MASUCCIO, Natale
– Nacque a Messina tra il 1561 e il 1568. Entrò nella Compagnia di Gesù tra il 1580 e il 1585.
Allo stato attuale le notizie certe relative alla vita del M. e alle sue opere architettoniche appaiono ancora limitate. Fondamentali sono pertanto Pirri, Boscarino e Aricò, ai quali si è fatto prevalentemente riferimento.
La sua formazione si colloca in un periodo di notevole rilevanza per la cultura architettonica cittadina, alimentata sin da metà Cinquecento dalla presenza di esponenti del calibro di Angelo di Michele detto il Montorsoli, allievo di Michelangelo a Firenze e architetto a Messina dal 1547 al 1557, e di A. Calamecca (Calamech), scultore carrarese allievo di B. Ammannati, attivo in città dal 1565. E proprio con Calamecca i padri gesuiti avevano instaurato una sistematica collaborazione volta a risolvere le questioni progettuali inerenti ai vari cantieri della Compagnia in Sicilia. Il M., pertanto, nella sua prima fase formativa ebbe la possibilità di respirare quell’aria rinascimentale giunta nella città dello Stretto direttamente dall’ambiente toscano. Sono quindi comprensibili le ragioni che nel 1586, inviato per la prima volta a Roma al fine di «perfezionarsi nelle discipline ecclesiastiche», indussero il M. a rivolgere maggiore interesse allo studio della geometria e dell’architettura (La Corte Cailler, p. 24).
L’ultimo decennio del secolo vedeva a Messina un altro allievo di Michelangelo, G. Del Duca, che succedeva al defunto Calamecca nel ruolo di architetto della città. Con Del Duca approdava a Messina anche la nuova «maniera» michelangiolesca d’interpretare le superfici architettoniche, ovvero secondo una plastica imponente, enunciata dalle vigorose membrature dell’ordine gigante e dagli evidenti aggetti delle varie modanature. L’opera di Del Duca fu certamente decisiva nell’influenzare il linguaggio figurativo del M., arricchendolo di quella matrice manierista imperante a Roma che, di lì a poco, si sarebbe offerta agli ulteriori sviluppi dell’architettura barocca.
Nel 1595 a Messina il M. fu probabilmente impegnato nei lavori di ristrutturazione della sede gesuitica di S. Nicolò dei Gentiluomini. È documentata in quest’occasione la costruzione della cupola della chiesa nuova, opera postuma di Calamecca, cui lo stesso M. potrebbe aver apportato talune varianti.
Il 4 genn. 1597 il padre generale della Compagnia, Claudio Acquaviva, sollecitò l’invio del M. a Roma per completare la sua formazione architettonica.
Sulla base delle esperienze maturate a Messina negli anni precedenti non dovette risultargli difficile l’assimilazione dell’ambiente culturale e architettonico romano, specie di quello connesso alle grandi costruzioni gesuitiche di cui poté fare diretta conoscenza. Ebbe di certo occasione d’incontrare l’allora architetto della Compagnia G. De Rosis (succeduto a G. Tristano e a G. Valeriani nella sovrintendenza all’edilizia gesuitica), da cui verosimilmente mutuò l’interesse per l’idraulica, che lo avrebbe condotto a occuparsi anche di acquedotti. Seguendo i lavori nella fabbrica del Collegio romano, il M. ne poté apprendere quelle modalità distributive che diventarono tipiche degli edifici gesuitici. Dal cantiere del Gesù, in fase di completamento con il significativo contributo di G. Della Porta per la definizione della facciata, egli poté acquisire quella misura formale che caratterizza i prospetti nell’architettura tardocinquecentesca, sui cui elementi «e specialmente sul partito centrale, balcone e portale di ingresso, il M. accentrò sempre la sua attenzione» (Boscarino, p. 9).
In definitiva, dai periodi di studio romani il M. apprese quell’insieme di peculiarità che dovevano possedere gli edifici per soddisfare le esigenze della Compagnia. Requisiti che erano compendiati nella dizione, spesso ricorrente nei documenti, di «modo nostro» (Pirri, pp. 160-169). Ma il soggiorno romano fu determinante anche per il notevole apporto che egli donò all’architettura gesuitica, ovvero quello di mediare il passaggio stilistico dalle forme severe fino allora adottate verso un linguaggio già prebarocco.
