Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Negli anni tra il 1790 e il 1830, in Germania, è diffusa l’esigenza di una visione unitaria dei processi di natura. Tale esigenza, già di Kant, è condivisa non solo da Goethe, Schelling e da Hegel, ma anche dalla maggioranza degli scienziati. Prende forma una “filosofia della natura” – una Naturphilosophie – per la quale è centrale l’attenzione per i fenomeni chimici ed elettrici e per il vivente. Nella filosofia della natura è presente una forte tendenza alla speculazione. L’esigenza di unità esplicativa dei processi di natura in essa avanzata si rivela però feconda anche di importanti acquisizioni e di vere e proprie scoperte.
Nei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft (Principi metafisici della scienza della natura) del 1786 Immanuel Kant rileva che la materia “non riempie lo spazio in virtù della sua assoluta impenetrabilità, ma per mezzo di una forza repulsiva che ha il suo grado”. Egli opta per il punto di vista dinamistico, ma continua ad assumere la fisica matematica newtoniana come modello della scienza della natura. Tuttavia, l’impossibilità di applicare la matematica allo studio della natura organica impedisce – come afferma la Kritik der Urteilskraft del 1790 (Critica della facoltà di giudizio) – l’accertamento di leggi del vivente analoghe a quelle della fisica. Nondimeno, anche la vita degli organismi è conforme a leggi. È come se alla vita dell’organismo presiedesse il disegno finalistico di una intelligenza superiore. Tale fine appare interno alla organizzazione del vivente. L’essere organizzato non è “una semplice macchina, che non ha altro che la forza motrice”. È retto invece da una “forza formatrice”, da un nisus formativus, come già affermato da Johann Friedrich Blumenbach, il naturalista e antropologo di Gottinga sostenitore della epigenesi contro la preformazione. La concezione kantiana dello studio del vivente è condivisa da un allievo di Blumenbach e maestro a sua volta di generazioni di scienziati tedeschi: Carl Friedrich Kielmeyer (1765-1844). Nel vivente, è necessario “ammettere che nella maggioranza dei casi il concatenarsi delle cause e degli effetti cui assistiamo ci appare come quello che, nel nostro operare, è il nesso tra mezzi e scopi”. Kielmeyer – al pari di Kant – non si schiera tuttavia per il finalismo. L’organismo è una “enorme macchina”, e le sue leggi devono essere accertate dalla “fisica del mondo animale”. Il calcolo dell’“integrale della vita” ci rivela il “piano” di costruzione degli organismi. Lo studio dei processi della generazione si unisce all’accertamento delle condizioni fisico-chimiche elementari della vita. Le “forme” dell’organismo sono il risultato dell’utilizzazione delle “materie” dell’ambiente secondo fasi scandite da modalità non riducibili alla causalità meccanica.
Johann Wilhelm Ritter
Dimostrazione che il galvanismo è presente anche nella natura inorganica
Condizione fondamentale perché si verifichi l’azione galvanica è che vengano ad entrare in contatto almeno due conduttori galvanici eterogenei (ma di un medesimo stato di aggregazione) ed un conduttore di uno stato diverso da quello degli altri due: dunque o due conduttori solidi e uno liquido, oppure uno solido e due liquidi. I conduttori solidi di galvanismo sono tutti quanti di natura ossidabile (con l’unica eccezione - e chissà per quale motivo - dell’ossido cristallizzato di magnesio). Più precisamente, anzi, si può dire che sono tutti quanti di natura metallica. E lo sono fino a comprendere lo stesso carbone, che rivendica anch’esso tale natura perché nel suo rapporto con il galvanismo - così come sotto altri punti di vista - si comporta proprio come i metalli o come gli elementi con una componente metallica. Sull’argomento si tratta perciò di indagare con particolare accuratezza, dato che la natura ha una predilizione generale per la continuità, e la ha in tal misura che in essa - nella catena che va dall’uomo sino al polipo o alla pianta, oppure discende dal platino sino all’ossigeno, oppure dall’azoto alla selce - non può essere saltato neanche un anello, e quindi è impossibile pensare che essa possa davvero distinguere un regno dei metalli come anche un regno delle terre e delle pietre.
