché Giovanni e Bartolomea, figli di secondo letto di Bartolomeo Negretti e di Antonia Tiraboschi (Ivanoff, 1979, p. 382).
Il trasferimento a Venezia di Antonio dovrebbe collocarsi nell’estate del 1528. Nel giugno di quell’anno infatti veniva nominato, assieme ai fratelli, erede residuario dei beni dello zio Jacopo, da poco scomparso. Dall’elenco delle spese sostenute dalla Commissaria, incluso nell’inventario del defunto pittore presentato il 22 giugno 1529, si deduce che a quella data risiedeva con i fratelli a S. Marcuola in casa del bergamasco Fantino de’ Girardi, il quale veniva rimborsato della somma di 18 ducati per l’alloggio. Nel rendiconto venivano elencate ulteriori uscite «per far spese ai puti», diluite tra l’agosto e il dicembre 1528 (ibid., p. 383).
È probabile che a questo periodo debbano datarsi anche i primi contatti con Bonifacio de’ Pitati, forse il collaboratore più dotato di Palma il Vecchio, destinato a subentrare nella guida della bottega del maestro e a trasformarla in una delle officine pittoriche più prolifiche di questa stagione. Nonostante l’avvicendamento sia confermato da numerosi indizi – non da ultimo la residenza di Bonifacio a S. Marcuola nell’ottobre 1528, in concomitanza con la presenza nello stesso confinio anche di Negretti – molti dettagli attendono ancora di essere chiariti, soprattutto per quanto riguarda il ruolo svolto dal giovane erede di Palma nella transazione. Non è semplice stabilire difatti se si sia limitato ad avallare accordi precedenti la morte dello zio, oppure se abbia assunto l’iniziativa di persona, consapevole dell’opportunità che questa collaborazione poteva offrirgli in termini di crescita professionale e di gestione del patrimonio. La documentazione successiva testimonia comunque il progressivo rafforzamento del legame tra i due, che valicò ben presto i limiti del rapporto professionale per assumere i contorni di un vero e proprio apparentamento. Già nell’ottobre 1536 Negretti risulta risiedere nella parrocchia di S. Alvise, dove a partire dal 1535 è documentata anche la bottega di Bonifacio (ibid.). Successivo a questa data, ma compreso entro la metà degli anni Quaranta (forse nel 1545, se si dà credito a una nota novecentesca riportata da Ivanoff, 1979), è invece il matrimonio con Giulia Brunello, nipote di Bonifacio (Cottrell, 2002). La coppia ebbe quattro figli: Marcio (nato prima del giugno 1547), Jacopo (la cui data di nascita è tradizionalmente fissata attorno al 1548), Virginia e Hortensia. Di questi fu Jacopo l’unico a cimentarsi con successo nell’attività pittorica, assumendo come segno di continuità con la tradizione familiare del padre l’appellativo di Palma il Giovane.
In questo periodo l’operato di Negretti dovette plausibilmente inquadrarsi all’interno delle pratiche della bottega di Bonifacio, con un ruolo gregario rispetto al maestro. Risulta perciò difficile riconoscere il suo contributo entro l’ampia e ancora poco studiata produzione bonifacesca, costituita per lo più da grandi dipinti narrativi e da teleri votivi, e talora affidata all’intervento di collaboratori, che comprendevano tra gli altri anche Domenico Biondo, Vittore Brunello o Battista di Giacomo. A questo tipo di impegno sembra però affiancarsi fin dal principio una produzione autonoma, per lo più a destinazione privata, elaborata a partire da composizioni della bottega. L’unico esemplare autografo è costituito da una Resurrezione firmata «[Ant]onius Palma» (Stoccarda, Gemäldegalerie), i cui modi rapidi e corsivi, per certi versi accostabili alle tipologie del giovane Jacopo Tintoretto e di Andrea Schiavone, sono stati ritenuti espressione di una fase giovanile di formazione. Sulla base del confronto con questa tela si è venuto precisando per via attributiva un piccolo catalogo (Westphal, 1931-32; con revisioni e integrazioni di Vertova, 1985), che comprende tra l’altro un’ulteriore redazione della Resurrezione (Dublino, National Gallery of Ireland), nonché un’Adorazione dei magi (Genova, Palazzo Rosso), un Ritorno del figliol prodigo (Roma, Galleria Borghese) e una Cena in casa del fariseo (Bruxelles, Musée des beaux arts), queste ultime contraddistinte da consistenti citazioni da opere di Bonifacio, cui a lungo sono state peraltro riferite. A questo gruppo è stato di recente proposto di associare anche un’Allegoria della fondazione di Roma, molto restaurata, ora a Kingston Lacy House (Bradley, 2004).
Solo in seguito alla scomparsa di Bonifacio (ottobre 1553), e in concomitanza con la successione alla guida dell’atelier, la sua figura venne acquisendo progressivamente maggiore visibilità e autonomia. La prima attestazione in tal senso risale al 28 marzo 1554, quando «Antonio Palma depentor celebre» ricevette la somma, invero piuttosto modesta, di 12 lire a saldo di un pagamento di complessive 15 lire per lavori, oggi perduti, eseguiti a S. Stefano di Murano (Ivanoff, 1979, p. 383). In questo periodo si registra anche l’ingresso nella Scuola Grande di S. Marco, di cui l’artista restò membro fino al 1562 (Koster, 2008). Di questi stessi anni è pure l’intervento nella sacrestia di S. Sebastiano a Venezia, costituito da una serie di teleri a soggetto sacro realizzati tra il 1551 e il 1555 su commissione dal priore Bernardo Torlioni.
