CINQUINO (Cinquinus, Cinquina, Anquino), Natuccio (Benenatus, Natuccius)
Nacque a Pisa, intorno alla metà del sec. XIII, da Pericciolo.
Il cognome del C. fu letto erroneamente "Anquino" fino a F. Zambrini (Le opere volgari..., p. 682), con palese violenza al codice - il Laurenziano rediano 9, unico ad averne tràdito i sonetti - in "cui è scritto chiaramente... Cinquino" (T. Casini, IlCanzoniere..., p. 313), e trascuranza dei diplomi e documenti del tempo, dove è chiamato "Benenatus", o con il diminutivo di "Natuccius", "Cinquinus" o "Cinquina". La famiglia dei Cinquini o Cinquina proveniva da Arquata e pare si fosse insediata a Pisa, secondo quanto informa E. Cristiani (Nobiltà e popolo..., p. 452), verso la metà del, XIII secolo. Essi erano popolari ed esercitarono il mestiere di mercanti, di banchieri e di notai. Dei tre "Benenatus Cinquinus" che vissero nel XIII secolo e della cui dsistenza si ha testimonianza dai documenti del tempo, il Natuccio Cinquino il cui nome ricorre nel Canzoniere Laurenziano quale autore di sonetti (due in tenzone con Bacciarone di ser Baccone, e uno con Geri Giannini) è da identificarsi, secondo quanto proposto dallo Zaccagnini e poi definitivamente accertato dal Cristiani, in "Benenatus Cinquinus quondam Periccioli Cinquini".
Il più antico documento nel quale si trovi citato il C. risale al 1260, ma le tappe rilevanti della sua attività di mercante si collocano tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi del decennio successivo. Nel 1292 per conto del Comune di Pisa fu collettore delle tasse imposte ai Comuni del Valdarno; nel 1294 fu a Messina, in qualità di mercante; nel '96 fu di nuovo a Pisa e fece parte, come anziano, del Consiglio minore per il quartiere di Cinzica, residenza di famiglie facoltose e potenti tra cui anche i Cinquino. Nel 1297, non più giovane, sposò Romea, detta Mea, di Francesco Bonconte; il contratto di matrimonio fu rogato davanti al banco di Guiscardo Cinquino, elemento di spicco della famiglia, il quale il 2 maggio 1270 partecipò nella chiesa di S. Bartolomeo, per conto del Comune di Pisa, alla stipulazione della pace con Firenze.
Il C. morì tra il 1299 e il 1301, con ogni probabilità a Pisa.
Del C. ci restano due sonetti indirizzati a Bacciarone ed uno a Geri, che insieme con lui furono tra i rimatori pisani appartenenti alla nutrita schiera dei cosiddetti siculotoscani, affermatasi nella seconda metà del sec. XIII, che scheinaticamente si colloca tra la scuola poetica siciliana e il dolce stil novo. I due sonetti a Bacciarone furono composti verso la fine degli anni Ottanta e comunque prima del '91, anno in cui Bacciarone morì; presumibilmente anche quello a Geri risale allo stesso Periodoi In "A cui prudensa porge alta lumèra", dopo una complimentosa offerta di amicizia espressa nella fronte del sonetto - schema che si ripete in "Aldendo..." -, il C. chiede a, Bacciarone perché il dolore ancor più della gioia serva a migliorare l'uomo. In "Aldendo dire l'altero valore", "risponditore" ancora Bacciarone, domanda perché il peccato, nonostante porti alla perdizione, "è piò amato che 'l bene fare o dire". A Geri infine, che si lamenta della propria vita ("Viv'affannato- pato- male storte"), il C. risponde, in "Poi sono stato- convitato- a corte", che lui sopporta il dolore perché consapevole che "al mondo nulla dura". Cercare