J.W. Ritter, Beweis, daß der Galvanismus auch in der anorgischen Natur zugegen sey [Dimostrazione che il galvanismo è presente anche nella natura inorganica], trad. it di S. Poggi, in I romantici tedeschi, a cura di G. Bevilacqua, Milano, Rizzoli, 1995
Johann Wilhelm Ritter
Frammenti dal lascito di un giovane fisico
Ogni forza si rifrange nella natura, poiché ogni forza si unifica. Dovunque si danno forze rifrangenti e forze rifratte. La rifrazione si verifica esattamente negli stessi termini della unificazione: ambedue hanno un unico, medesimo momento di forza. Se invece le due forze che si rifrangono si incontrano in linea retta, la rifrazione si manifesterà solo come accelerazione, e appunto lungo la medesima linea: come appunto accade quando la luce cade a perpendicolo su una superfice su cui viene a spezzarsi. È infatti solo nel caso di una incidenza lungo una linea obliqua che il fenomeno si manifesta come un mutamento di direzione. Anche in questo caso le due forze contrapposte vengono ad essere accelerate, solo con una diminuzione nel loro momento, diminuzione che sarà tanto maggiore quanto più sarà accentuata l’inclinazione delle linee secondo cui avviene il loro incontro. [...] Ogni singolo individuo di natura è un mezzo di rifrazione dei raggi dell’universo. Nell’uomo si rifrangono raggi divini. Questi raggi si scompongono, e i loro colori danno luogo al giuoco armonico dei pensieri dell’uomo: si potrebbe così parlare di pensieri che sorgono da un incontro in linea retta e di pensieri che, invece, nascono da un incontro in linea obliqua. Il cuore sarebbe in tal modo il raggio di Dio che cade verticalmente sull’uomo, mentre l’incidenza di tutti gli altri avviene secondo una linea obliqua. O anche: l’uomo vero e proprio è il cuore, è ciò che ne sta all’interno, dove viene a rifrangersi tutto quanto proviene dall’esterno. La vita è quindi quel giuoco di colori che viene ad essere prodotto da quanto accade nel mezzo di rifrazione. L’uomo non deve prendere in considerazione singolarmente nessun colore: è solo la riunione di tutti i colori che dà luogo, in lui, all’immagine di Dio nella sua perfezione, a quell’immagine che si manifesta nell’amore, che altro non è che la gioia che esso ha in sé stesso e per sé stesso.
J.W. Ritter, Fragmente aus dem Nachlaße eines jungen Physikers [Frammenti dal lascito di un giovane fisico], trad. it. di S. Poggi, in I romantici tedeschi, a cura di G. Bevilacqua, Milano, Rizzoli, 1996
Johann Wilhelm Goethe – il grande poeta tedesco, che per tutta la vita coltiva studi scientifici – è deciso avversario della fisica newtoniana e, con questa, del meccanicismo. Le ragioni della sua posizione sono però diverse da quelle per cui Kant si orienta per il dinamismo: nascono da un radicale dissenso sul piano della interpretazione dei fenomeni ottici. Goethe respinge la tesi della natura composta della luce: a suo avviso, la gamma cromatica è riconducibile al conflitto tra i due poli della luce e dell’oscurità. La natura, nella sua “polarità originaria”, pulsa in un’eterna “sistole e diastole”. Non diverso è il fondamento delle “affinità elettive” che, come poli di reciproca attrazione, si manifestano tra gli elementi e sono rette da leggi che sembrano valere anche per gli uomini, così come è narrato nel romanzo omonimo Die Wahlverwandschaften (Le affinità elettive) che Goethe pubblica nel 1809.
