Ne, le man vostre, gentil donna mia
- Sonetto (Rime LXVI), che i Giunti attribuirono a D. nell'edizione del 1527, e il padre Faustino Tasso a Cino da Pistoia nella stampa del 1589; è stato per lungo tempo assegnato all'uno e all'altro poeta, secondo che si è dato credito alle non poche testimonianze della tradizione manoscritta, o si sono accolte con fiducia, senza ponderato giudizio, talune generiche o inesatte affermazioni di qualche antico editore.
Così che mentre il Witte, il Nottola e lo Zaccagnini, ad esempio, sulla base dell'autorità di molti o quasi tutti i codici, l'ascrissero a D., il Fraticelli, al contrario, e, dopo di lui, il Giuliani, il Serafini e il Lamma lo ritennero di Cino sulla fede di due trivulziani citati dal Ciampi nella sua edizione delle poesie ciniane (cioè il Palatino 204, e il codice Bossi 36 o Trivulziano 1058, giusta l'illazione del Barbi), i quali, invece, com'è noto, lo riferiscono chiaramente a Dante. Il Lamma, anzi, a maggior conferma della sua opinione - a parte le osservazioni sullo stile del sonetto, che, a suo giudizio, lo facevano supporre proprio di Cino - allegò altri due codici, il Vaticano lat. 3212 e il Magliabechiano VII 391, che, in verità, non contengono il componimento. Anche lo Zingarelli lo credette " indubbiamente " di Cino, ma non apportò alcuna prova a sostegno della sua asserzione. Il Barbi, invece, l'assegnò con sicurezza a D. sul fondamento di numerosi manoscritti che l'hanno trasmesso sino a noi, alcuni dei quali della massima autorità, come il Chigiano L VIII 305, il Vaticano Barberiniano lat. 3953 (già XLV 47), il Magliabechiano VII 1060, il Laurenziano Rediano 184, il Vaticano lat. 3214 e i codici derivati dal testo del Beccadelli. Dopo di lui l'attribuzione a D. fu accolta dagli studiosi - eccetto qualcuno, come, ad esempio, il Whitmore - senza più alcuna perplessità.
Il sonetto, come giustamente osservò il Barbi, contro l'opinione del Santi che voleva assegnarlo all'amore per la Donna gentile, fu scritto per Beatrice - di questo parere è anche il Contini -, e rientra senza dubbio nel gruppo di rime del primo periodo della Vita Nuova; e in particolare, ci sembra, fra quelle composte quando il poeta fu privato, contro ogni sua aspettativa, del saluto e della vista della donna amata, come, senza ambagi, è ricordato in Vn XVIII. In esso, infatti, è accennato il motivo dell'amore doloroso del poeta, che, condotto ormai a immeritata morte, raccomanda alla sua gentil donna lo spirito afflitto, e la prega, finché è ancora in vita, di degnarlo almeno di uno sguardo, in modo da morire consolato in pace (v. 13). Il quale argomento, come sappiamo, è consueto appunto nelle rime giovanili e narratorie dello stato spirituale di D., composte per lo più nel periodo anteriore alla lode di Beatrice, e secondo il Casini certamente prima del 1287. A quel tempo, cioè, al quale appartengono altresì le due canzoni E' m'incresce di me sì duramente (Rime LXVII) e Lo doloroso amor che mi conduce (LXVIII), che proprio con questo sonetto presentano, oltre che affinità di concetti, indubitabili somiglianze d'ispirazione e di atteggiamento psicologico.
Anche in esse, infatti, D. si lamenta del crudele contegno della sua donna, che non si compiace più di salutarlo né di rivolgergli, come nel passato, i suoi occhi soavi, e si rammarica di quell'amore che lo conduce a morte per volontà di colei che solea tener gioioso (LXVIII 3) il suo animo. Per queste ragioni, dunque, si può supporre, con ogni probabilità, che il sonetto sia contemporaneo a quelle canzoni e si riferisca veramente, come abbiamo detto, a quel momento angoscioso dell'amore del poeta per Beatrice.
Bibl. - Sonetti e canzoni di diversi antichi autori toscani in dieci libri raccolti, Firenze 1927, 17c; K. WitteD. Alighieri's lyrische Gedichte, Lipsia 1856, I 386; E. Lamma, Studi sul Canzoniere di D., in " Il Propugnatore " XVIII (1885) 375 (e cfr. anche Questioni dantesche, Bologna 1902, 13); U. Nottola, Studi sul Canzoniere di Cino da Pistoia (Contributo all'edizione critica), Milano 1893, 25; Zingarelli, Dante [1904] 361; A. Santi, Il Canzoniere di D.A., Roma 1907, n 371-372; C. E. Whitmore, recens. a Opere di D., in " Romanic Review " XIII (1922) 91-95; G. Zaccagnini, Le rime di Cino da Pistoia, Ginevra 1925, 129; Contini, Rime 56; Barbi-Maggini, Rime 232-233.