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SAURO, Nazario

di Massimo Baioni - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)
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SAURO, Nazario

Massimo Baioni

SAURO, Nazario. – Nacque a Capodistria, in territorio dell’Impero austro-ungarico, il 20 settembre 1880, primogenito di Giacomo (nato nel 1852), marittimo di origini romane, e di Anna Depangher (nata nel 1857). La sorella Maria nacque nel 1883 in Francia, dove la famiglia si era trasferita da due anni, prima del rientro a Capodistria nel 1886. Dal padre, che gestiva anche uno stabilimento balneare, Nazario assorbì una precoce passione per il mare, che presto andò a sostituire le modeste prestazioni scolastiche al ginnasio locale. Nel 1901 sposò Caterina Steffè, dalla quale ebbe cinque figli: Nino, Anita, Libero, Italo, Albania. La scelta di «nomi di libertà», come scrisse nell’ultima lettera al figlio Nino, rispecchiava la sua fede patriottica e un’adesione all’irredentismo permeata di suggestioni mazziniane e garibaldine, testimoniate anche da un prolungato impegno a favore della causa dell’indipendenza albanese tra il 1908 e il 1913.

Iscrittosi alla Scuola nautica di Trieste, ottenne il 29 dicembre 1904 la patente di diploma di direttore al grande cabotaggio: iniziò così a svolgere il lavoro di navigazione nella marina mercantile austriaca e di trasporto passeggeri lungo la costa orientale dell’Adriatico. In quegli anni si consolidarono le idee irredentiste e il sentimento di italianità, che Sauro coltivò attraverso il culto dei grandi artefici del Risorgimento – in primis Mazzini e Garibaldi – e soprattutto di Dante Alighieri. Fece parte della comitiva di giuliani, istriani e dalmati (i quattro piroscafi imbarcarono circa 600 persone) che nel settembre del 1908 si recò in pellegrinaggio a Ravenna alla tomba del Poeta, in occasione della cerimonia di consegna della lampada votiva (inviata da Firenze) e dell’ampolla d’argento portata in dono dagli irredenti adriatici.

Nel settembre del 1914, dopo lo scoppio della Grande Guerra, riuscì a trasferirsi a Venezia, arruolandosi nella Regia Marina italiana con il grado di tenente di vascello di complemento; da allora cominciò a inviare all’Ufficio informazioni del ministero della Marina varie note sui sistemi di fortificazione, sulla dislocazione di navi e sommergibili austro-ungarici. All’indomani dell’ingresso italiano in guerra si rese protagonista di decine di incursioni contro le postazioni e i piroscafi nemici – celebre quella effettuata nel porto di Parenzo –, potendo sfruttare la conoscenza dettagliata del litorale adriatico e dell’organizzazione austriaca. Per questa sua attività ricevette l’onorificenza di cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia e la Medaglia d’argento al valor militare.

Il 30 luglio 1916 il sommergibile Giacinto Pullino, sul quale Sauro si era imbarcato come pilota con l’obiettivo di silurare i piroscafi austriaci attraccati nel porto di Fiume, finì per incagliarsi presso l’isolotto di Galiola. L’equipaggio fu catturato e la stessa sorte toccò a Sauro, che aveva tentato la fuga solitaria su un battello a remi. Dichiaratosi con il nome di Nicolò Sambo, tenente di vascello nella riserva, fu presto riconosciuto da alcuni marittimi del luogo e quindi messo a confronto con i familiari, fatti venire da Pola. Mentre il cognato Luigi Steffè non ebbe esitazioni a denunciarne la vera identità, drammatico fu l’incontro con la madre e la sorella Maria, nel corso del quale per tacita intesa essi finsero di non conoscersi.

Accusato di alto tradimento, fu condannato a morte mediante capestro. La sentenza fu eseguita il 10 agosto 1916.

Il 27 agosto furono consegnate alla famiglia le due lettere che Sauro aveva scritto un anno prima (il 20 maggio 1915) e affidato al repubblicano veneziano Silvio Stringari. Nella missiva alla moglie, egli ribadiva che il «dovere d’italiano» era stato la bussola della propria vita; al figlio Nino scriveva che la Patria andava concepita come «il plurale di padre», invitandolo a educare i fratelli a essere «ovunque e prima di tutto italiani» (originali in Archivio del Museo centrale del Risorgimento, Fondo Nazario Sauro).

Le circostanze della morte schiusero la seconda fase della vicenda di Sauro, quella che gli assicurò un posto rilevante nel racconto martirologico di cui fu intessuto il discorso pubblico nazionale. Sin dagli ultimi due anni di guerra il suo nome fu utilizzato per ribadire la legittimità dell’intervento italiano e per denunciare la ‘barbarie’ austriaca, in linea con la demonizzazione del nemico che alimentò la propaganda di tutti i Paesi belligeranti. Egli diventò un’icona dell’irredentismo e fu prontamente inserito nella schiera dei ‘martiri’ illustri, del passato e del presente: Guglielmo Oberdan, Cesare Battisti, Fabio Filzi, Damiano Chiesa. Non a caso, La canzone del Piave cita proprio la triade Oberdan, Sauro e Battisti. Cartoline patriottiche e articoli commemorativi ne rilanciarono il ricordo dentro i circuiti della propaganda e dell’educazione nazionale e occorrenze rilevanti comparvero persino in campo onomastico. Dopo l’esumazione della salma, il 26 gennaio 1919 si svolse la cerimonia ufficiale di sepoltura nel cimitero di Marina di Pola: in quell’occasione fu consegnata alla madre la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria, concessa con r.d. del 20 gennaio 1919.

