CONTI (Comes, Comitum, De Comitibus), Natale (Hieronymus)
Nacque probabilmente a Milano nel 1520, dove si era trasferita la sua famiglia, di origine romana. Fanciullo, fu condotto poi dai genitori a Venezia.
L'unica testimonianza sicura che si abbia circa il luogo della sua nascita è un'osservazione del C. stesso. Nelle sue Historiae (l. IX, 1581, c. 182), dopo aver lodato la cortesia dei Milanesi, egli aggiunge: "neque illud dico, quod nostri eo migrarint Roma antiquitus, unde propter bella postea Venetias, cum essem parvulus profugerunt, sed quia res docet ita esse". Nelle sue opere il C. si definisce costantemente "Venetus", e tale lo ritiene il Foscarini (p. 303), senza negare d'altra parte una sua nascita a Milano "per caso", sulla scorta dei Picinelli (p. 325). Per il più recente biografo, il Cranz (p. 31), il C., di famiglia veneziana, sarebbe nato e morto in Milano.
Le notizie biografiche che riguardano il C. sono estremamente scarse, connesse con la pubblicazione dei suoi scritti che lasciano intravedere, d'altronde, una accurata preparazione letteraria: nel 1547 uscì a Milano, in quattro libri, la raccolta elegiaca De quatuor anni temporibus, dedicata al giureconsulto Gabrio Panigarola, nel 1550 a Venezia il Περι ωρων βιβλιον εν, poemetto in esametri greci sulle ventiquattro ore del giorno, fornito della corrispondente traduzione in versi latini e dedicato a Cosimo de' Medici. Con questo sono uniti, nell'ordine: 1) la ristampa del De anno;2) il poemetto Myrmicomyomachia;3) gli Amatoriarum elegiarum libri II; 4) le Elegiae sex.
In queste opere giovanili il C. fa grande sfoggio di erudizione, tentando il genere elegiaco-amoroso e quello didascalico-etiologico. Più originale appare nella Myrmicomyomachia (Battaglia delle formiche e dei topi), poemetto eroicomico in quattro libri che, nonostante l'evidente richiamo alla Batracomyomachia pseudo-omerica, si rifà piuttosto per il contenuto alla vivace Moschaea maccheronica del Folengo, che narra la guerra delle mosche e delle formiche. Il C. non estende la deformazione caricaturale dei personaggi dell'epica sotto il travestimento animalesco all'espressione stilistico-lessicale della lingua, ma scrive in esametri latini di buona fattura pervenendo a esiti comicogrotteschi di qualche rilievo, quando più riesce a accentuare il contrasto tra la futilità del contenuto e la sostenutezza del dettato.
Un codice della Biblioteca Marciana di Venezia (cl. IX, n. 32), appartenuto al C., contiene poesie amorose di imitazione petrarchesca scritte in un dialetto neoellenico che al Legrand (Bibliothèque, II, p. LXIV) sembra cipriota. Tuttavia è poco probabile che il C. sia l'autore di questi componimenti, che anche esteriormente riproducono la struttura di sonetti e canzoni petrarcheschi. L'ispirazione essenzialmente lirica e le movenze popolaresche fanno pensare che si tratti di un greco di buona cultura, venuto a contatto con l'ambiente italiano e veneziano. L'ex-libris "Natalis Comitis Veneti carmina Graeco-Vulgaria" si dovrà spiegare piuttosto come una nota di appartenenza che di paternità (Cosattini, p. 116).
