NAVARRO, Paolo Pietro, beato
NAVARRO, Paolo Pietro, beato. – Nacque a Laino, il 25 dicembre 1560 da Fabrizio e da Vilella Verbicaro, appartenenti al piccolo notabilato della città, compresa nella provincia napoletana di Calabria Citra.
In un contesto politico segnato nel secondo Cinquecento dallo stretto rapporto della comunità lainese con la corona spagnola prese forma la scelta dei Navarro di inviare il figlio a seguire gli studi superiori a Napoli presso i gesuiti: nel 1579, secondo Bartoli (1660, p. 161), che lo collega alla prepositura provinciale di Claudio Acquaviva, o nel 1582 (cfr. il riferimento indiretto in Roma, Archivum Romanum Societatis Jesu [ARSI], Jap. Sin. 25, c. 11v; Alegambe, 1657, p. 346).
Diversi giovani calabresi si formarono nel collegio napoletano negli ultimi due decenni del Cinquecento, età in cui la Ratio studiorum gesuitica si avviava a definitiva sistematizzazione: teologi e praeceptores, come il reggino Pietro Antonio Spinelli (di cui Navarro tradusse poi in giapponese il trattato teologico Maria Deipara Thronus Dei), il catanzarese Decio Stivieri, i cosentini Francesco Amico e Francesco Sambiasi, missionario e continuatore della scuola di matematica e astronomia avviata a Pechino in età ricciana.
Il desiderio delle Indie infiammava i giovani novizi della Compagnia, sulla scia delle vite edificanti dell’atrese Rodolfo Acquaviva, martire in Indostan nel 1583, dei primi successi orientali del chietino Alessandro Valignano e soprattutto di Francesco Saverio, la cui morte (1552) aveva suscitato vasta eco in tutta l’Europa cattolica, prodotto nuove vocazioni missionarie e fatto registrare anche a Napoli racconti di prodigi e miracoli. In un clima di edificazione, nel crescente impegno apostolico della Compagnia verso l’estremo Oriente sostenuto dalla Spagna e nell’eco dell’ambasceria giapponese a Filippo II e a Gregorio XIII (1582-85), Navarro si trovò a condividere le scelte di altri confratelli coetanei e compagni di studi destinati come lui alla missione e al martirio in Giappone: Carlo Spinola e Camillo Costanzo, Marcello Mastrilli e Antonio Capece.
«Post Philosophiae, cursus Theologiae per annum et per alterum conscientiae casus» (ARSI, Jap. Sin. 25, Catalogo…, 1588, c. 11v) e con il fisico «robustus» (ibid.), necessario all’apostolato ad gentes, partì per il Giappone. Nel 1584 (anno di avvio di diretti commerci spagnoli con quel paese e del breve Ex pastoralis officio di Gregorio XIII, che assegnò l’esclusiva evangelizzazione giapponese ai gesuiti), via Lisbona, giunse il 2 ottobre a Goa e tre mesi dopo a Macao, dove si fermò per circa un anno in attesa dei venti favorevoli; «initiatus sacerdotio» (Alegambe, 1657, p. 346), approfondì la sua formazione alla Escola da Madre de Deus, divenuta poi collegio gesuitico de São Paulo (1594).
Nell’agosto 1586 sbarcò nell’isola di Firando (Hirado), accolto con «giubilo, gara di cortesie» e affetto (Bartoli, 1660, p. 161) dalla cosiddetta ‘terza cristianità’, la comunità di cristiani lì convertita nel 1549-51 da Francesco Saverio e a partire dal 1555 da Balthazar Gago e Gaspar Vilela. Grazie alla grammatica e al dizionario giapponesi (disponibili dal 1582) e al Cerimoniale di Alessandro Valignano (1581), si dedicò serratamente per cinque mesi allo studio della cultura e della lingua, prima di essere destinato al regno di Iyo (Tyo) nell’isola di Shikoku. Da allora in poi, e per tutta la vita, applicò con massimo zelo il metodo gesuitico dell’adattamento ai costumi locali, dell’esempio come metodo apostolico, con l’austerità, i digiuni, le penitenze, la pratica della carità. All’inizio del 1586 iniziò anche la predicazione pubblica come professus coadiutor (per aver emesso il quarto voto circa missiones di obbedienza al papa, ma non la professione solenne) e confessor in Japonica lingua (ARSI, Jap. Sin. 25, Cat. ..., 1588, c. 12). Bartoli e la storiografia successiva riferiscono di ‘sceltissime conversioni’ prodotte dal suo apostolato ma, nella crisi delle missioni di età saveriana, i nuovi battezzati erano «molto pochi in Firando; i padri non fanno altro se non insegnare e conservare i già convertiti» (Carrion, 1584, p. 22).
