NEBULOSE (XXIV, p. 480)
L'astronomia nebulare ha compiuto recentemente grandi progressi, che hanno notevolmente modificato le antiche idee sopra le nebulose.
Classicazione delle nebulose. - Le nebulose furono divise in nebulose gassose, nebulose oscure e nebulose stellari. Questa divisione è oggi completamente abbandonata, specialmente da quando si è riconosciuto che una medesima nebulosa gassosa (ad es. quella di Orione) appare in alcune parti luminosa ed in altre oscura, e viene sostituita con la divisione moderna in nebulose diffuse (lucide ed oscure), nebulose planetarie e nebulose extragalattiche (stellari). E precisamente: le nebulose diffuse (lucide ed oscure) appartengono al nostro sistema galattico - vale a dire alla grande famiglia stellare di cui fa parte anche il Sole - e sono costituite da vasti ammassi gassosi, estremamente rarefatti (e cioè con densità media di gran lunga inferiore al vuoto più perfetto che possiamo produrre nei laboratorî con le nostre migliori macchine pneumatiche) frammisti a meteoriti ed a pulviscolo cosmico. Questi ammassi gassosi appaiono luminosi soltanto in quelle parti che riflettono la luce delle stelle vicine, o nelle quali si desta una qualche fluorescenza (come nella coda di alcune comete) per opera delle radiazioni luminose e corpuscolari (bombardamento elettronico, raggi canali) delle medesime stelle.
Questo fatto, di fondamentale importanza nello studio delle nebulose, fu dimostrato per la prima volta da E.C. Slipher, il quale trovò che lo spettro della nebulosa delle Pleiadi non era già uno spettro gassoso (spettro a righe luminose distinte) ma uno spettro stellare (spettro con fondo luminoso continuo intersecato da righe oscure) e precisamente uno spettro identico a quello delle Pleiadi stesso, onde era evidente che la nebula non emetteva alcuna luce, ma rifletteva semplicemente la luce ricevuta dalle vicine stelle delle Pleiadi.
Deve notarsi però che, se le stelle vicine ad una nebula hanno temperatura molto elevata (stelle appartenenti ai primi tipi spettrali da 05 a Bl), i gas della nebula divengono fluorescenti, a causa dell'intenso bombardamento elettronico e di fotoni di alta frequenza che essi ricevono, e quindi emettono luce propria, la quale però - in virtù di una nota legge fisica - ha lunghezza d'onda sempre maggiore di quella della luce eccitatrice. In tal caso lo spettro della nebula presenta un debole fondo luminoso continuo (luce riflessa) intercalato da righe luminose (righe di fluorescenza). Tra queste hanno speciale importanza due righe vicine di un bel verde smeraldo (lunghezza d'onda λ = 4959 e λ = 5007 Ångstrom) che non è stato possibile riprodurre sperimentalmente nei nostri laboratorî, cosicché vennero fino a pochi anni or sono attribuite ad un elemento incognito a cui fu dato il nome di Nebulio. Oggi è dimostrato che il preteso nebulio non è altro che ossigeno due volte ionizzato, mentre la ragione per cui tali righe non possono riprodursi in laboratorio, dipende dal fatto che non ci è possibile portare l'ossigeno ad un tal grado di rarefazione, come esso si trova nelle nebulose diffuse.
Tra le nebulose diffuse più importanti, ricordiamo la magnifica nebulosa di Orione, la nebulosa delle Pleiadi, le tre grandi nebulose del Sagittario, la nebulosa America (così detta per la sua forma che ricorda il continente Nordamericano) ecc. Per quelle oscure, ricordiamo la Baia Oscura, che fa parte della nebulosa di Orione; i Sacchi di Carbone, ecc.
Le nebulose planetarie, così dette perché viste col cannocchiale si presentano come piccoli dischetti luminosi simili a quelli dei pianeti, sono oggetti galattici costituiti da colossali globi gassosi, sferici o sferoidici, spesso del diametro di centinaia di miliardi di chilometri, i quali hanno al centro una stella eccitatrice (nucleo) di color azzurro intenso e di altissima temperatura.
Ben poco si conosce sopra la formazione di queste curiose nebule; la maggior parte degli astronomi ritiene che esse siano residui di stelle novae. E questa ipotesi moderna sembra confermata dal fatto che una stella nova, dopo l'esplosione, si cinge di un'altissima atmosfera gassosa divenendo appunto simile ad una nebulosa planetaria (ad es. la Nova Pictoris); dal fatto che le nebulose planetarie prediligono i dintorni della Via Lattea, come appunto le novae; dal fatto infine che i nuclei delle planetarie sono stelle di elevata densità media, simili alle "nane bianche" che sembrano appunto strettamente collegate con le novae, ecc.
Tra le nebulose planetarie più importanti, notiamo la nebulosa anulare della Lira, la nebulosa planetaria gigante dell'Acquario, la nebulosa della Vulpecula, ecc.
Le nebulose extragalattiche, e cioè nebulose situate al di fuori della Galassia, differiscono completamente da quelle delle due prime classi, pur avendo l'aspetto di piccole nubi biancastre (onde il nome) quando vengono osservate al cannocchiale. Esse non sono nubi gassose o dí pulviscolo, ma giganteschi sistemi stellari, analoghi al nostro sistema galattico vale a dire composti di molti miliardi di stelle, aggruppate tra loro in forma generalmente poco diversa da un ellissoide rotondo molto schiacciato. Per tale ragione le nebulose extragalattiche sono state anche chiamate nebulose anagalattiche od anche Universi isola; ma la maggior parte degli astronomi le chiama ora Galassie.
