Vedi NARCE dell'anno: 1963 - 1995
NARCE (v. vol. V, p. 349)
Acropoli e insediamenti sul fiume Treia. - Le tre colline (N., Monte li Santi e Pizzo Piede), da cui è formato il complesso di Ν., sono state oggetto negli ultimi anni di ricognizioni particolareggiate, mentre lungo il fiume Treia, ai piedi dell'acropoli di N., è stato ampiamente scavato un sito che ha fornito una stratigrafia profonda 5 m. Nello strato più basso sono state rinvenute tracce di un insediamento a carattere provvisorio, associato a ritrovamenti della cultura appenninica del 1400 a.C. circa. Successivamente si formò un insediamento permanente, caratterizzato da edifici con basamenti in pietra e protetto da una palizzata di legno; tale insediamento, sulla base dei ritrovamenti di superficie, coincide cronologicamente con la prima occupazione dell'acropoli di Narce. Sono attestati tanto l'agricoltura quanto l'allevamento, e sono state ritrovate fibule di bronzo del XIII e del XII sec. a.C.
Da questo momento, sia l'insediamento lungo il fiume Treia sia quello sull'acropoli di N. si estesero rapidamente. È stata scavata una serie di edifici costruiti lungo il fiume, risalenti al periodo compreso tra il 1200 e l'800 a.C. Alcuni depositi a essi riferibili hanno restituito una notevole quantità di oggetti metallici, di vasellame, di ceramiche, insieme a resti di flora e di fauna. Nell'VIII sec. a.C. l'area lungo il fiume fu trasformata in una discarica e tale rimase fino alla seconda metà del VII sec. a.C., quando l'area fu utilizzata per sepolture occasionali di adulti. Tra il 600 e il 550 a.C. circa, cominciò invece a svilupparsi una necropoli organizzata per l'inumazione dei bambini. Si rinvennero tre sarcofagi di tufo e alcune sepolture poste all'interno di un recinto murato.
Nello stesso periodo l'occupazione sull'acropoli di N. sembra essersi ridotta, mentre Monte li Santi emerge come nuovo fulcro di stanziamento. Durante il V sec. a.C. l'insediamento si estese anche a Pizzo Piede, ulteriormente protetto da un muro in pietra, che lo separava dalle alture più a S. Intorno al 400 a.C.; sul sito lungo il fiume Treia venne impiantato un centro di produzione di laterizi, mentre un viadotto in pietra venne costruito per collegare N. con Monte li Santi. In tale periodo l'insediamento si estendeva su tutti e tre i colli.
In ogni caso sia i ritrovamenti nel sito lungo il fiume, sia in quelli di N., Monte li Santi e Pizzo Piede si fermano cronologicamente intorno alla metà del III sec. a.C., probabilmente a causa della conquista romana dell'agro falisco nel 241 a.C.
Il complesso degli oggetti trovati negli scavi presso il fiume Treia è particolarmente interessante in quanto dimostra che la cultura falisca, anche se molto influenzata dalle tradizioni terramaricole e protovillanoviane e, per alcuni versi, anche dalla cultura villanoviana, aveva le sue radici nell'Età del Bronzo appenninica.
Una notevole scoperta è costituita da una giara in ceramica d'impasto sulla quale è inciso un centauro che brandisce una spada. Databile tra il 650 e il 625 a.C., essa trova uno stretto riscontro in un’oinochòe proveniente dalla necropoli del Monte Soriano e probabilmente rappresenta una confusa interpretazione della leggenda di Eracle e Nesso, una delle prime raffigurazioni del centauro provenienti dal suolo etrusco.
Sono stati pubblicati i materiali di altri gruppi di tombe, scavate negli ultimi anni del XIX secolo. Tali materiali, ora conservati negli Stati Uniti, costituiscono un'importante integrazione al corpus della Dohan (Italie Tomb Groups, Pennsylvania 1942).
Necropoli. - Oggetto di ampie discussioni è la problematica relativa alle forme di occupazione del territorio nella prima Età del Ferro. Infatti, mentre gli scavi stratigrafici compiuti nell'insediamento lungo il fiume Treia ai piedi dell'acropoli hanno dimostrato che non ci fu soluzione di continuità tra l'insediamento eneolitico e quello dell'Età del Ferro, risulta al momento assente un'analoga documentazione per quanto riguarda le necropoli, che hanno invece restituito materiali non più antichi dell'VIII sec. a.C. Tale situazione ha suggerito ad alcuni studiosi l'ipotesi di una netta cesura nell'occupazione del sito alla fine dell'Età del Bronzo, mentre solo nell'VIII sec. a.C. si sarebbe avuto un nuovo popolamento nella zona, sotto la spinta di movimenti «colonizzatori» a opera di Veio.
