Vedi NAXOS dell'anno: 1963 - 1973 - 1995
NAXOS (v. vol. V, p. 383 e S 1970, p. 539)
Gli scavi condotti nella penisola di Schisò, nei terreni circostanti il castello, hanno messo in luce resti di strutture murarie dell'avanzata Età del Bronzo. Costituite da due possenti muraglioni ad andamento curvilineo e da un ampio torrione semicircolare, esse sembrano appartenere a un sistema difensivo tipologicamente molto affine a quelli noti nel siracusano a Thapsos e al Petraro.
La ricerca archeologica ha distinto a N. due principali fasi costruttive, con due differenti impianti urbani: il primo arcaico, risalente alla metà del VII sec. a.C., l'altro classico, della prima metà del V sec. a.C., poi distrutto alla fine dello stesso secolo da Dionisio I di Siracusa (404-403 a.C.). Il primo stanziamento coloniale, di estensione limitata, è stato individuato nei terreni della penisola contornanti la baia. Nella coesistenza di molteplici orienta menti si crede di ravvisare la caratteristica precipua della prima sistemazione urbana di N.; caratteristica riconducibile forse all'originaria esistenza di più nuclei abitati. La disposizione degli isolati nel settore occidentale è diversa da quella dei settori orientale e centrale. Contrariamente a quanto avverrà in età classica, in questo impianto sembrano essere privilegiati gli assi N-S di collegamento tra la baia e l'entroterra. È recente la scoperta di alcune unità abitative di VII-VI sec. a.C. sul margine NE della penisola di Schisò, in un'area molto prossima all'antico porto. Tra queste case, allineate lungo una strada N-S e generalmente costituite da un unico ambiente o da due ambienti affiancati, se ne segnala una molto ampia (m 13,50 x 7,00) dalla caratteristica pianta a pastàs. Accanto ai due edifici sacri del témenos presso le foci del torrente Santa Venera, di questa fase arcaica sono noti taluni sacelli urbani (C; E; F) e suburbani (A; K; H). Di notevole rilievo per il tipo di planimetria è il sacello C, databile al VII sec. a.C. Coevi a questo sono gli edifìci A e K, mentre appartengono al VI sec. quelli E ed F.
Agli inizî del V sec. a.C. la città viene ricostruita secondo un piano prestabilito rigidamente regolare. Questa nuova sistemazione è considerata conseguenza del trasferimento, avvenuto nel 476 a.C. a opera di Ierone (Diod. Sic., XI, 49,1-2), dei cittadini di N. a Leontinoi, mentre il carattere unitario di questo secondo impianto urbano sembra spiegabile con una rifondazione della città, attribuibile a Ierone, a somiglianza di Katane-Aitna.
Il nuovo abitato si organizza attorno a tre ampi assi stradali E-O (platèiai A, Β e C), i quali, all'intervallo costante di 39 m, sono intersecati ortogonalmente da una serie di strade N-S (stenopòi) aventi una larghezza costante di 5 m, con l'unica eccezione dello stenopòs 6 (di 6,50 m), che probabilmente assicurava il collegamento di N. con l'entroterra e Messana. Di diversa larghezza sono le platèiai: più ampia, 9,50 m quella A, fulcro dell'intero sistema; di 6,80 m la platèia Β e di 6,40 m, infine, la C. Benché ancora non siano stati individuati spazi pubblici, spesso si è segnalato il ruolo preminente che l'incrocio tra la platèia A e lo stenopòs 6 doveva rivestire in questa sistemazione urbana.
La rete stradale sopra descritta individua isolati di abitazioni che, aventi la larghezza costante di 39 m, variano nella lunghezza: molto lunghi (156/158 m) quelli che si attestano nella zona centrale, perpendicolari alla platèia A; meno estesi quelli dei settori meridionale e settentrionale.
Caratteristica saliente di questo impianto sono le ampie basi quadrangolari in pietra lavica (1,25 x 1,40/1,45 m), che si ritrovano agli angoli NO degli isolati, sugli stenopòi. Interpretati come altari, essi sembrano confermare con la loro cadenza regolare l'unitarietà del nuovo impianto.
La pianta delle case del V sec. a.C. è generalmente quadrangolare con cortile interno o con atrio-cortile. Gli alzati delle case erano probabilmente in mattoni crudi su modeste zoccolature in pietra lavica. Si constata che generalmente gli isolati sono divisi longitudinalmente in due strisce uguali. Non sembrano, viceversa, uguali le dimensioni dei lotti abitativi, che variano in relazione con la posizione occupata nell'isolato e rispetto alle strade. In generale si tratta di case con superficie inferiore a quella documentata nella stessa epoca in altre città siceliote.
N. sopravvive alla distruzione dionigiana (403 a.C.). Presumibilmente di estensione ridotta, l'abitato sembrerebbe circoscriversi alle aree della penisola contornanti la baia e il porto, le cui strutture sono state localizzate ai piedi della collina di Larunchi. In quest'ultima zona sono stati rintracciati avanzi di strutture della media età imperiale, pertinenti a un piccolo edificio termale e a magazzini dollari; avanzi quasi certamente da riferire alla mansio indicata nell’Itinerarium Antonini.
