NEBULOSE
1. Varie speae di nebulose. Gli antichi conoscevano una sola nebulosa stellare, quella descritta da Ovidio: "Est via sublimis, coelo manifesta sereno: Lactea nomen habet candore notabilis ipso".
Galileo ebbe a mostrare per primo che questo candore era dovuto a miriadi di stelle, troppo piccole perché l'occhio umano le possa distinguere.
È probabile che molti marinai fenici abbiano notato presso il cinto d'Orione il diffuso bagliore della grande nebulosa, ma soltanto l'applicazione dello spettroscopio mise in grado W. Huggins di riconoscere (1865) che questa nebulosa, al pari di molte altre, è essenzialmente gassosa.
Infine in varî punti della Via Lattea si notano, accanto a regioni ricchissime di stelle, spazî oscuri apparentemente vuoti che W. Herschel con espressione pittorica chiamò "sacchi di carbone" interpretandoli come buchi attraverso gli ammassi stellari che avrebbero permesso al suo telescopio di sondare, almeno in quelle direzioni, le profondità dell'universo.
Analoga interpretazione dava Herschel alle macchie solari costituite invece da materiali a temperatura meno elevata della circostante fotosfera.
Le ricerche compiute da E. E. Barnard, da J. G. Hagen e da molti altri hanno mostrato che i sacchi sono più probabilmente masse oscure di gas freddi o di meteoriti interposte fra noi e gli ammassi stellari retrostanti.
Il numero delle nebulose, nel corso degli ultimi decennî, dopo l'estensione della fotografia celeste è salito a milioni, ma le specie essenzialmente distinte sono rimaste sempre queste tre: stellari, gassose, oscure; di gran lunga più numerose le stellari, quasi tutte fuori del sistema della Via Lattea, in numero assai minore quelle delle altre due categorie appartenenti al sistema galattico.
Le nebulose, come gli ammassi stellari (v.), si designano per mezzo del numero che esse portano in uno dei cataloghi in cui sono state segnalate e descritte; e a codesto numerosi fa precedere una sigla che indichi, abbreviatamente, il catalogo cui si intende riferirsi. Per lo più si usa il New General Catalogue of Nebulae and Clusters pubblicato nel 1887 da J.L. Dreyer, nel vol. XLIX dei Memoirs of the R. Astrozzomical Society di Londra (sigla N. G. C.), cui seguirono, nei volumi LI e LIX due appendici (I. C. I. e I. C. II).
2. Nebulose stellari. - Lord W. P. Rosse, col suo gigantesco telescopio, riconobbe per primo la struttura spirale della nebulosa dei Cani da caccia. Il confronto fra il disegno e la fotografia (figg. 1 e 2) mostra l'enorme progresso conseguito con la tecnica moderna. Delle centinaia di rami a spirale disegnati da Lord Rosse appena tre o quattro trovano esatto riscontro nella fotografia; gli altri sono da ritenere in gran parte come illusorî, ciò che nulla toglie peraltro al merito insigne dei primi indagatori. Le stime di J. F. Keeler, che dai saggi eseguiti in varie regioni del cielo giudicava (nel 1898) che il numero delle nebule spirali accessibili al suo strumento raggiungesse le 120.000, sono state confermate e ampliate dalle successive ricerche di Ch. Perrine, di M. Wolf, E. A. Fath e H. D. Curtis, talché oggi si supera il milione. Non in tutte naturalmente è riconoscibile la struttura spirale; per alcune è d'ostacolo la estrema piccolezza, per altre l'orientamento poiché una nebula spirale vista di taglio ci si presenta fusiforme (fig. 3) e viene resa impossibile la separazione delle varie spire. In compenso ci si presenta in molti casi un arco ellittico oscuro, quasi un taglio nella massa luminosa, che non si può spiegare altrimenti che come un fenomeno di assorbimento dovuto a un ramo di materiali freddi e perciò oscuri. Probabilmente si tratta di una fascia di pulviscolo, come l'anello di Saturno che noi vediamo lucido solo perché illuminato dal Sole, ma che apparirebbe pure nero sul bianco, se venisse a mancare d'un tratto la luce del Sole e il globo del pianeta acquistasse luce propria: tale del resto è l'aspetto della parte interna dell'anello.