Nei decenni precedenti, l’evangelizzazione aveva ottenuto grandi risultati tra i ceti dominanti dei porti aperti al commercio portoghese e anche tra i contadini, e registrato decine di migliaia di conversioni (150.000 nel 1582 per il visitatore della Compagnia Valignano), avviando il mito del «secolo cristiano» (Malena, 1995; Bernard-Maître et al., 2011). Ma il Giappone era ormai uscito dall’anarchia, riunificato con la guerra (1568-71) e rifeudalizzato, per opera di Oda-Nobunaga (Nobunanga) e di Hideyoshi (Taicosama, capo supremo dal 1582). L’apertura al commercio portoghese (e poi spagnolo) e alle tecniche europee (armi, stampa), i contatti diplomatici con la corte spagnola e romana, la tolleranza delle missioni, tutti elementi che avevano caratterizzato gli anni Cinquanta-Ottanta, divennero rischiosi per la ritrovata unità interna del paese entrato dal 1571 in commerci diretti con Manila e con i porti vietnamiti e cambogiani, e minato dalle ambizioni politiche dei daimyô, arrichitisi nei mercati e in alcuni casi cristianizzati (Cabezas, 1994; Caroli - Gatti, 2009, p. 94).
Ulteriori tensioni legate all’incuranza dei poteri locali da parte dei primi francescani spagnoli (1595) e del capitano della nave spagnola S. Felipe naufragata sulla costa convinsero Hideyoshi a ordinare ai governatori di Osaka e Miyako di arrestare tutti i religiosi presenti nei distretti (8 novembre 1596); l’inosservanza dell’editto provocò la crocifissione dei 26 ‘protomartiri’ di Nagasaki, il 25 febbraio 1597.
Il 25 luglio 1587, dopo anni di collaborazione e aiuto ai gesuiti, Hideyoshi emanò il primo editto generale di proscrizione e obbligò tutti i missionari a riunirsi entro 20 giorni nell’isola di Kyūshū in attesa dell’espulsione, con l’accusa di aver commerciato seta indiana, di aver trasformato templi buddisti in residenze e seminari, e favorito l’uso del calendario occidentale (Nakayama, 1969, pp. 79 s.). L’applicazione dell’editto fu però morbida e i missionari disponibili a indossare il kimono continuarono ad assistere i cristiani e a convertire, mentre Valignano, rientrato in Giappone nel 1590 in qualità di ‘ambasciatore del viceré dell’India’, ottenne nel 1596 l’insediamento del vescovo Pedro Martínez a Nagasaki. Anche Navarro fu trasferito in quella città e nei mesi successivi fu destinato alla missione tra le genti di Oruma e Arima per la sua buona conoscenza del giapponese scritto e parlato (appunto di Valignano del 1593 in ARSI, Jap. Sin. 15, c. 34, 1593 E cat., e altre testimonianze in Moran, 1993, p. 184).
Alla fine del 1598, chiusa l’infelice invasione della Corea e morto Hideyoshi, il Giappone entrò di nuovo in piena guerra civile per la successione: Navarro ne scriveva a Roma, auspicando la neutralità dei missionari – «maior numerus Patrum erat contra consilium se ingerendi in bella Principum» – contro chi di loro, come il padre Coelho, «se rebus belli immiscuit» (ARSI, Jap. Sin. 11 I, cc. 57v, 22v).