Nel 1599 il M. intraprese il viaggio di ritorno in Sicilia; ma l’imbarcazione su cui navigava fu preda dei pirati. Scampato alla disavventura, si trovò a Malta dove fu incaricato di studiare il territorio al fine di condurre acque potabili presso La Valletta. L’opera fu avviata, però, soltanto nel 1610 (La Corte Cailler, p. 25).
Rientrato in Sicilia, nel 1602 risulta essere a Caltanissetta, dove lavorò al locale collegio. Di questi anni (1600-02) sono due suoi disegni relativi al progetto del collegio di Mineo la cui realizzazione, però, fu poco conforme al progetto del M. (Parigi, Bibliothèque nationale, Hd-4b, 96 e 97, in Vallery-Radot, pp. 53 s.).
Nel 1603 fu a Messina per intervenire sul progetto del noviziato al monte Tirone.
L’opera era stata originariamente disegnata da Calamecca alla fine del 1573; ma l’elaborato in un primo momento non aveva ricevuto l’approvazione del consiliarius aedilicius Tristano, che nell’occasione aveva prodotto un suo progetto. Tuttavia, l’orografia territoriale del Tirone, difficilmente interpretabile da Roma, non aveva permesso di applicarla, inducendo a ripiegare sull’iniziale progetto calameccano al fine di avviare comunque la realizzazione dell’edificio. L’intervento del M. consistette in un progetto finalizzato al completamento della fabbrica e alla costruzione della chiesa. L’elaborato, che incontrò l’approvazione romana, fu però causa di notevoli attriti con G. Frini, autore di una diversa interpretazione progettuale rigettata, in fine, dal padre generale.
Tra il 1603 e il 1606 a Palermo, sotto le prepositure di G. Mazzarino (1602-04) e di C. Cosso (1604-06), presero forma profonde opere di ampliamento e trasformazione della chiesa del Gesù o altrimenti denominata di casa professa.
La contingenza che innescò queste operazioni fu l’acquisto della limitrofa chiesa della Confraternita dei Ss. Cosma e Damiano con i relativi locali annessi; acquisizione che permise di realizzare l’abside centrale e le cappelle nel transetto. Essendo il M., già in quel periodo, architetto ufficiale della Compagnia per la provincia siciliana, è largamente condiviso il parere che in tale ampliamento vi fosse anche la sua mano, in particolare nella concezione delle quattro cappelle scavate su ognuna delle pareti delle due navate laterali, nonché sull’adozione di superfici curve nella definizione dell’abside e delle cappelle del transetto (Parigi, Bibliothèque nationale, Hd-4, 118 e 119, in Vallery-Radot, pp. 60 s.). Soluzioni che scardinavano l’organismo dalla chiara concezione rinascimentale del primo impianto, ideato da Tristano, per proiettarlo verso articolazioni spaziali già affini al barocco. E sempre al M. pare si possa attribuire l’idea di rifare a quota maggiore la volta della navata centrale e quella di ripensare la facciata con l’aggiunta di due torri campanarie ai lati (Pirri, p. 55). Relativamente alla conduzione di talune operazioni di questo cantiere, però, è attestato il disappunto manifestato dal padre generale Acquaviva. Egli, scrivendo al provinciale di Palermo il 22 dic. 1607, riferì, infatti, di essere «avvisato che il P. Natale disegna impicciolire dette due cappelle (del transetto) contra il comun parere. Ci è inoltre lamento che questo Padre fa e disfà senza necessità» (ibid., p. 56).
Di questo periodo (1603-07) è anche un disegno per il noviziato di Palermo attribuito al M., il cui schema distributivo è fedele alla classica tipologia gesuitica: «cortile centrale, in questo caso notevolmente rettangolare, sul quale prospettano le camere; corridoi di disimpegno sulle strette strade che circondano l’area; servizi igienici e scale negli incroci dei corpi di fabbrica; e un altro ampio cortile lasciato a giardino per servizi» (Boscarino, pp. 9 s.). Nel 1610 il M. fu nuovamente a Malta per iniziare la realizzazione dell’acquedotto a La Valletta; ma gravi problemi di tenuta dei vari tratti delle condotte lo indussero ad abbandonare l’isola lasciando l’opera incompleta. Questa fu poi ultimata nel 1615 dal bolognese B. Bontadini (Abela). Nel 1611, tornato in Sicilia, fu a Messina per un’analoga operazione volta a incrementare la portata delle acque affluenti in città attraverso l’introduzione di quelle provenienti dal fiume Bordonaro (La Corte Cailler, p. 26), opera che giunse a compimento nel 1617 (Gallo, p. 199).
