PELOSINI, Narciso Feliciano
– Ultimo di cinque fratelli e sorelle, tre dei quali morirono in giovane età, nacque a Fornacette (Pisa) il 9 giugno 1823 da Giuseppe e da Maddalena Franchi. Oltre a fare il sarto il padre vendeva terraglie e insegnava a leggere e a scrivere ad adulti e a bambini.
Sulle orme del fratello Fabiano, che si era fatto prete, fu avviato alla carriera scolastica nel seminario di Montepulciano, che poi lasciò per studiare diritto all’Università di Pisa dove frequentò le lezioni del famoso criminalista Francesco Carrara, presso il cui studio d’avvocato a Lucca fece esperienza come praticante. Costretto a trasferirsi all’Università di Siena in seguito ai cambiamenti dell’ordinamento universitario introdotti dal granduca Leopoldo II dopo i moti del 1848, si laureò a Siena nel 1854, dopo aver dato alle stampe le Poesie italiane (Siena 1853). Nel frattempo era morto il padre.
Pelosini si fece subito notare per la «briosa maniera di fare e per la facilità di dettar poesie» e «si fece amare per certa stravaganza di modi che mai non perdette» (Orsini-Baroni, 1896).
A Pisa, dove era entrato a far parte dell’ambiente intellettuale, conobbe Felice Tribolati, Francesco Buonamici, Giuseppe Puccianti, Raffaello Fornaciari, Giuseppe Chiarini, Ottaviano Targioni-Tozzetti, Isidoro Del Lungo. Proprio Tribolati contribuì alla sua conversione al classicismo e al purismo che lo portò a rinnegare il suo primo libro e gli fece conoscere Giosue Carducci che, studente alla Scuola normale superiore, era diventato il principale punto di riferimento dei letterati pisani. Pelosini partecipò con passione alle polemiche letterarie che vedevano contrapposti classicisti e romantici e cominciò a scrivere sui giornali.
Ammalatosi di sifilide, fu spinto a non legarsi sentimentalmente e a rinunciare al matrimonio; sempre agli effetti della malattia è da imputarsi un tentativo di suicidio in seguito al quale perse un occhio per un colpo di pistola.
Tentata inutilmente la carriera universitaria, da cui ritenne di essere escluso a causa delle sette che si contendevano le sorti dell’Italia, come scrisse in una lettera a Carducci, per un breve periodo fu titolare della cattedra di diritto penale presso la Scuola di scienze sociali di Firenze. Nel 1862 pubblicò le Liriche (Pisa) e si dedicò all’impegno pratico come avvocato.
In quello stesso anno avvenne la rottura con Carducci, segnata sia dalla svolta politica in senso moderato e neoguelfo di Pelosini, sia dalla sua opposizione alla candidatura del poeta nei seggi elettorali pisani.
Dopo un periodo di profonda crisi esistenziale che sfociò in una riscoperta della fede religiosa e della tradizione cattolica più conservatrice, tra il 1865 e il 1868 si dedicò alla stesura di scritti di argomento politico che ribadivano la sua posizione di cattolico liberale moderato. Con gli anni divenne penalista di fama distinguendosi per le proprie doti di oratore e prendendo parte a importanti processi, come quello tra Giovanni Nicotera e la Gazzetta d’Italia. Fu inoltre l’avvocato di Giacomo Puccini, cui era legato d'amicizia.
Con lo pseudonimo di Giovan Paolo d’Alfiano, che riprendeva l’antico nome del paese natale, pubblicò la sua opera più famosa, Maestro Domenico (Pisa 1871. Fra le successive edizioni: con una Nota di G. Di Rienzo, Palermo 1982; Milano 1987; a cura di G. Ranieri Fascetti e con prefazione di M.G. Cantagalli, Pontedera 2009), una fiaba satirica preceduta da una lettera dedicatoria a Francesco Domenico Guerrazzi, poi espunta dalle successive edizioni. La violenta polemica contro la nuova Italia nata dal Risorgimento riaccese lo scontro con Carducci.
Come ammise lo stesso Pelosini, Maestro Domenico ricalcava il racconto Rip Wan Winkle di Washington Irving, il cui protagonista si risvegliava sotto un albero delle montagne di Catskill di New York, ritrovandosi in un paese libero e indipendente. Ridestatosi invece sotto un abete del Monte Pisano, il protagonista principale di Maestro Domenico, un falegname vissuto ai tempi del Granducato di Toscana tra sudditi pii e devoti, doveva ben presto accorgersi che l’antico mondo contadino era scomparso definitivamente, sostituito da una 'Nuova Italia' fatta di repubblicani anticlericali, di massoni e di politicanti di mestiere che aveva portato alla caduta di Roma e alla fine dello Stato della Chiesa. Il racconto sembrava rispecchiare il travaglio interiore dei cattolici italiani che, assopitisi nel periodo della Restaurazione, non si erano resi conto che nel frattempo il potere temporale della Chiesa era andato distrutto.