La zona destinata ai seppellimenti dal momento della fondazione sino a tutto il VI sec. a.C. è ubicata a Ν della città, in prossimità del mare. Probabilmente si organizzava attorno alla strada che collegava N. a Zancle-Messana. Nonostante il numero poco elevato di incinerazioni, la maggior parte dei seppellimenti sono inumazioni in fosse terragne; l'organizzazione delle tombe (oltre 300 rinvenute negli scavi dal 1980 al 1991), serrate le une alle altre e le une al di sopra delle altre, evoca modelli funerarî diffusi in area euboica.
Della necropoli di epoca classica è stato, invece, individuato un lembo ridotto di poco più di 100 tombe (scavi 1970). Esse, piuttosto lontane dalla città, sono situate a O del torrente Santa Venera. Si tratta prevalentemente di inumazioni entro tombe a cappuccina, benché non manchino alcuni casi di incinerazioni entro anfore da trasporto.
Le sepolture di età ellenistica (III-I sec. a.C.) appaiono sparse nel territorio sia a O che a Ν della città: un nucleo cospicuo è stato rinvenuto in prossimità della riva destra del torrente Santa Venera, mentre alcune tombe sono emerse sulle estreme propaggini settentrionali della collina di Salluzzo e altre, infine, nella zona già utilizzata dalla necropoli arcaica.
Le aree a O del torrente hanno anche rivelato i resti di strutture artigianali quali alcune fornaci, e, soprattutto, le tracce di due santuarîextraurbani. Un deposito sacro del VII-VI sec. a.C. (Area Sacra II) è stato individuato in prossimità del mare, molto vicino alle foci del torrente Santa Venera. I resti di un vasto santuario di rilevante importanza sorgono poco lontano dalla città, quasi in asse con la prosecuzione esterna della platèia A (Area Sacra I). Esso sembra esser stato frequentato almeno dal VII sec. a.C. sino a tutto il periodo ellenistico, con un massimo sviluppo entro la prima metà del IV sec. a.C. Del santuario sono stati individuati il tracciato di una piccola strada, le strutture di tre sacelli arcaici e quelle appartenenti verosimilmente a un altare bipartito di avanzata età classica. Ma l'elemento più importante è rappresentato dalla grande massa di terrecotte architettoniche arcaiche e di antefisse sileniche tardo-arcaiche. Queste, tra i tipi più antichi documentati a N. e appartenenti a diversi rivestimenti, lasciano supporre l'esistenza in quest'area di numerosi sacelli e forse anche di un tempio. Si tratta di frammenti di sime frontonali e laterali nonché di cassette databili per la gran parte attorno agli inizî del VI sec. a.C., che adottano motivi decorativi propri delle produzioni siceliote, ma nel contempo mostrano legami evidenti con la Magna Grecia e con Locri, soprattutto con i rivestimenti fittili arcaici dal tempio di Marasà. Poco o nulla si sa della divinità o delle divinità venerate in questo santuario, benché proprio qui sia stato scoperto il cippo arcaico con dedica, inscritta con caratteri dell'alfabeto dell'isola di N., alla dea Enyò, antica divinità del pantheon miceneo.
Lo studio dei materiali della fine dell'VIII e del VII sec. a.C., malgrado la notevole quantità di ceramica corinzia tardo-geometrica relativa soprattutto a coppe tipo Thapsos, evidenzia sempre di più la componente euboico-cicladica sia nelle importazioni vere e proprie che nelle produzioni locali. Oltre alle forme delle oinochòai a labbro trilobato e a labbro tagliato (tipo cut-away neck) e degli skỳphoi e delle kotỳlai, largamente attestati a N. in questo periodo sono i crateri, i dìnoi e le lekànai. Riferibile ancora al VII sec. a.C. è la produzione di idrie con decoro lineare, contraddistinto da banda ondulata sulla spalla.
Per quanto riguarda la produzione coroplastica del VI sec. a.C., accanto alle antefisse sileniche e alle protomi femminili si segnala un nucleo di arnie figurate e tra queste soprattutto quelle con sfingi affrontate di Heidelberg-Naxos (Pelagatti, 1993).
Bibl.: N. Valenza Mele, Hera ed Apollo a Cuma e la mantica sibillina, in RIA, s. III, XIV-XV, 1991-1992, pp. 13-17; M. C. Lentini, Naxos VI. Un secondo contributo sulla ceramica di Naxos: idrie e anfore, in BdA, LXXII, 1992, pp. 11-34; F· Cordano, P. Pelagatti, in BTCGI, XII, 1993, pp. 265-312, s.v. Nasso (con bibl. aggiornata al 1990); C. Ciurcina, Rapporti tra le terrecotte architettoniche della Sicilia Orientale e quelle dell'Italia centrale, in Deliciae Fictilès. Proceedings of the First International Conference on Central Italie Architectural Terracottas at the Swedish Institute in Rome, 1990 (Acta Instituti Romani Regni Sueciae, L), Stoccolma 1993, pp. 34-37; P. Pelagatti, Un'arula tra Heidelberg e Naxos, in AA.VV., Un'arula tra Heidelberg e Naxos. Atti del Seminario di Studi, Giardini Naxos 1990, Firenze 1993, pp. 19-32; M. C. Lentini, Arule figurate di Naxos, ibid., pp. 33-46, 96-114.