Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Cinquecento la diffusione della stampa a caratteri mobili trasforma radicalmente il sistema di produzione e le funzioni del libro. Le ripercussioni si sentono con forza in campo sociale, culturale e letterario, ma anche in campo politico e religioso. Il libro diventa strumento di propaganda e di circolazione delle idee, tanto che la sua diffusione è in stretta connessione con la Riforma protestante e la Controriforma cattolica.
La storia del libro nel XVI secolo è strettamente legata all’invenzione della stampa a caratteri mobili, avvenuta a metà del Quattrocento lungo la valle del Reno, e diffusasi molto rapidamente in gran parte d’Europa. Nei primi decenni del Cinquecento il libro è ancora nella fase sperimentale successiva all’invenzione, quando si definiscono poco per volta le tecniche e i criteri di stampa che resteranno validi per secoli; dai decenni centrali del secolo si ha invece il perfezionamento, ma anche l’irrigidimento, di quanto elaborato nel periodo precedente. Benché l’invenzione della stampa per molto tempo resti sottoutilizzata, già agli inizi del Cinquecento solo in Italia si ipotizza che circolino sette milioni e mezzo di volumi. La produzione di libri manoscritti permane fino al Settecento e in alcune aree (Russia, Serbia) continua a svolgere una funzione importante, ma nel resto d’Europa copre uno spazio estremamente ridotto del mercato librario. I torchi da stampa si diffondono molto velocemente e provocano il radicale cambiamento sia del sistema di produzione sia della funzione del libro. I costi si abbassano e un pubblico sempre più ampio entra in contatto con i testi a stampa. Già dai primi decenni del Cinquecento gli effetti di tale innovazione si sentono con forza in tutti i settori della società, sia in campo culturale e letterario, sia in campo politico e religioso. La Riforma protestante, il concilio di Trento e la Controriforma cattolica sono in stretto rapporto con la storia del libro, poiché le nuove idee trovano nella crescente circolazione libraria un prezioso strumento di propaganda e diffusione. Con l’invenzione della stampa la produzione libraria esce dalle mani della Chiesa (monasteri e corti vescovili) e passa in quelle di imprenditori laici. Si affretta anche il processo di laicizzazione delle biblioteche, non più legate soltanto al mondo ecclesiastico.
La nascita del libro a stampa ha per protagonista una nuova figura, quella dell’editore-tipografo, dalle alte capacità culturali e imprenditoriali. Le mansioni di fonditore di caratteri, stampatore, editore, revisore letterario e libraio sono infatti concentrate in un’unica persona o in una sola ditta. Le prime città che diventano importanti centri di produzione del libro stampato sono legate ai traffici commerciali e finanziari internazionali; in un secondo momento l’attività delle stamperie si collega anche alla presenza delle università. In Germania le prime stamperie sono concentrate nelle città commerciali più fiorenti: al sud Basilea, Augusta, Strasburgo e soprattutto Norimberga, mentre nella Germania settentrionale sono in testa le città della Lega anseatica, quali Colonia, Lubecca e Bruges. Gli stampatori tedeschi importano la loro invenzione prima di tutto in Italia, dove trovano maggiori occasioni e potenzialità per sviluppare le nuove tec-STORIA
niche di stampa. Roma – in quanto sede del papato e della curia – e Venezia sono i due centri che assumono presto un ruolo guida. Venezia si distingue sia per l’attività di uno dei più geniali stampatori, Aldo Manuzio, sia per la quantità di libri (si pensi che agli inizi del secolo nella città lagunare sono attive circa 150 stamperie).
In Italia vengono prodotte le prime serie di caratteri greci ed ebraici, si afferma l’uso del frontespizio e della numerazione delle pagine; da qui si diffondono le edizioni in piccolo formato e si stampano libri ad alta tiratura. Infine in Italia vengono ideati i due caratteri di stampa, il tondo “romano” e il corsivo “aldino”, che raggiungono un’alta definizione stilistica attorno agli anni Trenta a opera del punzonista francese Claude Garamond (1500-1561), e che sono attualmente alla base della stampa nel mondo occidentale. L’area slava, la Russia e la Turchia mantengono invece in uso il cirillico e l’arabo (e solo di recente, nel 1928, la Turchia ha adottato l’alfabeto latino), mentre la Germania ha abbandonato solo nel 1941 la variante gotica.
Nei decenni centrali del secolo si modifica la distribuzione geografica dei centri della stampa e dell’editoria. La Germania e l’Italia perdono il loro primato a favore della Francia (con il grande editore Estienne) e dei Paesi Bassi (con due case editrici, la Plantin, cattolica, e la Elzevir, protestante). Contemporaneamente si conclude l’epoca degli studiosi stampatori e subentra una maggiore specializzazione delle diverse mansioni. All’interno di questo processo di differenziazione delle fasi di produzione del libro, si afferma il ruolo centrale dell’editore su quello dello stampatore, che diventa un suo dipendente. A seguito del fallimento di numerose piccole stamperie, sorgono ora grandi ditte tipografico-editoriali che possiedono capitali ingenti e usufruiscono di una rete commerciale di dimensioni europee. Le autorità statali stesse intervengono per regolamentare e controllare la produzione libraria, permettendo l’attività solo alle stamperie legalmente riconosciute. Tanto per gli autori quanto per gli editori diventa presto fondamentale agire sotto la protezione delle autorità, stampando solo opere che hanno ottenuto l’autorizzazione del governo.