Tornato a Nagasaki, il 10 giugno 1601 emise la professione solenne nella chiesa gesuitica (ARSI, Jap. Sin. 37, cc. 9-10v) e fu destinato a compiti pastorali nella chiesa di Yamaguchi, da dove fuinviato annualmente in missione tra contadini e minatori del Nagato (Chōshū), Suvo (Suo) e Bungo (Buzen), «per istrade assai disastrose e con gran pericolo di sua vita» (Crasset, 1737, p. 70), spesso ammalato per i disagi, le volontarie privazioni e penitenze, impegnando le notti a scrivere in giapponese libri utili, con racconti di santi e di atti di virtù. Alla fine del 1604 «laborat in Bungo» (lettera del 23 novembre 1604, in ARSI, Jap. Sin. 36, c. 44), aiutato da «due e tre Sacerdoti e Fratelli buoni operai e Catechisti»; poi risulta rettore del collegio di Arima (lettera del confratello Camillo Costanzo cit. in Crasset, 1737, p. 56; Pagés, 1814, p. 434), «Superior Bugnesis» (ARSI, Jap. Sin. 15 II, cc. 266r-v) e «rector regionis Takaku» (Schütte, 1975, p. 840).
Nonostante alcune persecuzioni locali anticristiane (nel 1604, 1608, 1612), lo scontro per il potere nel clan Tokugawa consentì di fatto alla cristianità di consolidarsi nel periodo 1601-12, con ulteriori fondazioni, incremento dei missionari e del clero indigeno. Nel 1609, un nuovo incidente diplomatico scatenato da un equipaggio portoghese portò alla chiusura dei commerci a tutte le marinerie europee. La guerra per lo shôgunato non era conclusa benché Ieyasu (Daifusama) controllasse gran parte del paese. Nel crescente potere dei buddisti, la presenza di troppi europei in competizione tra loro fu da più parti ritenuta eversiva e la predicazione del cattolicesimo considerata incompatibile con le tradizioni giapponesi.
Il 27 gennaio 1614 Ieyasu emanò l’editto di persecuzione, redatto da un monaco zen dalla cultura sincretica in 15 articoli da affiggere in tutti i templi. La mancata abiura per i giapponesi convertiti – detti Kirishitan – e il disattendere l’obbligo dell’esilio per i missionari prevedeva la pena di morte. Chiese distrutte, liste di proscrizione, condanne ai lavori forzati e alla decapitazione (Higashibaba, 2001, pp. 126-159) anticiparono un secondo editto anticristiano, emanato da Hidetada (Xongunsama) successore di Ieyasu nel settembre 1616, e le centinaia di martirii tra il 1618 e il 1622.
Al primo editto, Navarro entrò in clandestinità, aiutato dai cristiani locali, adottando il nome Quiyan (Aricò, 1997, p. 61) e nascondendosi in una grotta sotterranea; poi fuggì travestito, spostandosi di notte secondo un tracciato che la documentazione non consente di avallare pienamente, tra Cazuma, Obama, Fatchirawo, Arima. Nel catalogo della Compagnia del settembre 1620 (edito in Pagés, I, p. 434 n. e integralmente in Monumenta Historica Japoniæ..., 1975, pp. 845-861) risulta consultore del provinciale e rettore ad Arima da tre anni e mezzo. Qui fu arrestato, rilasciato e di nuovo arrestato il 27 dicembre 1621 nel rispetto del secondo editto del 1616, condotto a Shimabara e confinato in casa del cristiano Andrés Magoemon, animato da grande rispetto e carità.