Del 1611 è anche un suo progetto per il collegio di Noto.
L’elaborato, approvato nel 1612, prevedeva anche la realizzazione della stessa chiesa; ma la costruzione rimase ferma per lungo tempo a causa di estenuanti controversie relative principalmente all’ubicazione della chiesa, che nel progetto del M. era collocata a nord in prossimità della cattedrale (Parigi, Bibliothèque nationale, Hd-4a, 23 e 24, in Vallery-Radot, pp. 56 s.). Controversie non ancora del tutto risolte nel 1638, dato il documentato susseguirsi di ulteriori progetti (ibid., pp. 57-60). Sfortunatamente, nessun edificio si conserva a causa del terremoto del 1693.
Un’ulteriore opera generalmente attribuita al M., sebbene il suo nome non appaia nei documenti, è la chiesa gesuitica di Trapani.
«Questa composizione, caratterizzata dall’applicazione di un ordine gigante di pilastri in conci di tufo di Favignana, presenta il portale principale e quelli laterali alla maniera del Masuccio, con le colonne in pietra misca staccate dalla parete e concluse da un frontone spezzato. Il gioco degli aggetti determina un forte chiaroscuro che, assieme alla pregevolezza delle sagome e delle decorazioni, rende questa chiesa giustamente famosa» (Boscarino, p. 12). L’edificio fu realizzato tra il 1614 e il 1631; ma già dal 1617 giunsero da Roma due comunicazioni che esprimevano soddisfazione per i disegni di alcuni elementi architettonici della chiesa e per i successivi sviluppi della medesima (ibid., pp. 10 s.). A confermare la presenza del M. a Trapani negli anni in cui si avviava l’opera è una sua veduta della città datata 1613 (Parigi, Bibliothèque nationale, Hd-4a, 276, in Vallery-Radot, pp. 74 s.).
A Messina, le lunghe e complesse acquisizioni immobiliari volte alla definizione della casa professa e alla realizzazione del collegio primario furono in gran parte condotte sulla base di planimetrie disegnate dal Masuccio.
Per quanto concerne la casa professa, è una pianta databile tra il 1608 e il 1616 a rappresentare una prima soluzione per tale edificio che (concepita a margine dell’acquisizione di un importante immobile ubicato a occidente dell’originaria dimora gesuitica di S. Nicolò dei Gentiluomini) evidenzia la ricerca della più idonea combinazione distributiva tra le sedi delle congregazioni e le residenze dei padri (Parigi, Bibliothèque nationale de France, Hd-4, 60, in Vallery-Radot, p. 52). L’elaborato, che si articola in tre piante corrispondenti alle tre elevazioni fuori terra, colloca gli alloggi gesuitici nella parte occidentale dell’edificio, destinando i vani di maggior rappresentanza, ovvero quelli in corrispondenza della facciata orientale prospiciente la via Maestra, alle congregazioni. Tale distribuzione genera tre corti, di cui due comunicanti attraverso portici voltati a crociera, intorno alle quali si dispongono i vari ambienti. La continuità tra il vecchio sito e la nuova acquisizione è raggiunta al secondo livello, in quanto al piano terreno l’esistenza di un vicolo pubblico ne produce la cesura. Il progetto del M. fu superato da nuove elaborazioni di circa un ventennio posteriori, impostate su una mutata morfologia derivante dalla volontà di acquisire alcuni immobili siti a meridione anziché a occidente.
