DEL PACE, Natale
Figlio di Giovanni Francesco di Clemente, mancano altre notizie biografiche di questo personaggio importante per la storia della produzione serica in Toscana; il suo nome appare per la prima volta nei documenti il 19 dic. 1757, quando egli stipulò un contratto con il segretario per il Commercio del Granducato di Toscana, Carlo Ippoliti, per l'istituzione di una fabbrica imperiale e reale dei drappi in Firenze (Arch. di Stato di Firenze, Segreteria di Finanze anteriore al 1788, 1103, ins. Fabbrica Imperiale...). Il D. si offrì di rilevare tutto il materiale - filati, tessuti lavorati, telai e strumenti - appartenuto a un'altra fabbrica di broccati, insieme con i debiti da essa contratti.
Il D. si impegnava a restituire 18-400 lire alla Depositeria generale in diciotto anni, a 1.000 lire all'anno senza interessi. Per garantire l'Erario statale dei propri crediti e perché non si ripetesse l'esperienza negativa della fabbrica precedente, lo stesso Ippoliti se ne riservò la soprintendenza.
Fra gli oneri assegnati al D. figurava anche il pagamento della provvisione annuale a un disegnatore di stoffe francese, Fayetant de Saint-Clair, che, come direttore di una accademia di disegno dei drappi all'uso di Francia, doveva formare disegnatori specializzati per la produzione tessile (ibid., ins. Accademia di disegno delle stoffe...); e infatti la fabbrica si avvalse di alcuni disegnatori formatisi alla scuola del Saint-Clair, come Andrea Manetti, Francesco Lumachi, Antonio Laguepierre. Il 1ºag. 1758 il D. risulta immatricolato all'arte della seta come setaiolo grosso, pratica indispensabile per svolgere la sua attività (Ibid., Arte della seta, 20, c. 20v).
Nel lungo periodo della sua attività, che si protrasse fino al 1791, ben oltre i diciotto anni previsti per l'estinzione del credito con lo Stato, la fabbrica del D. venne a trovarsi in posizione di privilegio rispetto alle manifatture concorrenti, sia come capitale investito, sia come commissioni della corte. Questo generò subito gelosie e malcontenti che si trasformarono in denunce al sovrano su presunte irregolarità nella produzione della fabbrica, che, iurte dei titolo di cui poteva fregiarsi, non si sottometteva alle rigide regole imposte dall'arte (Ibid., Segreteria di Finanze anteriore al 1788, 1110, ins. Arte della seta). La manifattura comunque prosperò: nel 1783 poteva vantare un capitale sociale di lire 50.000, mentre le altre industrie fiorentine potevano disporre mediamente di lire 10.000. In quell'anno il massimo "azionista" risulta Carlo Ippoliti per la somma di 16.000 lire, non sappiamo se a titolo personale o in nome dell'Erario statale; il D. appare per sole 6.000 lire (Ibid., Segreteria di Gabinetto, 156, ins. 7).
Nel 1757 la manifattura imperiale rilevò dall'antica fabbrica dei broccati trentacinque telai per tessuti piani e in opera e due telai per velluti, che presumibilmente continuò ad utilizzare. Essa fu anche una delle prime, se non la prima, ad introdurre a Firenze i mulini ad acqua per la trattura, incannatura e valicatura delle sete (Paolini, 1786). Conosciamo parte della sua produzione, soprattutto quella per arredamento, attraverso gli ordini che la corte toscana, dopo l'arrivo di Pietro Leopoldo nel 1765, indirizzò in gran copia alla fabbrica per rimodernare i palazzi e le ville granducali. Abbiamo solo notizie indirette sulla produzione di tessuti per abbigliamento - che indubbiamente costituivano buona parte di quella globale - attraverso le richieste di licenze, a nome del D., per l'importazione di abiti e drappi francesi al fine di poterli studiare e riprodurre (Arch. di Stato di Firenze, Segreteria di Finanze anteriore al 1788, 1109, ins. Commercio, arti, e manifatture):il fatto testimonia della riconosciuta superiorità delle sete lionesi, indubbiamente le più ricercate, malgrado il divieto di farne commercio in Toscana, e della volontà di supplire almeno in parte alle richieste del mercato interno.
