NEBRIDE (dal gr. νεβρίς, "pelle di cerbiatto")
Nell'arte figurata e nella poesia greca classica, la nèbride, come pelle di cerbiatto, o più semplicemente di capretto, è uno degli attributi di Dioniso e dei suoi seguaci: satiri, sileni e menadi. L'attributo della nebride è una riprova del carattere primigenio del culto dionisiaco, ricordo d'una civiltà remota, quando le pelli degli animali uccisi erano le uniche vesti dell'uomo. In uno stadio più avanzato di civiltà la pelle dell'animale sacrificato non cessa di vestire il simulacro del dio, e viene quindi indossata dai sacerdoti e dai seguaci iniziati, come una sopravveste di carattere sacro nelle cerimonie del culto. Oltre che della pelle di capretto, Dioniso e il seguito sono indicati come vestiti della pelle di altri animali: ora della pardalide (παρδαλέη), o pelle di leopardo o di pantera, ora dell'egida (αἰγίς), o pelle di capra. Tutti questi animali infatti appaiono pure come sacri a Dioniso. Ma nella pratica sembra che la denominazione "nebride" tenesse il luogo di tutte le altre.
I monumenti figurati, come statue, rilievi, vasi dipinti, offrono una larga esemplificazione della nebride, genericamente intesa, e della maniera d'indossarla. Talora essa è portata a tracolla e annodata per due zampe al disopra della spalla, come un balteo. In altri casi invece, e specialmente in figure femminili, la pelle ferina appare annodata intorno alla vita, in modo da stendersi largamente sul davanti della figura. La maniera più semplice, ma anche più primitiva, è quella di portare la nebride annodata per le zampe posteriori (più lunghe) sul petto, o sotto il mento. In altri casi essa è portata sciolta e ondeggiante sulla spalla o sul braccio (sempre il sinistro), come non si vede però nell'arte anteriore all'età ellenistica. Nell'arte ellenistico-romana la nebride assolve anche una funzione decorativa, insieme con altri attributi bacchici, e in rapporto con il carattere religioso che si vuole attribuire all'oggetto decorato: come ad esempio sopra le coppe argentee del tesoro di Hildesheim.
Bibl.: A. Legrand, in Daremberg e Saglio, Dictionn. des antiquités gr. et rom., s. v. Nebris (cfr. ivi anche la voce Maenades, dello stesso autore, nonché la voce Pelles, di M. Besnard); E. Pernice e Fr. Winter, Der Hildesheimer Silberfund, Berlino 1901, tavole 11 e 12.