Certamente del 1615 è, invece, il «disegno del Collegio di Messina fatto da P. Natale Masuccio» (Parigi, Bibliothèque nationale, Hd-4, 30, in Vallery-Radot, p. 51). La morfologia planimetrica di questo disegno, prima idea di un processo in fieri, origina dall’assimilazione nei patrimoni gesuitici di alcune importanti residenze cittadine, tra le quali palazzo Marchese su cui è principalmente calibrata l’idea progettuale; questa, escludendone la demolizione, mira a una sua radicale trasformazione che si avvierà immediatamente dopo il progetto. Sebbene l’elaborato fosse successivamente oggetto di varianti per essere adattato a un lotto di maggiore ampiezza, in sostanza l’intera soluzione del M. non fu alterata. Essa prevedeva un organismo distribuito intorno a due corti, quella occidentale destinata alle scuole (ristrutturazione di palazzo Marchese) e quella orientale per i padri (nuova edificazione); collocata esternamente, al margine meridionale del lotto, è la chiesa di S. Giovanni Battista. L’imponente edificio del collegio primario di Messina, tuttavia, non fu mai condotto a completa esecuzione: l’intera parte orientale destinata ai padri gesuiti non si realizzò. Ciò che oggi rimane a documentare le aggettivazioni architettoniche delle sue superfici esterne, prospicienti la via Maestra della città, sono il portale d’ingresso, unico elemento superstite ai terremoti e ricomposto nell’attuale sede rettorale dell’Università, e l’incisione di Francesco Sicuro del 1768, raffigurante il prospetto orientale e l’adiacente facciata della chiesa. Il prospetto era definito da sette assi scanditi, al primo livello, da coppie di pilastri bugnati elevati su piedistalli, che inquadravano al centro il portale d’ingresso caratterizzato, a sua volta, dal timpano spezzato, sorretto da colonne distanziate dalla parete.
Nel 1616 la perenne disputa tra le città di Palermo e Messina, che non aveva mancato di permeare anche l’ambito gesuitico, produsse progressive limitazioni imposte ai vari istituti gesuitici messinesi, essendo il padre provinciale un palermitano. Il M., con l’appoggio del Senato cittadino, propose alla direzione generale della Compagnia la scissione della provincia siciliana in due realtà distinte, afferenti rispettivamente alle due città antagoniste. La richiesta, fortemente osteggiata dal provinciale, espose il M. in prima persona, trasformandolo, pare, nel capro espiatorio di un successivo incidente diplomatico innescato dal Senato messinese, il quale impedì l’ingresso in città allo stesso padre provinciale G. Cassio. Il M. fu pertanto «carcerato a Caltanissetta, ed ivi trattenuto per lungo tempo, e finalmente cacciato dalla religione con ignominia» (Gallo, pp. 198 s.).
Dello stesso anno è probabilmente l’ultima sua opera: la parte inferiore del palazzo del Monte di pietà di Messina.
L’edificio, parzialmente risparmiato dal terremoto del 1908, rivela al primo livello la sua mano, particolarmente evidente nel portale d’ingresso e nel prospetto impaginato dai massicci cantonali bugnati. L’attribuzione scaturisce da un documento compilato dal M. stesso in data 2 luglio 1616, relativo ai «capitoli dello staglio ed obligo dello staglio della pietra che s’haverà di portare di Rodi per servitio della fabrica del sacro Monti dell’Azori» (Boscarino, p. 14).
Il M. morì a Messina nelle ultime settimane dell’agosto 1619: del 12 agosto è il suo testamento (ibid., p. 15), cui fece seguito l’autorizzazione, datata 30 agosto, concessa agli eredi ad accettare il lascito con il beneficio d’inventario (ibid.).
Fonti e Bibl.: G.F. Abela, Della descrittione di Malta. Isola nel mare siciliano con le sue antichità, ed altre notitie, Malta 1647, p. 110; C.D. Gallo, Gli Annali di Messina, III, Messina 1804, pp. 198 s.; G. Grosso Cacopardo, Cenni biografici del p. N. M., gesuita messinese matematico ed architetto (1843), in Opere. Scritti minori 1832-1857, a cura di G. Molonia, Messina 1994, pp. 363-365; G. La Corte Cailler, L’Ateneo messinese ed i suoi vari fabbricati, Messina 1900 (estratto dalla pubblicazione straordinaria della R. Accademia Peloritana in occasione del 350° anniversario della fondazione dell’Ateneo messinese), pp. 24-27; E. Calandra, Breve storia dell’architettura in Sicilia (1938), Torino 1997, pp. 90-92; P. Pirri, G. Tristano e i primordi della architettura gesuitica, Roma 1955, pp. 43, 55-58, 64 s., 160-169, 190, 194 s.; S. Boscarino, L’architetto messinese N. M., in Quaderni dell’Ist. di storia dell’architettura, 1956, n. 18, pp. 8-20; J. Vallery-Radot, Le recueil de plans d’édifices de la Compagnie de Jésus conservé à la Bibliothèque nationale de Paris, Rome 1960, pp. 51-54, 56-61, 74 s.; N. Aricò - F. Basile, L’insediamento della Compagnia di Gesù a Messina dal 1547 all’espulsione tanucciana, in Annali di storia delle università italiane, II (1998), pp. 39-72; L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani, I, Palermo 1993, ad vocem.