La capillare distribuzione delle tombe a pozzo e a fossa dell'VIII e dell'inizio del VII sec. a.C. documenta una precoce occupazione delle tre alture di N., Monte li Santi e Pizzo Piede, consentendo di ipotizzare una matrice sinecistica nello sviluppo urbano della città falisca, che nella sua compiuta articolazione, nel V-IV sec. a.C., comprendeva anche una collinetta a SO di Pizzo Piede, utile avamposto gravitante sulla strada per Veio e Roma, con funzioni militari e sacrali insieme, come dimostra la presenza di fortificazioni in opera quadrata e di un altare in tufo con protomi di ariete.
Nuovi dati per un più puntuale inquadramento dei sepolcreti vengono dalla revisione dei materiali sostanzialmente inediti, della necropoli dei «Tufi», scavata nel 1895, e ubicata nel fondovalle prospiciente il versante SE dell'altura di N., lungo il fosso della Mola di Magliano.
Costituita da tombe a cremazione e a inumazione in fossa semplice, la necropoli si presenta nella sua fase iniziale di utilizzazione, nell'avanzato primo quarto dell'VIII sec. a.C., come uno dei sepolcreti più antichi attestati a N. nell'Età del Ferro. Nelle tombe a incinerazione l'adozione dell'olla come contenitore delle ceneri del defunto costituisce una costante che assume un particolare rilievo sul piano etnico-culturale, analogamente a quanto si verifica nelle altre necropoli di N. e dell'agro falisco.
Il sepolcreto, riferibile per la sua collocazione topografica a un nucleo di insediamento sull'altura di N., si contraddistingue per caratteri peculiari, determinati, in particolar modo, dall'abbondanza di «servizî» vascolari in impasto decorato a lamelle metalliche e dalla presenza di materiali in argilla figulina di importazione e di imitazione, in una percentuale non altrimenti attestata nel sito. Tra questi va ricordata una coppa euboico-cicladica, con metopa decorata da uccello con il corpo campito a linee verticali e losanghe quadripartite nel campo, riferibile alla tomba maschile 14 (XIII), che, insieme a una coppa Thapsos con pannello dalla necropoli di Monte Cerreto, mostra la particolare ricettività e il ruolo di smistamento svolto da N., fin dai decenni centrali dell'VIII sec. a.C., nei confronti delle correnti commerciali incanalate lungo la valle tiberina.
L'acquisizione, nei corredi funerarî dell'avanzata Età del Ferro, di questi e di altri beni di prestigio denuncia la rapida ascesa economico-sociale delle comunità stanziate a N. e la progressiva affermazione di un ceto aristocratico che trova pieno sviluppo nell'Orientalizzante, con tombe che mostrano in taluni casi una particolare ostentazione di ricchezza.
Interventi compiuti fra il 1986 e il 1990 nell'area della necropoli hanno arricchito il quadro già noto dagli scavi della fine del secolo scorso e degli inizî del '900. Di particolare interesse appaiono i risultati dello scavo di una tomba a camera di età tardo-arcaica in località Valle l'Abate, che doveva far parte di un più ampio nucleo cimiteriale, finora mai indagato, pertinente a uno di quei piccoli siti rurali esistenti nei dintorni dell'insediamento principale di N., dei quali è stato riconosciuto lo sviluppo a partire dall'età orientalizzante. La tomba ha restituito, tra l'altro, un'iscrizione etrusca sinistrorsa, graffita sul retro della vasca di un piattello su piede di bucchero pesante, e attestante, nella formula di possesso, il gentilizio Celnie. Essa si aggiunge alle altre iscrizioni etrusche, note dagli scavi effettuati tra la fine del 1800 e i primi decenni del '900, che documentano ima forte presenza alloglotta nell'ambito della comunità falisca.
Recenti studi (Colonna) hanno ripreso in considerazione, con buone argomentazioni, l'ipotesi, già avanzata alla fine del secolo scorso dal Barnabei e dal Gamurrini, della identificazione di N. con Fescennium, l'antico centro falisco citato dalle fonti di età classica (Dion. Hal., I, 21, 1; Verg., Aen., VII, 695; Paul. Diac., Exc. Fest., 6-7, p. 76, Lindsay; Plin., Nat. hist., III, 52; Porphyr., Hor. Ep., II, I, 145; Sol., II, 1, 4; Serv., Aen., VII, 695), cui si fa risalire l'origine dei Fescennini versus, uno dei più antichi generi di poesia nei quali Livio (VII, 2) addita la forma embrionale del dramma e l'origine della satira.