I drappi fiorentini apprezzati fuori dallo Stato erano tessuti uniti, soprattutto taffetà, rasi e "amoerri", rigidamente controllati dall'arte della seta, che ne garantiva con il suo marchio la qualità dei filati, la pesantezza, la perfezione nella tessitura e la stabilità delle tinte. 1 mercati esteri, cui si rivolse probabilmente anche il D. come altri setaioli fiorentini, erano quelli del Nord Italia, Nord Europa, Levante e America. Le commissioni della corte, ancorché ingenti, non erano costanti nel tempo, ma tendevano a concentrarsi in alcuni anni in funzione della necessità di ristrutturazione e ammodernamento delle ville e dei palazzi granducali. Dallo spoglio dei registri dell'amministrazione granducale possiamo calcolare che le sete fornite dal D. dal 1765 al 1791 superavano le 30.000 braccia fiorentine (un braccio equivale a cm 58 c.). I tipi di drappi maggiormente richiesti dalla corte, che probabilmente riflettono quelli maggiormente prodotti o più apprezzati della fabbrica, risultano essere i damaschi (più di 12.000 braccia), seguiti dai taffetá e dai tessuti operati (7.000 braccia circa per ciascun tipo); infine vengono gli "amoerri" ed i rasi. Scarsa la produzione di broccatelli - del resto considerati drappi di qualità inferiore perché non tutti in seta - che la corte acquistava di preferenza da un'altra manifattura. La maggior parte delle commissioni si concentrò intorno alla prima metà dell'ottavo decennio (1770, 1771, 1772 e 1775) e nella seconda metà di quello seguente (1786, 1787, 1788).
Dal 1791 il nome del D. cessa di essere registrato nei quaderni della Guardaroba; da questa data, che forse corrisponde alla morte del direttore o alla chiusura della fabbrica, un altro setaiolo subentra come massimo fornitore della corte (Ibid., Imperiale e Real Corte, 1171, 1177, 1374, 1969).
La qualità della produzione è testimoniata da diverse sete piane e in opera ancora presenti nei palazzi toscani; specificamente rasi (parato del boudoir della regina a palazzo Pitti), damaschi (pianete e piviali della cappella Palatina e della cappella della villa di Poggio Imperiale), tappezzerie e paramenti liturgici per i tessuti operati (palazzo Pitti). Da essi appaiono chiari i criteri con cui il D. diresse la fabbrica imperiale negli anni della sua attività: da una parte mantenere il livello tecnico nel solco della migliore tradizione fiorentina, dall'altra, pur adottando per certi tipi di tessuti, come i damaschi, modelli classici (Landini, 1986, fig. 2), rinnovare il disegno venendo incontro ai cambiamenti della moda senza troppo subire la tirannia del gusto francese. -1 rasi operati a grande rapporto, eseguiti negli anni 1770 e 1772 per parare gli appartamenti della granduchessa a palazzo Pitti (ibid., figg. 10 s.), rivelano, pur nel rispetto della struttura compositiva tipica del momento (andamento sinuoso in verticale), uno spirito diverso per quanto riguarda e la disposizione spaziale e la scelta dei singoli motivi. L'altezza del modulo di disegno dei rasi di oltre 3 m rappresenta l'ultima testimonianza della grande abilità tecnica dei rimettitori di opere fiorentini (gli operai specializzati nella programmazione dei telai per la tessitura dei drappi operati), destinata a scomparire nella crisi politica che da lì a pochi anni doveva sconvolgere l'intera Europa.
La volontà di essere in sintonia con le mode del momento si manifesta anche nell'introduzione di elementi di cineseria nei disegni della fabbrica, riscontrabili in un lampasso nero utilizzato per paramenti sacri (Palazzo Pitti, Inventario mobili arredi sacri, 1911, n. 66) e nelle farfalle di sapore orientale presenti in un tessuto impiegato in un paliotto (Landini, 1986, fig. 6).
Fonti e Bibl.: Oltre ai docc. cit. all'interno della voce si veda: A. Paolini, Della legittima libertà di commercio, II, Firenze 1786, p. 512; U. Dorini, L'arte della seta in Toscana, Firenze 1928, p. 57; R. Landini, Le commissioni di sete alle manifatture fiorentine dell'Imperiale e Real Corte di Toscana dal 1765 al 1799, in Itessili antichi e il loro uso: testimonianze sui centri di produzione in Italia, lessici, ricerca documentaria e metodologica, Torino 1986, pp. 228-245.