Le nebulose, dopo le comete, sono fra gli oggetti celesti che presentano il più grande distacco nelle dimensioni apparenti. Si va da pochi secondi d'arco per le più deboli fino a 40 × 55 minuti primi, come la nebulosa spirale del Triangolo, dimensioni ancora notevolmente superate dalla nebulosa di Andromeda (tav. XCI) che nelle lastre più esposte ricopre una superficie pari al quadruplo della Luna piena: la parte accessibile all'occhio, anche nei più forti cannocchiali, è però notevolmente più piccola.
Oltre alle differenze dipendenti dall'orientamento e dalle dimensioni apparenti, vi sono tra le varie nebulose innegabili differenze di struttura, non minori di quelle che ci presentano i varî stadî di sviluppo degli organismi viventi. In alcune nebulose (fig. 2) da due parti opposte del nucleo centrale si distaccano due rami che seguono, come ha dimostrato E. von der Pahlen, una legge geometrica molto semplice, sono cioè quasi esattamente spirali logaritmiche. Altre mostrano invece aspetti affatto irregolari come la nebula Trifida (fig. 4) e quella del Cigno (tav. XCII).
La luminosità superficiale delle nebule spirali secondo Hopmann è inferiore a 18M,5; la luminosità totale per la nebula più lucida (Andromeda) si ragguaglia appena a 5M, raggiunge cioè quasi il limite delle stelle appena visibili a occhio nudo (6M). K. Lundmark e B. Lindblad hanno determinato per 14 nebule spirali la lunghezza d'onda effettiva λ 429 m, μ, corrispondente all'incirca alla classe spettrale G, cioè alle stelle di colore giallognolo come Capella. Secondo Fath, V. M. Slipher e M. Wolf lo spettro della luce complessiva di molte nebule sarebbe anche più inten. samente colorato, da G fin verso K (spettro di Arturo). Secondo F. H. Seares la colorazione gialla è prevalentemente nel nucleo, mentre i nodi e le condensazioni sui rami delle spirali sono ricchi di luce azzurrina (stelle giovani).
Veri nidi di nebulose spirali vennero scoperti da Max Wolf in varie regioni del cielo. Egli riuscì a contarne non meno di 517 intorno a N. G. C. 598 e ritenne che si trattasse soltanto di frammenti usciti dai varî rami della stessa spirale. Si potrebbe presumere, dopo ciò, che le stelle fossero molto più fitte in immediata vicinanza delle spirali. Non si nota invece nessuna anomalia rispetto alla densità delle stelle nelle regioni circostanti. Sotto questo aspetto le nebule spirali si comportano in modo assai diverso dalle nebule gassose (ad es., quella di Orione; tav. XCII), che sono contornate quasi sempre da regioni povere di stelle. Secondo i conteggi di Goetz e di Lundmark la nebulosa di Andromeda e quella del Triangolo campeggiano in regioni dove il numero delle stelle e la loro distribuzione appaiono assolutamente normali e per nulla influenzati dalla presenza delle nebulose. Questo fa pensare che le stelle in questione siano a noi molto più vicine delle nebulose sulle quali si proiettano. Questo fatto si riscontra tanto per le spirali aperte quanto per le fusiformi.
Per converso una relazione sorprendente con le nebule spirali presentano le stelle di una categoria specialissima, le cosiddette stelle nuove o novae, che a un dato momento sembrano divampare d'un tratto nel luogo prima occupato da una stella debolissima, con caratteristiche spettrali che permettono di ascrivere a questa classe anche stelle di cui non sia stata effettivamente osservata l'esplosione. Tutte le stelle nuove conosciute, ormai circa un centinaio, o si proiettano in vicinanza della Via Lattea, ovvero nel campo di qualche nebulosa spirale. Per es., se ne contavano fino a pochi anni fa 38 nel campo della Via Lattea, 21 nella nebulosa di Andromeda, 6 in altre nebulose spirali. Questa preferenza per le nebulose spirali e per la Via Lattea, tenuto anche il debito conto della luminosità apparente che appare notevolmente superiore per le novae galattiche, dimostra due cose importantissime: 1. le spirali sono probabilmente altrettante isole nell'universo (galassie) di dimensioni comparabili a quelle della nostra Via Lattea; 2. le stelle nuove, supposto che in media abbiano all'incirca la stessa luminosità, ci possono fornire la chiave per trovare la distanza delle nebulose spirali.