Sembrerebbe contraddire invece questa identificazione la notizia delle fonti secondo le quali Fescennium sarebbe esistita ancora in età augustea; le evidenze archeologiche infatti documentano anche a N. una generale flessione del popolamento come conseguenza della conquista romana dell'agro falisco nel 241 a.C.
La mancanza di scavi sistematici in area urbana non consente di definire con precisione quali eventi determinarono la progressiva occupazione del territorio da parte dei Romani; le ricerche di superficie dell'ultimo ventennio e gli estesi scavi ottocenteschi delle necropoli, che mostrano una percentuale molto bassa di tombe databili nel III sec. a.C. e apparentemente concentrate nell'ambito di un unico sepolcreto, quello di Contrada Morgi, fanno ritenere che già dallo scontro con Roma del 292 a.C. N. debba aver subito pesanti conseguenze. In età romana l'area dell'insediamento falisco sembrerebbe completamente abbandonata, mentre forme di rioccupazione, non a carattere urbano, sono documentate su tutte e tre le alture di N., Monte li Santi e Pizzo Piede da resti riconducibili a epoca medievale.
Santuario di Monte li Santi-Le Rote. - Dati significativi per la ricostruzione delle fasi di vita del centro antico, soprattutto per quanto riguarda il cruciale momento della romanizzazione, vengono dall'esplorazione di un santuario suburbano, dislocato immediatamente al di fuori dell'insediamento falisco nel fondovalle sotto le pendici di Monte li Santi, sulla sponda del fiume Treia.
Gli scavi effettuati hanno sinora messo in luce una complessa situazione solo parzialmente indagata, con più edifici di culto che seguono una disposizione a gradoni parallela al corso del fiume, con orientamento NE-SO. I materiali rinvenuti assicurano al momento una frequentazione dell'area dall'età tardo-arcaica alla fine del II-inizî del I sec. a.C., documentando una continuità del culto anche in una fase successiva alla conquista romana del territorio.
Il santuario comprendeva, al centro dell'area, un monumentale edificio templare, di grandi dimensioni (m 37,50 x 32,08), di cui rimane la platea di fondazione in opera quadrata di tufo; immediatamente a ridosso di questo, verso il Treia, a una quota inferiore di c.a m 1,40, si estendono le strutture dell'alzato di un complesso costituito, nella sua fase finale di utilizzazione, da tre ambienti (A, B, C), che mostrano più fasi costruttive e che hanno inglobato anche strutture più antiche, diversamente orientate e non correlate tra loro.
Dei tre ambienti, il vano A, il più grande (m 13 x 7 c.a), fornito di un ingresso laterale, si caratterizza come luogo precipuamente destinato al culto per la simultanea presenza di elementi in stretta connessione tra loro: un altare a semplice pianta quadrata di piccole dimensioni, un «pozzetto» costruito in lastre di peperino e strumenti connessi al rituale del sacrificio, ovvero due alari di ferro, un grande piatto d'impasto sul quale erano sistemate un paio di pinze da fuoco in ferro e un piatto-vassoio di impasto chiaro sabbiato.
Anche il vano C presentava degli apprestamenti presumibilmente legati allo svolgimento di funzioni religiose. Infatti sono state qui rinvenute due strutture in negativo, costruite con lastre di tufo, di incerta destinazione, ma oggetto di pratiche cultuali connesse ai complessi riti di espiazione che hanno preceduto l'abbandono dell'area sacra.
Un secondo altare è stato rinvenuto in un'area all'aperto, annessa ai vani A, Β e C, delimitata da muri di recinzione non fondati.
I tre vani e le aree esterne su cui essi prospettano hanno restituito numerosi ex voto, rinvenuti sia in ordine sparso sia accatastati. Frequente appare l'uso di proteggere, delimitare, coprire i materiali con ciottoli e con tegole.
La composizione del deposito votivo appare caratterizzata da una grande varietà: si tratta di offerte alimentari, di monete in prevalenza di zecca romana (accanto alle quali si segnalano interessanti presenze di monete greche), di ceramica acroma e a vernice nera, di terrecotte votive di devoti; meno frequente appare l'offerta di ex voto anatomici. Rara la presenza di bronzetti.
Un cenno a parte merita una statuetta fittile di Afrodite seminuda, che costituisce un pregevole esemplare di maggiori dimensioni di un tipo altrimenti attestato nella piccola plastica e nei rilievi (nella variante con appoggio laterale), diffuso in età ellenistica soprattutto in ambiente greco-orientale. I caratteri stilistici della piccola statua di N. sono particolarmente vicini al tipo documentato su un rilievo con Eros e Afrodite da Cirene, datato nel IV sec. a.C.