Agli inizi del Cinquecento i testi più pubblicati sono legati alla cultura ufficiale e alla tradizione: anzitutto la Sacra Scrittura, i testi liturgici e devozionali, poi i testi filosofici classici. I libri di preghiere, le vite dei santi, i martirologi, gli innari, le raccolte di sermoni sono molto diffusi anche a livello popolare; altrettanto diffusi grazie ai loro bassi costi sono gli almanacchi pseudoscientifici. Tutti i libri di grande successo editoriale del secolo sono di teologia: oltre alla Bibbia, uno dei testi più diffusi è il De imitatione Christi dello scrittore mistico Tommaso da Kempis. Anche altri autori contemporanei hanno un’enorme diffusione, con conseguenze politico-religiose di portata eccezionale: si pensi allo straordinario successo degli scritti di Lutero e di Erasmo da Rotterdam – la terza edizione dei suoi Colloquia è stampata nel 1522 in 24 mila copie. Tra le opere letterarie non religiose, l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto ha un’ampia circolazione a livello di mercato italiano. Il Cinquecento è anche un secolo di grande attività per i traduttori. Nell’Europa divisa tra cattolici e protestanti, è ovvio che oggetto di grandi traduzioni sia la polemistica di natura religiosa che ha una diffusione internazionale. Anche il ruolo dello scrittore di professione inizia a delinearsi, ma il successo di un autore rimane subordinato all’esistenza di un patrono disposto a proteggerlo e a sostenerlo finanziariamente.
Con la stampa il libro raggiunge un mercato più ampio, un pubblico più vasto, e adegua la sua produzione a differenti gusti, esigenze e livelli culturali. Si rafforzano però due tendenze diametralmente opposte. Da un lato si rinsaldano i legami tra le nazioni europee, cosicché le concezioni filosofiche, le scoperte scientifiche, le opere letterarie circolano più velocemente e diventano patrimonio comune, qualunque sia la provenienza geografica dell’autore. L’umanesimo costituisce un legame tra persone che vivono in Paesi diversi. Il latino è la lingua internazionale che consente agli scrittori di aree marginali della cultura europea (come la Scandinavia, l’Europa orientale, l’America spagnola) di rimanere in contatto con le principali correnti letterarie. La diffusione del libro anche a livello scolastico porta all’uniformarsi dei processi didattici e dei contenuti da trasmettere, con la possibilità da parte delle autorità statali ed ecclesiastiche di esercitare un controllo diretto su quanto insegnato; nei territori rimasti cattolici sono esemplari in questo senso le iniziative promosse dai Gesuiti nella seconda metà del secolo. Dall’altro lato però le barriere nazionali si rinsaldano, perché con l’ampliamento del pubblico che acquista e che legge il libro, si modifica la produzione: al testo in latino si affianca sempre più comunemente il libro nella lingua nazionale. Agli inizi del secolo, in Italia e in Germania i libri in latino sono di gran lunga più numerosi di quelli in italiano e in tedesco, ma nel corso del secolo il rapporto si modifica a vantaggio dei secondi. Solo in Spagna e ancor più in Inghilterra il rapporto è fin dall’inizio a favore dei testi in spagnolo e in inglese.
La proliferazione di libri induce presto a una regolamentazione istituzionale sia dal punto di vista culturale, con il controllo sulla cultura classicista del Rinascimento e la canonizzazione della lingua volgare, sia dal punto di vista politico-religioso con la creazione di appositi organi di controllo e di censura.
La storia del libro stampato è strettamente connessa all’organizzazione della censura ecclesiastica e statale. Nel 1515 il Concilio Lateranense stabilisce che tutti i libri debbano essere posti sotto il controllo delle autorità ecclesiastiche. Di lì a poco l’invasione di testi protestanti induce a un fermo controllo su quanto viene pubblicato, in difesa dell’ortodossia. In tutta Europa nel corso del secolo si rendono progressivamente più severe le leggi sulla censura, ma tale tendenza si avverte più fortemente negli stati cattolici. Nel 1547 la città di Lucca pubblica un indice dei libri proibiti, seguita presto da Milano e da Venezia, fino alla compilazione del noto Indice, promulgato da Paolo IV nel 1559. Questa prima edizione dell’Indice, oltre a mettere al bando la letteratura protestante, colpisce autori come Machiavelli, Erasmo, Boccaccio e Dante (in una seconda edizione di poco posteriore ci sarà una leggera attenuazione dei divieti). Non mancano però gli espedienti per aggirare il controllo e la censura. Gli autori ricorrono a pseudonimi, gli stampatori a marchi falsi; oppure si ricorre alla stampa in altri Paesi e poi si fa circolare il libro di contrabbando.
Talvolta è l’autore stesso a trasferirsi in un Paese in cui le sue idee non siano sottoposte alla censura. Si cerca poi di aggirare la censura anche attraverso sistemi più raffinati, utilizzando ad esempio la forma del dialogo per divulgare opinioni sospette, senza per questo poter essere direttamente accusati di esserne i sostenitori. Ma scrittori della levatura e dell’eterodossia di Giordano Bruno non trovano governi disposti a dare loro asilo: egli, ad esempio, viene condannato a morte dall’Inquisizione romana nel 1600.