Indubbiamente le nebule spirali sono di gran lunga i sistemi più lontani di tutto il cielo stellato. Le poche misure dirette di parallasse che sono state tentate hanno dato valori troppo elevati, affatto illusorî, cioè distanze troppo piccole. Di maggiore affidamento sono i calcoli in base alle stelle nuove, ammesso che abbiano in media la stessa grandezza assoluta. Lundmark ha trovato così per la nebula di Andromeda una parallasse di 0′,000005, che corrisponderebbe a una distanza di circa un milione di anni luce. Di conseguenza l'estensione di questa nebulosa nel suo piano equatoriale raggiungerebbe 5.000 anni di luce, circa la quarta parte del sistema della Via Lattea secondo H. Shapley. Dello stesso ordine di grandezza dovrebbero essere le altre nebulose più lontane.
Una delle proprietà più notevoli e caratteristiche delle nebule spirali, e che meglio fa comprendere la loro distinzione dal sistema della Via Lattea, è la loro velocità radiale, che risulta in media almeno 30 volte più grande della velocità radiale media delle stelle. Questa importante scoperta fu ottenuta all'Osservatorio Lowell dallo Slipher con speciali spettrografi esposti sulla medesima nebula fino a 20 e 40 ore e più. Fra circa 40 nebulose osservate da Slipher, W. H. Wright, F. G. Pease e Max Wolf solo due o tre (fra cui la nebulosa di Andromeda con la notevole velocità di 320 km. al secondo) si avvicinano a noi, tutte le altre si allontanano con velocità, in media, di circa 600 km/sec. in qualche caso (N. G. C. 584) anche perfino di 1800 km/sec. Secondo lo Slipher, quanto più inclinate sono le spirali rispetto alla direzione della visuale, tanto maggiore è la loro velocità; sembra dunque che le nebule si muovano nel loro piano di simmetria equatoriale, come piastrelle scagliate da un esperto discobolo, cioè con la spinta data in modo da incontrare la minima resistenza da parte del mezzo.
Lo Slipher infine con misure spettrografiche ha potuto dimostrare che le nebulose spirali ruotano nel loro piano di simmetria, risultando le righe inclinate rispetto all'asse dello spettro, precisamente come avviene per i pianeti.
Per tutte le nebule finora esaminate la rotazione avviene nel medesimo senso rispetto ai rami della spirale, cioè nel senso di svolgersi, non di avvolgersi; la materia dunque esce dal nucleo animata da forza centrifuga, mentre prima si credeva che tutte le nebule, come la nebulosa primitiva escogitata dal Laplace, tendessero a contrarsi per trasformarsi all'ultimo in stelle. Come si vede, lo studio accurato delle nebulose ha prodotto una profonda rivoluzione nelle teorie cosmogoniche.
Anche la distribuzione in cielo delle nebulose rispetto alla Via Lattea è strettamente connessa col piano di simmetria di questa, poiché il loro numero diminuisce rapidamente procedendo dai poli della Via Lattea verso il detto piano, mentre la velocità radiale sembra aumentare in progressione lineare con la distanza.
In linea generale l'emisfero boreale appare assai più ricco di nebule spirali che non l'emisfero australe, il che si può spiegare con la posizione eccentrica occupata dal Sole rispetto al piano di simmetria del sistema galattico. Nello stesso modo si può spiegare l'ineguale distribuzione delle nebulose in longitudine, col minimo di frequenza in direzione del Sagittario, dove appunto, secondo H. Shapley, sarebbe il centro del grande sistema galattico a una distanza dal Sole di 20.000 parsec (indicandosi con questo nome la distanza corrispondente alla parallasse di 1″, ossia 206.265 volte il raggio dell'orbita terrestre). Altra irregolarità di distribuzione delle nebule è questa che, mentre le spirali aperte (sul tipo di quella dei Cani da caccia: fig. 2; tav. XCI) sono ugualmente numerose nei due emisferi, il numero delle spirali fusiformi è assai maggiore nell'emisfero boreale.
In determinate regioni infine (Chioma di Berenice, Vergine, Perseo, ecc.) sono state scoperte, per lo più da Max Wolf, centinaia di nebule addensate in un piccolo spazio, delle quali appare attualmente molto difficile stabilire se si tratti di piccoli sistemi secondarî appartenenti allo stesso nostro sistema della Via Lattea, ovvero di sistemi isolati (Universe Islands) assai lontani da questa.