Il ciclo viene tradizionalmente attribuito a un gruppo di pittori operanti nel solco della tradizione bonifacesca, tra cui Negretti sembra aver rivestito un ruolo di primo piano. Potrebbe spettare infatti a lui almeno il Sogno di Giacobbe (Dal Pozzolo, 2006), opera che denota una cauta apertura verso le novità stilistiche della maniera centroitaliana filtrate attraverso la pittura di Andrea Schiavone.
Contemporaneamente a questi lavori proseguì anche l’impegno per le magistrature civili di Venezia, per le quali a partire dagli anni Trenta l’officina bonifacesca aveva ottenuto una sorta di informale appalto esclusivo. Tra i teleri realizzati in questo periodo, e per i quali è legittimo postulare l’intervento di Negretti, si ricordano una Regina di Saba davanti al re Salomone (1556) e un’Adorazione dei magi (1558), entrambe provenienti dal Monte dei Sussidi (Venezia, Gallerie dell’Accademia), nonché un’ulteriore Adorazione dei magi (1557-58) e una Visita della regina di Saba a re Salomone (1559-60) per la Zecca (ora in deposito nella sacrestia della basilica di S. Maria dei Frari a Venezia). A queste opere è possibile accostare anche un quaderno di schizzi eseguiti a penna e biacca (Parigi, Louvre, Département des arts graphiques, inv. 5688-5726), probabilmente assemblato come repertorio di figure e di invenzioni a uso della bottega. Tra gli altri dipinti a destinazione pubblica, risulta irreperibile un telero di soggetto imprecisato ricordato dal solo Francesco Sansovino (1581) «sopra la porta» della sala dei Censori di palazzo Ducale, e che costituisce l’unica opera menzionata dalle fonti assieme a una pala con i Ss. Vittore, Bernardino e Lodovico per la chiesa dei Ss. Apostoli, anch’essa andata perduta. È sopravvissuto invece lo stendardo processionale con la Pietàrealizzato per la chiesa dell’Annunciata di Serina, firmato e datato 1565.
Per quanto compromesso da antichi restauri, il manufatto testimonia la costante maturazione stilistica del pittore, evidente soprattutto nell’acquisizione di monumentalità e volume delle figure. La commissione offre inoltre una conferma della continuità dei rapporti con la comunità bergamasca, peraltro attestati anche nel corso del quinto decennio da un atto di procura (ottobre 1541) forse inerente la soluzione di alcune questioni famigliari.
Nonostante il graduale esaurimento delle commissioni pubbliche, Negretti dovette comunque mantenere uno status economico piuttosto florido, come attesta la condizione di decima del 1566 (Mazzucco, 2009). In questo periodo inoltre veniva nominato, assieme al primogenito Marcio, esecutore ed erede residuario nel secondo (novembre 1566) e nel terzo (aprile 1570) testamento di Marietta de’ Pitati, vedova di Bonifacio.
L’ultima opera nota è costituita da un grande telero con Ester e Assuero (Sarasota, Ringling Museum of art) datato 1574, realizzato per un esponente della famiglia Contarini, di cui compare il blasone, e probabilmente destinato a una magistratura pubblica dell’area marciana o realtina.
Non si conosce con precisione la data di morte, avvenuta con ogni probabilità a Venezia, tra la metà dell’ottavo decennio e l’inizio del successivo.
Questa parentesi temporale è stata meglio precisata da Stefania Mason (2007), che ha collocato la scomparsa tra il 10 novembre 1578, quando Jacopo Palma il giovane si firma «figlio di messer Antonio» in una perizia per palazzo Ducale, e il 23 marzo 1585, in cui lo stesso Jacopo si dichiara «filius quondam Antonii» in un atto notarile. L’ultima testimonianza diretta è offerta dalla presenza della sua sigla in un documento della Scuola dei Pittori redatto nel 1575.
Fonti e Bibl.: F. Sansovino, Venetia città nobilissimaet singolare, Venetia 1581,I,c. 120r; A.M. Zanetti il Vecchio, Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venetia, Venezia 1733, pp. 150, 284, 388, 457; D. Westphal, Beiträge zu A. Palma, in Zeitschrift für bildende Kunst, LXV (1931-32), pp. 16-18; N. Ivanoff, A. N. detto A. Palma, in I pittori bergamaschi, III, 3, Il Cinquecento, a cura di P. Zampetti, Bergamo 1979, pp. 381-399 (con bibl. precedente); L. Vertova, Profilo di A. Palma, in Antichità viva, XXIV (1985), 5-6, pp. 21-32; Ph. Cottrell, The artistic parentage of Palma Giovane, in The Burlington Magazine, CXLIV (2002), pp. 289-291; A. Bradley, Ancient exempla at Kingston Lacy, in Apollo, CLX (2004), 513, pp. 82-86; E. Dal Pozzolo, La «bottega di Tiziano»: sistema solare e buco nero, in Studi tizianeschi, IV (2006), pp. 74 s.; S. Mason, In ricordo del padre e in gloria di s. Cecilia. Due nuovi studi di Palma il Giovane, in Il cielo, o qualcosa in più. Scritti per Adriano Mariuz, a cura di E. Saccomani, Cittadella 2007, pp. 122-124; G. Koster, Künstler und ihre Brüder…, Berlin 2008, pp. 520 s.; M. Mazzucco, Jacopo Tintoretto…, Milano 2009, p. 233; G. Weber - T. Weddigen, Tizians Bildnis des Farbenhändlers Alvise della Scala, in Man könnt vom Paradies … Festschrift für prof. dr. Harald Marx…, a cura di A. Henning - U. Neidhardt - M. Roth, Berlin 2009, pp. 58-65; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, pp. 171 s.