In attesa della sentenza, «apud Christianum quasi liber, potest celebrare, exspectat destinationem martyrii» (ARSI, Jap. Sin. 36, 73, c. 137 v), gli fu consentito di tenere conversazioni con cristiani locali, di essere ricevuto nella residenza dell’autorità locale, il principe Matsukuru Bungodono, di completare la traduzione in giapponese del citato trattato Maria Deipara Thronus Dei e un’«apologia che avevo composta in difesa della nostra fede, sul principio della persecuzione» (Crasset, 1737, p. 77), e, fino al giorno dell’esecuzione, di scrivere ai confratelli. Le ultime lettere, a padre Matthaeus de Couros – autore della prima biografia di Navarro (Vida e gloriosa morte por Christo do P.e Pero Paulo Navarro..., in ARSI, Jap. Sin. 60, cc. 262-287v)– e al provinciale Giovan Battista de Baeza, in cui si congedò, scrivendo «che da un’ora all’altra attende la morte, e l’esser bruciato per Gesucristo» (Crasset, 1737, p. 84), arrivarono in Europa, conservate come reliquie nelle case dei gesuiti, eternizzate nella Storia di Jean Crasset.
Il 28 ottobre 1622 fu comunicata la sentenza che condannava Navarro «ad esser bruciato vivo per aver dimorato nel Giappone, avendo l’ordine d’uscirne» (ibid.), con i suoi compagni di missione giapponesi, i chierici gesuiti Dionysius Fukushima e Petrus Onizuki e la guida Clememte Kyuemon. La condanna fu eseguita a Shimabara, sulla punta della penisola protesa a sud-ovest, il 1° novembre, giorno ventoso di Ognissanti.
Il 7 luglio 1867 Navarro fu proclamato beato da Pio IX, con i suoi compagni e altri 201 martiri del Giappone.
Fonti e Bibl.: Lettere di Navarro in Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu (ARSI), Jap. Sin. 11.I, cc. 57r-58v (1589); Jap. Sin. 36, cc. 44r-45v, 51r-52v, 65r-66v, 67r-68v, 73r-74v, 75r-76v, 77r-v, 79r-80v, 81r-82v (9 lettere tra 1604 e 1622); Jap. Sin. 37, cc. 9r-10v (professione di fede autografa, 1601). Lettere su Navarro e altri documenti su di lui ibid., Jap. Sin. 15 I, cc. 107r-v (1615-1619); Jap. Sin. 15 II, cc. 266r-v; Jap. Sin. 18 I, cc. 10r-11r, 97r-108v; Jap. Sin. 25, cc. 11v (1588); 92 (1614), 107Av, 109; Jap. Sin. 34, cc. 98r-100v; Jap. Sin. 36, cc. 268r-v, 275; Jap. Sin. 37, c. 209r; Jap. Sin. 60, cc. 262-287; Opera Nostrorum, 6. Lettere di Navarro sono riprodotte in: Recueil de pièces authentiques sur les martyrs... traduites et publiées par le R. P. Dom H. Leclerc. Les martyrs, IX, Le XVIIe Siècle, Paris-Poitiers 1909, pp. 84-94; P. Tacchi Venturi, Tre lettere inedite di quattro beati martiri del Giappone, in Archivum historicum Societatis Iesu, IX (1940), pp. 47-49. Studi su formazione, ambiente missionario calabrese-napoletano, compagni di studio e di apostolato: N. Toppi, Biblioteca napoletana et apparato a gli Huomini Illustri in Lettere di Napoli e del Regno, Napoli 1678, p. 251; Angeli Zavarroni Bibliotheca calabra, sive illustrium vivorum Calabriae ... Napoli 1753, p. 123; S. Santagata, Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al regno di Napoli... Parte terza, Napoli 1757, pp. 3, 495, 519; L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, II, Cosenza 1870, pp. 385 s.; G. Napoli, Vita del beato Camillo Costanzo e la persecuzione nel Giappone, Napoli 1953, pp. 7, 24, 30, 31; G. Fiore da Cropani, Della Calabria illustrata, a cura di U. Nisticò, III, Soveria Mannelli 2001, p. 481-484. Studi sull’apostolato e la morte: F. Carrion, Lettera annuale.... al P. Generale dal Giappone l’anno 1579..., in Alcune lettere delle cose del Giappone... Dell’anno 1579 insino al 1581, Roma 1584, pp. 22, 604, 606; A. 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