3. Nebule gassose. - Si conoscono varie nebulose (N. G. C. 278, 598, 1068, 4151, 4214, 4449, 5236...) che presentano accanto alle righe d'assorbimento degli spettri stellari anche le linee d'emissione dei gas caratteristici delle nebulose gassose e quindi costituiscono l'anello di transizione dall'uno all'altro tipo di nebulose. Così, per es., N. G. C. 1068 mostra le linee dell'idrogeno e del Nebulio e il confronto delle corrispondenti velocità radiali con quelle risultanti dalle stelle mostra che nebulose e stelle costituiscono un unico sistema. Applicando le stesse considerazioni alle due nuvole di Magellano, E. Hertzsprung ha dimostrato che esse si muovono di conserva con una velocità spaziale di 608 km/sec. verso il punto di ascensione retta 4h, 31m e di declinazione − 4°,7. Fra le molte stelle che si proiettano sul campo della nuvola grande, alcune partecipano al detto moto e si avvicinano a noi con la velocità radiale di 309 km/sec., altre presentano velocità molto più piccole (in media 6 km/sec.); queste ultime stelle con tutta probabilità appartengono al sistema galattico, cioè sono molto più vicine a noi che alla nuvola di Magellano.
La piccola nube di Magellano secondo Hertzsprung avrebbe una parallasse di 0″,0001, sarebbe cioè circa 20 volte più vicina della Nebula di Andromeda, e quindi relativamente vicinissima alla Via Lattea.
Le nebule gassose si distinguono in due grandi categorie: le irregolari o diffuse e le planetarie.
Le nebule irregolari sono per lo più molto grandi e hanno aspetto sfumato e contorni oltremodo indecisi; ve ne sono di quelle (la nebula America) che essendo composte in gran parte di gas emettenti luce ultravioletta, rimangono inaccessibili all'occhio e riescono visibili in modo completo solo sulle fotografie.
La luminosità delle nebule gassose varia fortemente da oggetto a oggetto. Così la nebulosa di Orione è visibile a occhio nudo, mentre altre riescono visibili solo su lastre con lunga durata di posa e appena sotto forma di bagliori di luce debolissima. In alcune sono stati riscontrati forti cambiamenti nel corso di pochi anni (nella Crabnebel da Lampland).
Le nebule irregolari si trovano quasi sempre in regioni dove abbondano stelle delle prime classi spettrali, ossia ad alta temperatura, specialmente del tipo B. In molti casi sono indubbiamente collegate con queste, di guisa che basta allora determinare la parallasse delle stelle per avere anche quella delle nebulose. Così per la nebula di Orione J. C. Kapteyn dalle circostanti stelle con elio ricavò una parallasse di 0″,0054. Le grandi nebule irregolari sono dunque più vicine a noi delle nebule spirali e appartengono sicuramente al sistema della Via Lattea. Nebule irregolari fuori di questa sono assolutamente eccezionali.
Sugli spettri delle nebule gassose, causa la grande debolezza della luce, ben poco si può dire, oltre il fatto che si tratta di oggetti gassosi. Solo la nebula di Orione e alcune nebulose planetarie si prestano a questa indagine. Delle varie linee lucide, di cui consta lo spettro, una sola si è potuta identificare con una riga (Hβ) dell'idrogeno; l'origine delle altre è sconosciuta; però dalla costanza del rapporto d'intensità con cui compaiono nelle varie nebulose si desume che corrispondono certo a un medesimo elemento mescolato in proporzioni assai variabili all'idrogeno; probabilmente, oltre alle proporzioni, sono anche assai diverse le circostanze fisiche del processo luminoso. In ogni modo il cosiddetto Nebulio, al quale si ascrivono le righe di origine sconosciuta, potrebbe benissimo comprendere anche varî elementi.
Con l'esame spettroscopico delle righe di emissione si sono potute determinare le velocità di avvicinamento (−) o di allontanamento (+) delle nebule più importanti. Si è trovato:
In media dunque 11 km/sec., che è l'ordine di grandezza delle velocità radiali delle stelle circostanti.
Oltre alle velocità radiali di questi sistemi sono anche molto interessanti i moti interni posti in evidenza fino dal 1902 da H. C. Vogel e G. Eberhard per la nebula di Orione e confermati da ricerche successive di H. Buisson, C. H. Fabry e H. Bourget con un interferometro (1910-1914), da E. B. Frost con uno spettrografo (1915) e infine in epoca più recente dagli astronomi dell'Osservatorio Lick.