risultati poetici nei versi del C., come in molti dei "colleghi", oltre che tentativo vano, data la modestia delle personalità, sarebbe errore metodologico dato che l'importanza di questi "minori" e "minimi" (e il C. va incluso tra questi ultimi) consiste principalmente nel loro nuovo - rispetto ai siciliani - status sociologico di intellettuali, non più burocrati di corte, ma protagonisti essi stessi delle vicende politiche, economiche e, naturalmente, culturali del Comune. Il C. difatti non fu poeta di professione, ma un mercatite e banchiere colto che non disdegnò di pentarsi nell'esercizio della poesia. Probabilmente al legame con il presente, e di certo alle mediazioni del modello guittoniano, è da ascriversi la scelta di temi moraleggianti. Infine per ciò che riguarda la lingua - modello Guittone d'Arozzo, ma va anche detto che pisano era il Terramagnino autore del trattato grammaticale Doctrina d'Acort - numerosi i provenzalismi. Sui dialettismi, nella valutazione dei quali ha pesato il giudizio negativo di Dante (De vulgari eloquentia, I., XIII, 1 e II, VI, 8) - ma più che naturale la loro presenza - valga il richiamo all'importanza e al prestigio culturale e politico, non ancora offuscati dall'egemonia di Firenze, di Comuni come, per es., Pisa ed Arezzo.
Fonti e Bibl.: Il testo dei sonetti si legge diplomaticamente in T. Casini, Il Canzoniere Laurenziano rediano 9, Bologna 1900, pp. 3 13-3 17; in ediz. commentata, ma con interventi sul testo spesso non giustificati, in G. Zaccagnini-A. Parducci, Rimatori siculo-toscani dei Dugento, s. 1, Pistoiesi-lucchesi-pisani, Bari 1915, pp. 206, 209 ss., 268 n. (su cui si cfr. la recens. di E. G. Parodi, in Bull. della Soc. dantesca ital., XXVII[1920], pp. 120-126); per il testo di "Aldendo...", si cfr. G. Contini, Poeti del Duecento, I, Milano-Napoli 1960, pp. 323 s., che migliora e sostituisce l'ed. Zaccagnini. Per altre edizioni si cfr. F. Zambrini, Le opere volgari a stampa dei sec. XIIIe XVI, Bologna 1884, p.682; App., p. 162; e il Suppl. di S. Morpurgo, Bologna 1929, p. 23, Fondamentali per la vita e per i continui richiami alle fonti diplomatiche: G. Zaccagnini, Notizie intorno ai rimatori Pisani del secc. XIII. in Giorn. stor. della lett. ital., LXIX (1917), pp. 23-29; E. Cristiani, Idati biografici e i riferimenti Politici dei rimatori Pisani del Dugento, in Studi mediolatini e volgari, III(1955), pp. 12 s., e dello stesso: Nobiltà e popolo nel Comunedi Pisa, Napoli 1962, pp. 452-53. Brevi cenni al C. in M. Musa, The Poetry of Panuccio delBagno, Bloomington 1965, p. 224; A. Tartaro, I rimatori siculo-toscani, in Storia della letter. ital., I, Milano 1965. pp. 380, 399; C. Margueron, Recherches sur Guittone d'Arezzo, Paris 1966, p. 266; A. E. Quaglio, Ipoeti siculo-toscani, in Laletter. ital. Storia e testi. Il Duecento, I, Bari 1970, p. 248; G. Bertoni, IlDuecento, in Storialetter. d'Italia, I, Milano 1973, p. 149; C. Segre, Lingua, stile e società, Milano 1974, p. 99; F. Catenazzi, L'influsso dei provenzali sui temi e immagini della Poesia siculo-toscana, Brescia 1977, pp. 284-87, Per i problemi fonetici, si cfr. G. Rohlfs, Grammatica stor. della lingua ital. e dei suoi dialetti, I, Torino 1966, p. 410. Per gli schemi metrici, oltre all'ed. Contini, si cfr. Dante daMaiano. Rime, a cura di R. Bettarini, Firenze 1969, pp. 23, 44.