La tesi della fondamentale “polarità” di ogni processo di natura è centrale nello studio dei fenomeni magnetici ed elettrici, del cosiddetto “galvanismo” ovvero della “elettricità animale”. Oggetto di studio da parte, oltre che di Kielmeyer, di Alexander von Humboldt e di Johann Christian Reil (1759-1813), tali questioni sono affrontate in particolare da Johann Wilhelm Ritter, scopritore dell’elettrolisi e dell’ultravioletto. Oggetto di molte ricerche di Ritter è la cosiddetta “catena galvanica”, ovverosia l’arco bimetallico i cui estremi sono posti a contatto l’uno del muscolo della zampa della rana, l’altro del nervo del muscolo medesimo. La contrazione del muscolo si produce solo alla chiusura o all’apertura della catena, quando si interrompe un’azione altrimenti continua. Secondo Ritter, ogni corpo è costituito di catene galvaniche che dimostrano la labilità del confine tra animato e inanimato. Il “processo galvanico ci fornisce come il primo simbolo di ogni organizzazione come autoriproduzione”: la vita è “il momento culminante dell’esprimersi del galvanismo nel corpo animale”, “processo chimico alla seconda potenza” retto dal principio della polarità. Lo stesso principio vige anche sul piano dei fenomeni luminosi. L’ottica è una “una chimica trascendentale”: all’estremo opposto di quella dell’infrarosso si trova la banda dell’ultravioletto.
È con Friedrich Wilhelm Joseph Schelling che prende forma un vero e proprio programma di filosofia della natura. Una compiuta teoria della natura si deve fondare sugli “elementi del nostro sapere empirico”: la materia e le forze. È impossibile “pensare la materia senza forza”. In sintonia con i Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft kantiani, Schelling afferma che la materia riempie lo spazio con le forze originarie dell’attrazione e della repulsione. Tale riempimento si avvia – Schelling converge in ciò con Franz Xaver von Baader (1765-1841) – con l’“assolutamente fluido”, dove “si dà il più completo equilibrio delle azioni”. Nella natura tutto è divenire: la “fluidità assoluta” si manifesta come “materia del calore” che “fluidifica tutto quanto si dà in natura”. Carattere costitutivo di ogni qualità è l’“assoluta relatività”, quale risalta nel “rapporto elettrico dei corpi”. Anzi: l’assoluta relatività si presenta all’interno d’un “medesimo corpo”, ora positivo, ora negativo. “Non vi è corpo che sia assolutamente non-elettrico”: con intensità diverse, in ogni corpo si manifesta il dualismo che compenetra l’intera natura, sede di una “contrapposizione originaria”. Il primo autentico manifestarsi di tale dualismo universale è la “forza magnetica”, la cui polarità magnetica è espressione emblematica del “carattere dell’intera natura”: “identità nella duplicità e la duplicità nell’identità”” Se l’“omogeneo entra in contatto con il suo eterogeneo”, si altera lo “stato di indifferenza” dello stato fluido, sensibile a ogni perturbazione. Insieme a quelli magnetici, i fenomeni elettrici e chimici rappresentano altrettanti momenti dell’infinita produttività della natura, sempre conforme al modello della polarità. Nel magnetismo, la polarità è lineare; nell’elettricità, la polarità agisce tra superfici; nell’“affinità chimica” abbiamo invece una polarità volumetrica, distribuita nelle tre direzioni spaziali. Il “processo dinamico” di “costruzione della materia” è un processo di “potenziamento” analogo all’“innalzamento a potenza” in matematica, dove il numero è moltiplicato per se stesso. Il primo grado di tale potenziamento è il generarsi della materia dall’azione reciproca dell’attrazione e della repulsione: si ha così il “riempimento dello spazio” col manifestarsi della forza di gravità. Abbiamo poi il rinnovarsi e ripetersi della polarizzazione propria dei “processi del primo ordine”: con i fenomeni del magnetismo, dell’elettricità e del “processo chimico” si ha l’innalzamento della forza di gravità alla “seconda potenza”, in cui si manifesta la luce, che “descrive tutte le dimensioni dello spazio, senza che però si possa dire che le riempia effettivamente”. Con un nuovo e più complesso ripetersi dei processi non solo della “prima potenza”, ma anche della seconda si ha quindi l’innalzamento alla natura organica: al magnetismo, alla elettricità e al “chimismo” corrispondono la forza riproduttiva, l’irritabilità e la sensibilità: il “processo della vita” è “la potenza superiore del processo chimico”. L’assunzione di un “punto di vista speculativo” garantisce così la comprensione dei processi di natura in base a quella che viene indicata come la “deduzione generale del processo dinamico” garante della “costruzione della materia”.
