Natalino Sapegno e Luigi Russo
Fu il tirocinio universitario torinese, alla scuola di Vittorio Cian e nello stesso clima culturale in cui si era formato Carlo Dionisotti, a fornire a Natalino Sapegno (Aosta 1901-Roma 1990) un metodo storico-critico, così come la pronta ricezione del magistero di Benedetto Croce e l’esperienza accanto a Piero Gobetti (dal 1919 al 1924) forgiarono la sua prospettiva critica. Nell’insieme Sapegno seppe integrare l’analisi dei fatti letterari con l’individuazione delle correnti culturali sottese, nonché dei modelli di riferimento nella tradizione. Negli anni Quaranta, la sua ricerca si avvantaggiò della lezione di Antonio Gramsci e di un incisivo influsso del marxismo. Si impose nella sua scrittura una più forte sensibilità storico-sociale e una maggiore duttilità a cogliere nelle varie epoche della storia letteraria la presenza di strutture ricorrenti. L’ottica marxistica consolidò e arricchì il metodo storico acquisito in giovinezza. Professore di letteratura italiana prima all’Università di Palermo (1936-37) poi a quella di Roma (fino al 1976), la sua opera si distribuisce per tutta la letteratura italiana: alcuni suoi libri come Il Trecento della Vallardi (1933, da incrociare con la Storia letteraria del Trecento, 1963) o lo stesso Compendio di storia della letteratura italiana (1936-1947) sono ormai dei veri e propri classici. Negli anni Sessanta progettò e diresse con Emilio Cecchi la Storia della letteratura italiana della Garzanti, mentre l’opera che gettò un ponte con la ricerca di Dionisotti fu la Storia letteraria delle regioni d’Italia (1968), pubblicata in collaborazione con Walter Binni.
Anche Luigi Russo (Delia, Caltanissetta, 1892-Marina di Pietrasanta 1961), professore universitario dal 1927 e, dopo la Liberazione e fino al 1948, direttore della Scuola Normale di Pisa, fu influenzato dall’insegnamento crociano, rivissuto con estrema partecipazione e impegno morale. Nel 1946 fondò la rivista «Belfagor» e venne nominato socio nazionale dell’Accademia dei Lincei. Tutta la sua opera critica fu caratterizzata dall’interrelazione tra esigenza di approfondimento del testo e spinte etiche e ideologiche. Un percorso iniziato con il Metastasio (1915) dove confluiva la sua tesi di laurea discussa a Pisa l’anno prima con Francesco Flamini. Le sue memorabili letture critiche suscitarono grandi e innovativi dibattiti, indirizzando in vario modo le generazioni più giovani. Dal Giovanni Verga, passato attraverso molte redazioni a partire dal 1919, al Carducci senza retorica (1957) e oltre, tutta la letteratura italiana è stata da Russo in vario modo ripercorsa e interpretata, anche attraverso i numerosi commenti. Un’attività altresì permeata da vene di riflessione morale e politica, a cominciare da quel Tramonto del letterato, apparso per la prima volta nel 1919, dove è enfatizzato l’obiettivo di rigenerare le coscienze attraverso il legame indissolubile tra arte ed etica. Di particolare importanza anche Francesco De Sanctis e la cultura napoletana (1928, riedito nel 1983 con l’introduzione di Ugo Carpi). Gli scritti critici sono stati riordinati in quattro volumi (1960-1965).