negare
Si registra con discreta frequenza, in numerose accezioni. In tre luoghi del Convivio (II VIII 10, IV VIII 13, XV 16) e in Rime CIV 94, If V 81, Pg 1 57 e VI 28, ricorrono le forme dittongate niego, niega, nieghi. Il termine occorre sia con costrutto assoluto che transitivo.
In Cv IV VIII 12 D. definisce semanticamente il verbo, distinguendolo da ‛ disconfessare ': per uno modo puote l'uomo disdicere offendendo a la veritade, quando de la debita confessione si priva, e questo propriamente è ‛ disconfessare '; per un altro modo puote l'uomo disdicere non offendendo a la veritade, quando quello che non è non si confessa, e questo è proprio ‛ negare ': sì come disdicere l'uomo sé essere del tutto mortale, è negare, propriamente parlando (cfr. anche i §§ 11, 13 e 16, tre volte). In altre parole, ‛ disconfessare ' è atto di chi rifiuta od omette una confessione dovuta, n. è puro e semplice atto di rifiuto di cosa non dovuta (è evidente l'analogia con la contrapposizione tra privazione [V.] e negazione [V.]).
In questo senso D. usa il termine, specie quando lo pone in relazione a ‛ consentire ' (Cv I II 11 né consentire né negare puote lo così estimato sanza cadere in colpa di lodarsi o di biasimare) e ‛ tacere ' (Pg XXXI 37 Se tacessi o se negassi / ciò che confessi), o quando lo contrappone ad ‛ affermare ' (Pd XIII 116 quelli è tra li stolti bene a basso, / che sanza distinzione afferma e nega / ne l'un così come ne l'altro passo); cfr. ancora Cv III XI 5 Pittagora, domandato se egli si riputava sapiente, negò a sé questo vocabulo.
Tuttavia il poeta usa spesso il termine nel senso di " rifiutare di ammettere come vero, o non concedere, un principio ". Così in Cv II VIII 10 Ciascuno è certo che la natura umana è perfettissima di tutte l'altre nature di qua giù; e questo nullo niega, e Aristotile l'afferma quando dice nel duodecimo de li Animali che l'uomo è perfettissimo di tutti li animali (Part. animalium II 10, 656a 7-8; cfr. F. Groppi, D. traduttore, Roma 1962², 124-125); IV XV 16 E di costoro dice lo Filosofo che non è da curare né da avere con essi faccenda, dicendo nel primo de la Fisica, che " contra quelli che niega li principii disputare non si conviene " (cfr. Groppi, op. cit., p. 83, che rinvia a Phys. I 2, 185a 5-6 e al commento di s. Tommaso ad l.), e Pg VI 28 El par che tu mi nieghi / ... che decreto del ciel orazion pieghi. In Cv II V 4 questi [Cristo] non negò, quando detto li fu che 'l Padre avea comandato a li Angeli che li ministrassero e servissero, ‛ non negare ' vale " non dire di no " nel senso di " non rifiutare di riconoscere una certa verità ".
Particolarmente interessante l'occorrenza di III XV 6 [nullo] se non cose negando si può appressare a la sua conoscenza. L'edizione del '21 legge co[me] sognando, ma la lezione tràdita dai codici e ripresa anche dalla Simonelli risponde meglio al contesto, e richiama la dottrina neoplatonica dell'inconoscibilità della natura divina su cui si fonda la teologia negativa, o teologia mistica: cfr. pseudo-Dionigi Areopagita De Div. nom. VII 3; ma B. Nardi (Alla illustrazione del " Convivio " d., in " Giorn. stor. " XCV [1930] 100) richiama, sempre a questo proposito, anche Mosè Maimonide Dux perplexorum I, capp. 57-59; ricorda inoltre che Aristotele (Metaph. VII 3, 1029a 20-21) ha dato una definizione negativa di materia, e che Boezio (Cons. phil. V VI 4) ha definito negativamente l'eternità.
Nel senso di " rinnegare " il termine occorre in Cv IV XXII 16 sì come Piero che l'avea negato, e in If XI 47 col cor negando e bestemmiando quella, la divinità.
Spesso il verbo vale " proibire ", " vietare ": Rime LXXXIII 79 [la leggiadria] è blasmata, / negata là 'v'è più virtù richesta; If V 81 venite a noi parlar, s'altri nol niega!; XIV 87 la porta / lo cui sogliare a nessuno è negato, cioè la porta dell'Inferno che " è aperta a tutti " (in senso proprio, perché Cristo l'infranse nella sua discesa agl'Inferi, e in senso metaforico, perché l'uomo, essendo libero, può scegliere il male e, quindi, dannarsi). Ancora in If VIII 101 se 'l passar più oltre ci è negato, n. significa " proibire ", " vietare ", mentre al v. 120 (Chi m'ha negate le dolenti case!), vale " impedire ".
Frequente anche il senso di " rifiutare ": Vn X 2 mi negò lo suo dolcissimo salutare (così XII 1 e 6, XVIII 4); XXII 1 sì come piacque al glorioso sire [Dio] lo quale non negoe la morte a sé, " non rifiutò a sé stesso la morte ", cioè " non si sottrasse alla morte "; Rime CIV 94 lo dolce pome a tutta gente niega, raccomandazione alla canzone, perché " rifiuti ", cioè " non riveli " il suo recondito contenuto allegorico; If XXVI 116 a questa tanto picciola vigilia / d'i nostri sensi ch'è del rimanente / non vogliate negar l'esperïenza, / di retro al sol, del mondo santa gente; Pg II 96 più volte m'ha negato esto passaggio; e ancora Rime CVI 125.
Più specifiche le seguenti accezioni: " rifiutare di dare una notizia richiesta ": If XXIV 136 Io non posso negar quel che tu chiedi; o " una spiegazione ": Pg I 57 Ma da ch'è tuo voler che più si spieghi / di nostra condizion com'ell'è vera, / esser non puote il mio che a te si nieghi; ovvero " rifiutare di appagare il desiderio di sapere ", in espressione metaforica: Pd X 88 qual ti negasse il vin de la sua fiala / per la tua sete.