La tesi della fondamentale polarità dei processi di natura viene su queste basi applicata alla osservazione della vita dell’organismo. Quanto è prodotto nei singoli organi e nei singoli “sistemi” è retto – così Johann Joseph von Görres – da rapporti d’interdipendenza che si palesano in termini di antagonismo e nello stesso tempo fondano e garantiscono il “sistema organico”. Ogni organismo è un “universo dotato di un’anima”, come voleva l’antica teoria del macrocosmo-microcosmo. Le stesse leggi valgono per il sistema solare e per il “centro del microcosmo organico”, là dove presiedono allo sviluppo dell’embrione. La necessità d’una filosofia della natura che unisca la geologia alla cosmologia, la chimica alla meccanica celeste è affermata inoltre da un deciso sostenitore delle tesi di Schelling, il norvegese Henrik Steffens (1773-1845). Vicino anche a Ritter e a Goethe, egli dichiara che la scienza ha il compito di salvaguardare la sacra unità delle cose con se stesse. Steffens concentra la sua attenzione sulla chimica e sulla geologia, convinto della possibilità di potere ricondurre ogni composto chimico ai quattro elementi dell’ossigeno, dell’idrogeno, del carbonio e dell’azoto, le cui infinite possibilità di combinazione sono assicurate dalla “forza formatrice della natura” che opera nella “animalizzazione” e nella “vegetalizzazione” alla base della storia della terra. Il globo terracqueo ha avuto origine da un “fluido caotico”, cui il magnetismo ha assicurato una specifica “coerenza”.
La filosofia della natura d’impianto schellinghiano è alle origini di un’altra decisiva scoperta, dopo quelle della elettrolisi e dell’ultravioletto da parte di J.W. Ritter. La scoperta è quella dell’elettromagnetismo, dovuta in misura essenziale al fisico danese Hans Christian Ørsted (1777-1851). Ørsted riserva particolare attenzione allo stretto rapporto tra processo chimico e “conflitto elettrico”. Il “conflitto elettrico” si palesa nel calore e nella luce come forze che esplicano una “azione radiante”, tale da avere effetto anche a distanza. Lo dimostra la rotazione compiuta da un ago magnetico tenuto sospeso sopra un conduttore elettrico riscaldato dalla corrente non appena il flusso di quest’ultima muta direzione per l’inversione dei poli. La scoperta di Ørsted rafforza la tesi non solo della fondamentale unità dei processi di natura, ma anche della concreta possibilità che lo “studio della natura” risolva “le qualità in quantità”: dei fenomeni magnetici, elettrici e anche chimici appare ora possibile la misurazione e quindi la matematizzazione.
Lorenz Oken
Contributi alla zoologia comparata. Anatomia e fisiologia
Ogni classe animale e ogni specie animale si caratterizza per il fatto di possedere in modo esclusivo degli organi che le sono propri. Gli animali altro non sono infatti che le funzioni della natura che hanno raggiunto un grado più elevato di vitalità: come dunque ciascuna di queste funzioni possiede la sua essenza specifica, in virtù della quale si distingue da tutte le altre, e dalla quale riceve una specifica forma ed uno specifico modo di operare. [...] Se accadesse [...] che in tutto il regno animale tutti gli organi di ciascun animale venissero ad essere nutriti con la medesima intensità, sarebbe allora assolutamente impossibile pensare ad una qualche diversità tra gli animali. Tutti gli animali dovrebbero avere addirittura la medesima forma, ed anzi - dato che in tal modo il loro sarebbe uno sviluppo complessivo equilibrato - tale forma sarebbe quella dell’uomo: ci sarebbero solo animali più grandi e animali più piccoli. Ciò è tuttavia in contraddizione con quel che accade nell’intero regno animale, nel quale anche l’occhio meno esperto ravvisa da ogni parte una assenza di equilibrio nei vari processi di crescita. Non accade forse che il muso si allunga a spese del cranio, che le corna che si trovano sulla fronte crescono a spese dei denti, che il fegato dei pesci aumenta a spese del cuore arterioso, che negli uccelli l’udito si sviluppa a spese dell’odorato e così via?