L’ingresso dei territori orientali nel Regno d’Italia accentuò una politica della memoria che faceva ampio ricorso alle figure chiave dell’irredentismo, secondo una linea interpretativa sempre più virata in chiave nazionalista. Sauro fu additato a figura esemplare dell’italianità delle terre istriane, godendo di ampia diffusione nelle biografie popolari, nei rituali commemorativi, nella divulgazione scolastica. Negli anni Trenta, quando il processo di militarizzazione della cultura fu esteso alla lettura di uomini ed eventi del passato, egli fu arruolato nella serie di precursori e martiri dell’italianità, di cui il fascismo rivendicava la proprietà esclusiva. Nella collana La centuria di ferro, edita da Oberdan Zucchi, il medaglione dedicato a Sauro ne esaltava l’eroismo, inserendolo nella «schiera di puri italiani che col proprio sangue scrissero le più belle e luminose pagine della Storia del Risorgimento a gloria della nostra stirpe» (N. De Julio, Nazario Sauro, 1939, p. 12).

Durante il Ventennio gli furono intitolate strade e piazze, scuole, caserme, circoli, associazioni, unità navali, mentre la casa natale fu trasformata in museo. Alla Mostra della rivoluzione fascista, allestita nel 1932 nel decennale della marcia su Roma, tra i cimeli dell’irredentismo furono esibite alcune parti del patibolo e della corda servita per la sua impiccagione e la giacca con cui era stato sepolto. Il monumento più importante fu inaugurato a Capodistria il 9 giugno 1935, alla presenza di Vittorio Emanuele III. L’opera, realizzata dallo scultore Attilio Selva e dall’architetto Enrico Del Debbio – autori anche del monumento ai caduti della Grande Guerra di Trieste sul colle di San Giusto – riproduceva la sagoma di un sommergibile, sulla cui torretta svettava una vittoria alata. Due dei figli di Sauro, Italo e Libero, ebbero ruoli di primo piano nei ranghi del partito fascista della regione fino al 1945, e il primo fu consigliere speciale per le questioni slave presso il governo centrale.

A conferma della relazione peraltro contrastata con una tradizione irredentista che rinviava inevitabilmente allo scontro passato con il mondo germanico, nel maggio del 1944 il monumento di Capodistria fu in buona parte smantellato (ufficialmente per fare spazio a una batteria antiaerea) dai tedeschi, che dopo l’8 settembre 1943 avevano preso il controllo diretto di tutta la parte orientale dell’Italia (Adriatischen Küstenland). Un anno dopo, con l’arrivo dell’armata jugoslava di Tito, il nuovo governo ordinò la fusione delle statue poste alla base del monumento. In quella fase delicata di transizione, il nome di Sauro conservò per alcuni anni un certo richiamo, legato alla controversa questione del confine dell’Alto Adriatico. Dopo la firma del Trattato di pace di Parigi (10 febbraio 1947), che assegnò alla Iugoslavia la quasi totalità della penisola istriana, il grande esodo della comunità italiana fu accompagnato da alcune rilevanti operazioni simboliche e di appartenenza identitaria. Sotto il coordinamento dell’associazione partigiani italiani di Pola, la salma di Sauro fu esumata e la bara, avvolta nel tricolore, fu imbarcata nella motonave Toscana, che in dieci viaggi trasportò verso Venezia e Ancona circa 12.000 profughi polesi. Il 9 marzo 1947 il feretro fu collocato nel Tempio votivo del Lido di Venezia, dedicato ai caduti della Grande Guerra. Con il passare degli anni, e a parte alcune ricorrenze importanti (nel 1966, cinquantenario della morte, un monumento fu inaugurato di fronte alla stazione marittima di Trieste), il nome di Sauro scomparve abbastanza rapidamente dalla memoria pubblica, restando confinato essenzialmente ai luoghi e alle reti degli esuli istriani e agli ambienti del repubblicanesimo storico: un destino in parte diverso da quello di Oberdan e Battisti i quali, associati ai nomi più altisonanti di Trieste e Trento, continuarono ad avere una qualche eco nazionale, sebbene anch’essa sempre più attenuata a seguito dei mutamenti sociali e culturali in atto nel Paese.

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio del Museo centrale del Risorgimento, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Fondo Nazario Sauro; C. Pignatti Morano, La vita di N. S. ed il martirio dell’eroe. Dai documenti ufficiali del processo, Milano 1922; A. Pozzi, Il vero volto di N. S. Da documenti inediti, carte di famiglia, ricordi della sorella Maria e dei figli, racconti di amici e di camerati, Roma 1936; N. De Julio, N. S., Milano 1939.

P. Ballinger, History in exile. Memory and identity at the borders of the Balkans, Princeton 2003 (trad. it. La memoria dell’esilio. Esodo e identità al confine dei Balcani, Roma 2010); F. Todero, Morire per la patria. I volontari del ‘Litorale austriaco’ nella Grande guerra, Udine 2005; M. Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, Bologna 2007; P. Cavassini, L’ampolla e la ghirlanda. Le feste dantesche del 1908 e il mito della Mecca dell’irredentismo, in I Quaderni del cardello, 2008, n. 17, pp. 299-330; R. Wörsdörfer, Il confine orientale. Italia e Jugoslavia dal 1915 al 1955, Bologna 2009; A. Vinci, Sentinelle della patria. Il fascismo al confine orientale 1918-1941, Roma-Bari 2011; R. Sauro - F. Sauro, N. S. Storia di un marinaio, Venezia 2013.

Vedi anche
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