Nel 1551, sempre a Venezia, il C. pubblicò presso i figli di Aldo, dedicandolo al card. Giulio Della Rovere, il poemetto didascalico De venatione in quattro libri, elegante trattazione in esametri latini modellata su noti esempi classici (Senofonte, Oppiano, Nemesiano), che precede il pilI famoso Cynegeticon di Piero Angeli e fu ristampata in seguito (Venezia 1568, 1581; Lione 1602). Data la particolarità della materia e la frequenza dei tecnicismi specialistici, il De venatione èfornito di brevi annotazioni esplicative di Gerolamo Ruscelli. Durante il suo soggiorno veneziano, il C. entrò in rapporto con letterati e studiosi, uomini politici ed eminenti ecclesiastici, a cui dedicava le sue opere e si raccomandava per eventuali favori e prebende. Non sembra comunque che egli abbia mai raggiunto un incarico universitario e che sia stato a Padova maestro di Francesco Panigarola (nato nel 1548), come, fondandosi su un cenno dell'Argelati (II, col. 1030), hanno ritenuto diversi dei suoi biografi.
Alla produzione poetica il C. venne intanto affiancando una intensa attività di studioso ed erudito, pubblicando a Venezia nel 1556 la prima traduzione latina dei Deipnosophistae di Ateneo (rist. a Basilea, 1556 e a Lione, 1556 e 1583), la prima del De figuris sententiarum ac elocutionum di Alessandro Sofista, dedicata al senatore veneto Antonio da Mula (rist. a Venezia, 1644), nel 1557 sempre a Venezia quella del De elocutione attribuito a Demetrio Falereo, intrapresa per esortazione di M. Muret (in fine, p. 83) e dedicata a F. Contarini, nel 1558 ancora a Venezia quella del De genere demonstrativo di Menandro di Laodicea, utilizzando l'editio princeps dei Rethores Graeci Aldi (I, ibid. 1508, pp. 594 ss.). Inoltre nel 1560 il C. pubblicò a Basilea il De terminis rhetoricis, che contiene in aggiunta la traduzione di un opuscolo di Plutarco, il Libellus de fluviorum et montium nominibus. Mentre attendeva agli studi e alle traduzioni, il C. però non rinunciava alle occupazioni tipicamente umanistiche: nel 1558 uscì a Venezia, presso Aldo, la sua traduzione latina di un'opera italiana di Enea Vico, Imagini delle donne Auguste (1557), con il titolo Augustarum imagines aereis formis expressae, vitae quoque earundem breviter enarratae, opera che suggerì al Cicogna (Delle Inscrizioni, II, p. 15) di attribuirgli con qualche fondatezza anche la traduzione latina delle Imagini ... degli Imperatori dello stesso Vico (Venezia 1548), pubblicata con il titolo Omnium Caesarum imagines ex antiquis numismatis desumptae (Venezia 1553). Il C. cercava intanto di ingraziarsi personaggi potenti e altolocati: nella prefazione della traduzione latina di Menandro (1558), egli afferma di essere stato onorato dai cardinali Viseo, Polo, Medici, dal duca di Urbino, dal doge Lorenzo Priuli, dall'imperatore Ferdinando, quest'ultimo forse, come pensa il Foscarini (p. 418), per la dedica della versione latina di Ateneo. Nel 1562 usciva contemporaneamente a Venezia e a Ferrara un suo Carmen de Alphonsi ducis ingressu in urbem Venetam, descrizione retoricamente amplificata, il cui modello è il Panegirico di Plinio, della visita che il duca di Ferrara aveva fatto alla Repubblica di Venezia. Volendosi anche cimentare nella narrazione storica, il C. pubblicò nel 1566 a Venezia i Commentarii ... de acerrimo Turcarum bello in insulam Melitam gesto, breve monografia ricca di dati storici ma povera di valore critico, con la quale si suole far cominciare la storiografia riguardante l'isola di Malta (rist. Norimbergae 1566, Francofurti 1568). Poco tempo dopo il C. riunì l'ampio materiale mitologico e leggendario raccolto nel corso delle sue ricerche in un'ampia enciclopedia, dedicata al re di Francia Carlo IX, che uscì a Venezia nel 1568 con il titolo Mythologiae sive explicationes fabularum libri X.