La lingua vivace, la verve polemica e satirica e soprattutto un passaggio della fiaba di Pelosini potrebbero aver attirato l’attenzione di Carlo Collodi, quello in cui il protagonista fa un sogno in cui si ritrova a lavorare d’ascia un pezzo di legno che si muove da solo: «Gli pareva di essere nella sua bottega tutto inteso a riquadrare un pezzo d’abeto. Ad un tratto l’ascia gli fuggiva di mano, il legno tremava tutto e, levatosi dritto sul banco, incominciava a ballare una nuovissima danza. E poi l’abeto metteva testa, corna, coda e piede forcuto. Era il diavolo in carne ed ossa che gli rideva sul viso facendo mille smorfie, e gli saltellava intorno trinciando sgambettii e capriole infernali» (Maestro Domenico: fiaba, Pisa 1871, p. 57).
Nel 1882 e nel 1886, per due legislature, Pelosini fu eletto deputato della Destra (rispettivamente nel Collegio di Pisa e in quello di Volterra), per divenire infine senatore del Regno. Nel 1890 pubblicò Ricordi Tradizioni e leggende dei monti Pisani (Pisa) che raccoglieva confessioni memorie e pensieri sulla sua vita e ribadiva l’importanza dell’appartenenza alla propria terra, la vera piccola patria che contrapponeva all’«invenzione» dell’Italia risorgimentale.
Negli ultimi anni, pur continuando con vigore e maestria l’attività forense, cominciò a mostrarsi sfiduciato, a rifuggire i contatti sociali e a ritirarsi in solitudine per lunghi periodi in una casetta sul Monte Pisano.
Pelosini morì a Pistoia il 9 luglio 1896.
Opere. Oltre alle opere citate, La nuova Italia, Pisa 1861; La festa di Galileo in Pisa, Pisa 1864; Tre ricordanze, Pisa 1864; Scritti letterari, Firenze 1884.
Fonti e Bibl.: Bologna, Casa Carducci, Carteggio, n. 24576; L. Orsini-Baroni, Ricordo di N.F. P., Fornacette 1896 (Pontedera 2004); C. Del Pino, In morte del … N.F. P. senatore del Regno: parole dette sul feretro nel cimitero della Misericordia di Pistoia la sera del dì 10 luglio 1896, Pistoia 1896; A. Lecci, N.F. P., in Giustizia penale, II (1896), 26-27, pp. 6 s.; O. Bacci, Giosuè Carducci e gli 'Amici pedanti' in La Toscana alla fine del Granducato, Firenze 1909, pp. 234-274; G. Rosadi, Di Giovanni Carmignani e degli avvocati letterati del suo tempo, ibid., pp. 73-120; B. Croce, La letteratura della nuova Italia, V, Bari 1957, pp. 238-244; G. De Rienzo, Narrativa toscana dell’Ottocento, Firenze 1975, ad ind.; N.F. P., in Narratori dell’Ottocento e del primo Novecento, I, a cura di A. Borlenghi, Milano 1961, p. 281; N.F. P., in Toscani dell'Ottocento: narratori e prosatori, a cura di E. Ghidetti, Firenze 1995, p. 195; G. Tellini, Cultura letteraria a Firenze nel secondo Ottocento, in Studi in onore di Francesco Mattesini, a cura di E. Elli - F. Mattesini - G. Langella, Milano 2000, pp. 286 s.; G. Tognoni, P., Carducci e altri, in Paragone/Letteratura, 1992, vol. 508-510, pp. 95-125; Spigolature pelosiniane (I, II), in Critica letteraria, 1994, n. 84, pp. 445-465; Carducci, il padre, il fratello … e P., in Filologia antica e moderna, 1996, n. 10, pp. 127-134; Spigolature pelosiniane (III), in Critica letteraria, 1999, n. 103, pp. 247-256; G. Tognoni, Fonti ed esiti del “'aestro Domenico' di N.F. P., in Erba d’Arno, 2000, n. 80-81, pp. 77-84, poi in Id., P., Carducci e altri, Pontedera 2008.