L. Oken, Beiträge zur vergleichenden Zoologie, Anatomie und Physiologie [Contributi alla zoologia comparata. Anatomia e fisiologia], trad. it. di S. Poggi, in I romantici tedeschi, a cura di G. Bevilacqua, Milano, Rizzoli, 1996
Lorenz Oken
Trattato di filosofia della natura
212. Gli animali sono solo fasi della vita fetale dell’uomo.
213. Le malformazioni sono solo fasi della vita fetale rimaste bloccate, modi in cui il singolo corpo animale è venuto a formarsi.
214. Gli animali che hanno la loro autonomia sono in realtà solo parti di quel grande animale che è il regno animale.
215. Il regno animale è solo un animale, cioé la esibizione della animalità assieme a tutti i suoi organi, ognuno dei quali costituisce, per sé stesso, una totalità.
216. Il regno animale è solo l’animale più elevato - l’uomo- fatto a pezzi.
217. Gli animali si perfezionano via via, nel mentre giustappongono organo ad organo, completamente nello stesso modo in cui è il singolo corpo animale che viene a perfezionarsi. Il regno animale viene a svilupparsi tramite la moltiplicazione degli organi.
218. Ogni animale sta perciò sopra un altro animale. Non si danno mai due animali che stiano allo stesso livello.
Gli animali si distinguono gli uni dagli altri in base alla loro collocazione nella scala del vivente, in base al numero dei loro diversi organi, non in base al modo in cui è ripartito un organo.
219. Non è assolutamente consentito ordinare il sistema degli animali in modo arbitrario, riferendosi a questo o a quell’organo, così come ci si vengono immediatamente a presentare; bisogna invece attenersi ai rigorosi precetti che governano la genesi del corpo animale.
220. Si dà una sola società umana, una sola stirpe, una sola specie: e proprio perché l’uomo costituisce l’intero regno animale.
221. È nell’uomo che per la prima volta la testa viene a drizzarsi completamente, dimodoché per la prima volta viene ad emergere una contrapposizione tra testa e tronco.
L. Oken, Lehrbuch der Naturphilosophie [Trattato di filosofia della natura], trad. it. di S. Poggi, in I romantici tedeschi, a cura di G. Bevilacqua, Milano, Rizzoli, 1996
La filosofia della natura ispiratrice di larga parte della ricerca scientifica della Germania dei primissimi anni del XIX secolo produce effetti assai significativi sul piano dell’indagine intorno al vivente. Si avvia in questo modo la costruzione di una vera e propria scienza del vivente, di una biologia a opera di studiosi profondamente sensibili alle esigenze di una filosofia della natura come Karl Friedrich Burdach e Gottfried Reinhold Treviranus. Quest’ultimo, nel 1802, pubblica il primo dei sei volumi (l’ultimo uscirà nel 1822) di un’opera dal titolo eloquente: Biologie oder Philosophie der lebenden Natur (Biologia o filosofia della natura vivente). Cauto nei confronti di ogni forma di vitalismo, Treviranus condivide la tesi kantiana dell’esistenza di un’unica forza fondamentale di repulsione in un universo infinito in perenne movimento. È chiaro che “ogni singolo organismo è in un rapporto di dipendenza nei confronti dell’universo”; ma nello stesso tempo è innegabile la resistenza alla casualità e alla mutevolezza delle “influenze esterne” da cui esso è caratterizzato e che si manifesta nell’“uniformità”. È il principio della vita che assicura tale “uniformità” non appena si diano le condizioni del suo costituirsi, anche se a uno stadio embrionale: la vita minima. Treviranus contempla l’ipotesi dello sviluppo delle forme di vita più complesse dalle forme più semplici e addirittura dalla stessa materia “inanimata”. Rilevanza tutta particolare è così quella degli interrogativi intorno alla generazione, con una rinnovata attenzione per l’antica distinzione tra generatio univoca e generatio aequivoca.