Lo Schoell (p. 27) e il Guillon (p. 121) ne citano una prima ediz. del 1551, il Tiraboschi (p. 843) una del 1561-64: se realmente vi furono, queste edizioni possono presumibilmente considerarsi abbozzi di quella veneta del 1568.
Si tratta di un repertorio mitologico, compilato su fonti latine e greche, quali consultate direttamente, quali di seconda mano, che il C., secondo quanto scrive alla fine dell'opera, fu indotto a pubblicare, contro la sua volontà, da Renaldo Ferreri e Valerio Faenzi. Come già constatava il Fabricius (p. 330), assunto della Mythologia era dimostrare che quasi tutti i principi della filosofia naturale e morale sono contenuti nelle favole antiche. L'eccessivo allegorismo si rivelò tuttavia il limite critico dell'opera del C., insieme con il cumulo disorganico del materiale erudito mitografico.
Nell'ultima parte dellasua vita, il C. si dedicò in prevalenza a studi di carattere storico, e pubblicò a Venezia nel 1572 l'opera Historiarum libri X, in cui era trattato il periodo che va dal 1545 al 1556. Le Historiae erano dedicate al figlio naturale di Carlo V, don Giovanni d'Austria. In seguito il C. rielaborò quanto aveva scritto e vi aggiunse altri venti libri, in cui l'esame dei fatti era prolungato fino al 1580, ripubblicando il tutto ancora a Venezia nel 1581 (con un indice alfabetico dei nomi geografici latini e la corrispondente traduzione italiana di Lorenzo Gozzi) e dedicando l'opera al gentiluomo veneziano G. B. Bernardo. Nell'intervallo fra le due edizioni, alcune lettere del C. a personaggi fiorentini dell'entourage del granduca Francesco attestano una sua permanenza a Ravenna (1576). In esse e da altre lettere, provenienti dal carteggio di V. Borghini, risulta chiaro l'intento del C. di ingraziarsi l'ambiente fiorentino e nello stesso tempo di non voler scontentare alcun principe o Stato italiano facendone menzione nelle Historiae.
Il C. rimaneggiò l'opera e vi aggiunse ancora tre libri, che andarono perduti con la sua morte. Se ne conserva tuttavia la traduzione italiana pubblicata con quella dei restanti a Venezia nel 1589 da G. C. Saraceni con il titolo Delle Historie de' suoi tempi di Natale Conti..., di latino in volgare nuovamente tradotte. IlSaraceni di suo completò le Historiae con "opportune postille... e due copiosissime tavole", come dice nella prefazione di dedica al senatore Jacopo Soranzo. L'edizione del 1581 fu ristampata in seguito a Strasburgo da Gaspare Bitsch nel 1612, che corresse l'indice del Gozzi e vi aggiunse ulteriori spiegazioni.
L'ampio disegno delle Historiae non è rispettato sempre dall'autore. Il C. narra specialmente le vicende dell'Italia, e tra queste dedica particolare importanza alla storia di Venezia, come dimostra l'ampio excursus del libro XXI riguardante la guerra cipriota e il rilievo conferito in essa alla figura del bailo Marcantonio Barbaro, dovuto forse a un personale riguardo dello scrittore. Il Foscarini (p. 304) osservava che il C. "non racconta già unicamente i fatti della guerra, ma s'interna eziandio ne' più segreti maneggi". In verità l'autore mostra buona conoscenza dell'ambiente veneziano, in cui maturano le decisioni e si ordiscono i fili della politica estera della Repubblica; che egli prendesse posizione e pronunciasse giudizi è dimostrato, ad esempio, dall'opuscolo Difesa del card. Crisr., Madruccio, contro N. Conti pubblicato a Venezia nel 1763, apologia del Madruzzo (vescovo di Trento dal 1539) che nelle sue Historiae il C. aveva attaccato con veemenza. Il Borghini, salvo a deplorare certe adulazioni quali le lodi riversate in più luoghi sul duca di Ferrara "come se fosse stato uno Scipione o un Annibale" (Saltini, pp. 59 s.), giudicava il libro "grato e piacevole... ancorché costui scende spesso a molti particolari, che parrà ad alcuno che ne potesse far di manco", ma vi notava una lunga serie di errori e di inesattezze e la propensione a non definire con precisione avvenimenti e posizioni ideologiche, ingenerando così il sospetto di accogliere "calunnia o cicalamenti che potessero nascere" (ibid., p. 61). A questo proposito, il Guillon (p. 121) riteneva che le aggiunte concernenti Carlo VI, gli imperatori Ferdinando e Massimiliano, Filippo II dovessero attribuirsi piuttosto al Saraceni che al C. stesso.