Molte nebule, come Orione, la Trifida, l'America, sono accompagnate da regioni con notevole scarsità di stelle, la quale si può spiegare come prodotta dall'assorbimento di gas oscuri connessi con la parte luminosa delle nebule, in analogia perfetta con i fenomeni di assorbimento e di emissione che si osservano sul Sole e anche nelle eruzioni dei vulcani terrestri. Infatti queste regioni oscure riflettono tuttavia debolmente la luce delle stelle circostanti o contenute nell'interno della massa gassosa, come si riconosce dall'esistenza di un debole spettro continuo del tipo B. Per tale modo si passa insensibilmente dalle nebule della seconda classe (gassose) a quelle della terza (oscure).
4. Le nebule planetarie appaiono, anche nei cannocchiali di media grandezza, come dischetti abbastanza regolari di forma ellittica non dissimili dall'aspetto dei pianeti maggiori, donde il nome. Spesso tali nebule appaiono in forma di anelli (Lira; fig. 5) o di dischetti ellittici; quasi sempre posseggono uno o più nuclei luminosi; se ne conoscono circa 150, la massima parte essendo stata trovata all'Osservatorio di Harvard College. Che non si possa trattare di veri anelli (come sarebbe quello di Saturno), risulta dal fatto che nessuna ci si presenta di taglio, ossia fortemente allungata, ma tutte quante hanno aspetto globulare. L'osservazione e le fotografie con grandi strumenti mostrano strutture assai complicate, anulari, spirali e infine irregolari: le loro dimensioni oscillano fra 2″-3″ e una diecina di primi; le più piccole sono addensate nella via Lattea; le più grandi, e perciò più vicine, appaiono distribuite quasi uniformemente su tutto il cielo. Le parallassi di queste nebule oscillano fra 0″,002 e 0″,023; sono dunque dell'ordine delle parallassi stellari.
Dalle ricerche spettroscopiche che sono state condotte da W. W. Campbell sono risultate masse da 20 a 200 volte più grandi della massa del Sole e periodi di rotazione che vanno da 1000 fino a 133.000 anni. Abbiamo insomma dinnanzi a noi la nebulosa di Laplace, quale doveva essere qualche miliardo di anni prima di dare luogo all'attuale nostro sistema planetario. Dall'analisi spettroscopica veniamo accertati inoltre che queste nebulose non girano tutte d'un pezzo, ma si muovono con velocità diverse a varie latitudini e a varie profondità, precisamente come accade sul Sole. Le velocità con le quali avviene la traslazione di queste nebulose attraverso la Via Lattea superano, in media, di una volta e mezzo la velocità del Sole rispetto al sistema stellare (19,5 km/sec.). Per la loro grande massa le nebulose planetarie prendono posto nella classificazione stellare secondo Harvard fra le stelle di tipo O, cioè all'inizio della classifica.
5. Le nebulose oscure (fig. 7) si rendono qualche volta visibili per la debole luminosità che è dovuta a luce riflessa proveniente dalle stelle circostanti. Così avviene per la nebulosa delle Pleiadi (la quale è visibile solo con pose assai prolungate), così per la nebulosità intorno a ρ Ophiuchi, per quella intorno a R Monocerotis e per altre. Se la materia che riflette la luce sia composta di gas o di polvere cosmica, è questione che rimane per il momento ancora indecisa.
A questa categoria si devono ascrivere le nebulosità circostanti alle stelle nebulose scoperte da W. Herschel e di cui oggi si conosce un centinaio di esemplari. Caratteristico di questa classe di stelle è lo spostamento dell'indice di colore verso il rosso; tutte queste stelle appaiono cioè sensibilmente più rosse di quanto porterebbe la loro classe spettrale (generalmente B). Si ritiene che tale fenomeno dipenda da dispersione prodotta da involucri di materia nebulare oscura, precisamente come il fenomeno della colorazione rossa del Sole al tramonto dipende dalla dispersione prodotta dal pulviscolo atmosferico.
Infine anche le nebule variabili (esempî N. G. C. 2261, N. G. C. 6729 e altre) si spiegano nel modo più semplice con la riflessione della luce di stelle variabili sopra ammassi di materia nebulare oscura.
Bibl.: S. Newcomb, Populäre Astronomie, Lipsia 1922; P. Maffi, Nei cieli, Torino 1923; Russell-Dugan-Stewart, Astronomy, II, Boston 1927; G. Armellini, Trattato di astronomia siderale, I, Bologna 1928; F. Moreux, Le ciel et l'univers, Parigi 1928; J. H. Jeans, Astronomy and cosmogony, Cambridge 1929.