Più sensibile alle esigenze speculative della filosofia della natura e pronto a sollevare interrogativi di ordine cosmologico e antropologico è invece Lorenz Oken (1779-1851), convinto della assenza di soluzioni di continuità tra l’“inanimato” e il vivente. Oken ravvisa all’opera nei processi di natura una continua pulsione che si manifesta nel “sentire”. Ogni “classe animale” rappresenta un modo di “mostrarsi” di tale “sentire”, una “esibizione dei sensi”, che dai livelli più semplici giunge a quelli di maggiore complessità. La natura esplica una serie di funzioni: il “grado più elevato di vitalità” è proprio della “funzione animale”, che nell’uomo ha la più compiuta manifestazione perché è nell’uomo che è presente e operante la maggiore varietà di organi. L’uomo è l’unione di tutti i caratteri propri dell’animale, mentre gli animali sono “solo singoli sviluppi di alcuni di questi singoli caratteri”. È il “puro e semplice mutare dell’entità del nutrimento” a produrre le diversità tra le varie specie animali: diversità che anzi “non sono neanche diversità”, ma solo modalità diverse di esplicazione della medesima “funzione animale”. Anche nella loro apparente autonomia, gli animali sono “solo parti di quel grande animale che è il regno animale”, nel quale “il sistema degli animali” non si ordina “in modo arbitrario”, ma secondo “rigorosi precetti” che fanno sì che “non si danno mai due animali che stiano allo stesso livello”. Emerge così la completa relatività del confine tra mondo vegetale e mondo animale. È da una “mucosa originaria”, dalla “schiuma del mare” che hanno tratto origine gli organismi viventi, la cui forma iniziale è stata quella di una sorta di “vescicolette primitive”. Il loro conglomerato dà luogo ad una “massa organica”, via via interessata da metamorfosi prive di soluzioni di continuità, come è dato di constatare nello sviluppo dell’embrione e del feto. Facendo proprie idee già di Kielmeyer, Oken si dichiara dell’avviso che, nel corso della sua vita nell’utero, il feto attraversa “tutti i livelli di metamorfosi del regno animale”, a riprova di “un completo parallelismo” tra il suo sviluppo e quello del regno animale.
Il carattere processuale dei fenomeni di natura incontra il deciso interesse di Georg Wilhelm Friedrich Hegel già nella Wissenschaft der Logik del 1813 (La scienza della logica). Il confronto sistematico di Hegel con il problema d’una filosofia della natura ha però luogo solo nelle tre successive redazioni della Enzyklopädie (1817, 1827 e 1830). L’attenzione per il vivente nella processualità in cui esso si sviluppa nel tempo si accompagna alla riflessione sulle modalità di applicazione della matematica alla misurazione – come definizione di “determinazioni finite di grandezze” – di ciò che si offre all’osservazione empirica. La matematica è scienza del “quanto” e quindi delle “grandezze”. Ma nello stesso tempo Hegel sottolinea la necessità di distinguere tra la matematica come operazione prettamente logica e quella che, invece, è la conformazione che essa assume sul piano applicativo, in primo luogo nella meccanica.
Le due redazioni della Enzyklopädie del 1827 e del 1830 vedono poi accrescersi lo spazio dedicato al problema dell’organico, del vivente. Hegel, peraltro, tiene a sottolineare la sua distanza da ogni recupero del tema del microcosmo-macrocosmo. L’interno dell’anima è inaccessibile dall’esterno. Va respinta l’animalizzazione dell’uomo, la sua riduzione al piano della pur fondamentale “individualità organica dell’organismo animale”, con la perdita di ogni reale individualità, possibile solo in base all’esercizio consapevole della ragione. La “necessità assoluta” dello spirito sovrasta la “necessità contingente” d’una natura di costituzionale impotenza. È solo nei termini dell’astrazione che la natura, ai vari livelli della osservazione e descrizione dei suoi processi, può essere osservata e valutata, sempre però ricevendo in tal modo determinazioni comunque estrinseche. La filosofia della natura trova nel sistema hegeliano la sua formulazione più articolata. In essa sono tuttavia presenti forti elementi speculativi che, nel giro di pochi anni, si tradurranno in formulazioni dogmatiche tali da rendere impossibile, come lo dimostrano le vicende della Scuola hegeliana fin quasi alla metà del XIX secolo, un reale confronto con lo sviluppo delle scienze.