I biografi del C. assegnano concordemente la sua morte al 1582, e questa avvenne probabilmente a Venezia.
Le opere del C. sono oggi note pressoché soltanto agli specialisti. Lo scarso valore poetico dei componimenti in versi era già sottolineato dallo Scaligero, che definì il C. "homo futilissimus" (Epistolae, XIV, ep. 309), né si può concedere a poemi come il De anno o la Myrmicomyomachia un valore superiore a quello di decorosa esercitazione o di esperimento letterario (la seconda ebbe pure un volgarizzamento italiano ad opera di Serafino Croce, in cinque canti in ottave: La guerra delle mosche e delle formiche... con gli aiuti avuti dall'una e dall'altra parte di zenzale, tafane, lucciole, cimici etc., Venezia 1625). La Mythologia e anche le Historiae ebbero qualche fortuna come libri di cultura e testi scolastici. Della prima, spesso ristampata (Venezia 1581, comprendente il De venatione, dedicata con aggiunte e c'orrezioni al vescovo di Maiorca, Fr. Campeggi; Francofurti 1581, 1584, 1588, 1596; Parisiis 1583, 1605; Genevae 1596, 1618, 1620, 1636, 1651, 1653; Lugduni 1602, 1653; Hanau 1605, 1619; Patavii 1616, 1637), fu pubblicata una traduzione francese con il titolo di Mythologie, c'est à dire explication de fables, contenant les généalogies des dieux, les céremonies de leurs sacrifices, leurs gestes, adventures, amours et presque tous les précepts de la philosophie naturelle et morale..., par J. de Montlyard, Lyon 1604, 1607, 1612; Rouen 1611; Paris 1627 (rivista da J. Baudoin). Nel riconoscere che i mitologisti italiani esercitarono durante il sec. XVI in Europa un effettivo predominio, lo Schoell fa la storia delle edizioni della Mythologia, di cui la seconda (Venezia 1581) ebbe gran voga in Francia (come dimostra l'ampio uso che ne fece P. Bayle nel suo celebre Dictionnaire) e in Germania per l'interesse suscitato dall'interpretazione morale dei miti. Il poeta inglese George Chapman, attirato dalla possibilità di spiegare storicamente e naturalisticamente le leggende pagane, si servì largamente del manuale del C. nei suoi poemi The Shadow of Night (1594) e Andromeda liberata (1614). La fortuna della Mythologia del C. nelle scuole, in concorrenza con la Historia... de deis di Lilio G. Girardi (1548), durò fino al 1700, quando il suo manuale fu soppiantato da opere più moderne e scientifiche come la Theologia gentilis del Voss. La critica recente è particolarmente severa con la Mythologia, giudicata dall'Hallam (II, p. 4) "una tediosa massa di citazioni, il materiale di un libro piuttosto che un libro, senza una nozione di rappresentare alcuna cosa nel suo spirito e risultato generale". Una traduzione francese fu eseguita anche della versione che il C. aveva approntato di Ateneo (1556), priva peraltro, a detta del Graesse (I, p. 244) di alcun merito critico: Les quinze livres des deipnosophistes d'Athénée... traduits pour la première fois en français (Paris 1680).
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