Le loro distanze sono sempre grandissime, variando da circa un milione di anni di luce per la nebulosa di Andromeda che è la più vicina a noi, fino a circa duecentosessanta milioni di luce per alcune nebulose scoperte da Baade nella costellazione della Chioma di Berenice. I nostri mezzi strumentali non hanno consentito finora di andare più lungi; ma col nuovo riflettore di cinque metri di apertura, inaugurato sul Monte Palomar (California) nell'agosto del 1948, si spera di poter scandagliare lo spazio forse fino ad una distanza di cinquecento milioni di anni di luce.
Il metodo più attendibile per la determinazione di queste distanze è il metodo fotometrico, consistente nel misurare (per mezzo di fotografie celesti ottenute con grandi riflettori, con molte ore di esposizione) lo splendore apparente di stelle di tipo conosciuto (variabili Cefeidi, stelle novae, ecc.) contenute nella nebulosa e di cui si conosca già la quantità di luce che emettono. Nel caso di nebulose lontanissime, si fa anche ricorso al metodo spettroscopico, determinando la velocità con cui la nebula sembra allontanarsi da noi, ciò che si ottiene facilmente misurando lo spostamento delle righe spettrali verso il rosso, secondo un noto principio fisico. Si sa infatti dall'esperienza che, per cause ancora poco conosciute (espansione dell'Universo, secondo la teoria di relatività; diminuzione dell'energia dei fotoni in proporzíone della distanza percorsa, secondo alcuni astronomi; cause cosmogoniche, secondo altri) le nebulose extragalattiche sembrano allontanarsi da noi con velocità V proporzionale alla loro distanza e che, in cifra tonda, viene oggi stimata di circa 200 km/sec. per ogni milione di anni di luce di distanza. Determinata V, risulta quindi nota la distanza.
Recentemente si è avuto un nuovo perfezionamento nella tecnica delle fotografie nebulari, esaminando le lastre col microdensimetro; strumento che permette di scorgere anche i più lievi annerimenti delle negative e quindi di rilevare le parti periferiche delle nebule, che generalmente sono troppo poco luminose per impressionare la lastra in modo sensibile all'occhio. Si è trovato così che le nebulose extragalattiche hanno dimensioni molto maggiori di quanto si credeva alcuni anni fa; la nebulosa di Andromeda, p. es., ha un diametro di circa sessantamila anni di luce, e cioè paragonabile con quello della nostra Galassia, in accordo con le idee moderne. Si è anche trovato (e la scoperta presenta grande interesse, specialmente dal lato cosmogonico) che le nebulose extragalattiche, benché abbiano generalmente una forma assai schiacciata, sono spesso immerse in una colossale nube gassosa sferoidica (rilevabile nelle lastre col microdensimetro), di cui esse costituiscono quasi il piano equatoriale.
Origine delle nebulose extragalattiche. - Il problema della formazione di queste grandi famiglie stellari, costituite dalle nebulose extragalattiche, è uno dei problemi fondamentali della cosmogonia moderna. Generalmente si ritiene che il gas prestellare (la prima materia creata, corrispondente in certo senso alla "massa confusa" del Genesi, od al "chaos" degli antichi) si sia suddivisa (per un teorema sopra la instabilità gravitazionale, parzialmente dimostrato da J. H. Jeans) in colossali ammassi separati, ognuno dei quali condensandosi a sua volta in miliardi di stelle, avrebbe dato origine ad una nebula.
Ma perché queste nebule hanno generalmente la forma di un ellissoide molto schiacciato? Si è cercato di spiegare il fatto ammettendo che l'ammasso gassoso, durante la contrazione, sia stato soggetto ad un moto rotatorio sempre più rapido; ma in tal caso, la teoria delle figure di equilibrio mostra che il diametro polare dell'ellissoide sarebbe sempre superiore alla metà (esattamente a 58/100) del diametro equatoriale, mentre le osservazioni mostrano che in molte nebule (come forse anche nella Galassia) tale rapporto è circa eguale ad 1/10.
Recentemente (Rend. Lincei, 1946) G. Armellini, fondandosi sopra le nuove conoscenze ottenute esaminando le fotografie col microdensimetro, e cioè che le nebule costituiscono spesso il piano equatoriale di colossali ammassi gassosi sferoidici, ha avanzato un'ipotesi radicalmente diversa. Egli considera che, durante la formazione delle stelle per condensazione dei gas circostanti, la loro massa cresceva necessariamente col tempo, e mostra quindi col calcolo che queste stelle si muovevano compiendo oscillazioni armoniche smorzate da una banda e dall'altra del piano equatoriale dell'ammasso. In conseguenza, dopo un lungo intervallo di tempo, le stelle formatesi finirono col trovarsi riunite presso il piano equatoriale, dando origine ad un insieme stellare avente forma di ellissoide rotondo molto schiacciato, come appunto ci appaiono le nebulose extragalattiche. Poco si sa ancora sopra l'origine delle braccia che in alcune nebule extragalattiche (nebulose spirali) avvolgono il corpo centrale; secondo S.H. Jeans, esse sono dovute a perturbazioni prodotte dalla attrazione di nebule vicine.
Bibl.: G. Armellini, Le nebulose, Bologna 1936; id., Il secondo problema fondamentale della Cosmogonia, in Rendiconti dell'Accademia Nazionale dei Lincei, 1946; H. D. Curtis, The nebulae, in Handbuch der Astrophysik, V; W. De Sitter, Kosmos, Cambridge, Mass., 1932.