La produzione delle piccole terrecotte figurate, sia della prima metà del V sec. a.C. che del secolo successivo, è di un certo interesse, in quanto vi sono attestate più generazioni di varianti caratterizzate da una tecnica peculiare a bassorilievo in forma di stele, presumibilmente di produzione locale. L'ipotesi che una fonte di sussistenza per la vita del complesso religioso debba essere ricercata anche nell'attività di produzione e vendita di ex voto è avvalorata dal ritrovamento di un'area industriale annessa al santuario, della quale è stata scavata una fornace tardo-arcaica a pianta quadrata, di cui rimane solo la camera di combustione.
L'abbandono del santuario, presumibilmente tra la fine del II e l'inizio del I sec. a.C., non appare repentino, ma sembra seguire modalità che prevedono un'intenzionale obliterazione delle strutture e dei materiali in esso contenuti: infatti i tre ambienti A, Β e C sono stati rinvenuti sigillati da più strati di blocchi di reimpiego, conseguenti a un sistematico intervento di smantellamento delle strutture murarie. La rimozione di parte delle strutture del tetto è testimoniata invece da un accatastamento di tegole nel vano A.
Mancano dati certi per attribuire il santuario a una particolare divinità. I materiali votivi rinvenuti documentano molteplici aspetti del culto, tra i quali sembrano avere un maggior risalto quelli legati al mondo familiare. Sembrerebbe in sostanza trattarsi di una divinità protettrice soprattutto della sfera femminile, delle capacità procreative, dei matrimoni, delle nascite e dell'infanzia. La presenza di determinati tipi di ex voto anatomici rivela inoltre l'esistenza anche di un culto di carattere salutare, in relazione al quale è presumibile che abbia svolto un certo ruolo l'acqua, data la particolare ubicazione del santuario sulla sponda del fiume, mentre non secondaria appare la connotazione ctonia del culto.
Un secondo santuario, ugualmente dislocato nel fondo-valle, lungo il fiume Treia, era nelle immediate adiacenze, a S del precedente: individuato alla fine del secolo scorso fu oggetto di scavi tra il 1891 e il 1895, quando furono riportate in luce strutture murarie riferite a un edificio templare. Da qui proviene un'antefissa a testa di sileno, riconducibile a un prototipo veiente, databile intorno al 480-470 a.C. (v. vol. V, p. 350, fig. 471).
Bibl.: Sulle fasi dell'Età del Bronzo: R. Peroni, M. A. Fugazzola, Ricerche preistoriche a Narce, in BPI, LXXVIII, 1969, pp. 79-145.
Sulle problematiche relative al popolamento nell'Età del Ferro: F. di Gennaro, Organizzazione del territorio nell'Etruria meridionale protostorica: applicazione di un modello grafico, in DArch, IV, 1982, 2, p. 103 ss.; id., Forme di insediamento tra Tevere e Fiora dal Bronzo finale al principio dell'età del ferro, Firenze 1986, pp. 30-32.
Sui corredi funerari: H. Salskov-Roberts, Five Tombs Groups in the Danish National Museum from Narce, Capena and Poggio Sommavilla, in ActaArch, XLV, 1974, pp. 49-107; M. D. Molas i Font, Un conjunto orientalizante inicial falisco. La tumba 32 de las necrópolis di Narce, in CuadRom, XIV, 1980, p. 1 ss.; M. P. Baglione, Il Tevere e i Falisci, in II Tevere e le altre vie d'acqua del Lazio antico (QuadAEI, 12), Roma 1986, pp. 124-142; M. P. Baglione, M. A. De Lucia Brolli, Nuovi dati sulla necropoli de «i Tufi» di Narce, in La Civiltà dei Falisci. Atti del XV Convegno di studi etruschi ed italici, Civita Castellana 1987, Firenze 1990, pp. 61-102; M. A. De Lucia Brolli, Narce (Com. di Mozzano Romano, Roma), in StEtr, LVIII, 1993, pp. 526-540.
Sulla identificazione di N. con Fescennium: G. Colonna, Corchiano, Narce e il problema di Fescennium, in La Civiltà dei Falisci..., cit., pp. 111-140, con bibl. prec.
Sui santuarî: MonAnt, IV, 1894, tav. III; A. Pasqui, Scavi del Principe Del Drago nel territorio di Mazzano, in NSc, 1902, p. 609; A. Andrén, Architectural Terracottas from Etrusco-Italie Temples, Lipsia 1940, p. 151 s., tav. LVII, 2.187 e 1.189; M. A. De Lucia Brolli, in StEtr, LIV, 1986 (1988), p. 366 s.; ead., Un nuovo santuario a Narce sulla sponda del Treja, località Monte Li Santi-Le Rote. Scavi 1985-1986, in La Civiltà dei Falisci..., cit., pp. 173-195; ead., Narce (Viterbo). Località Monte Li Santi-Le Rote. Area del santuario suburbano. Il deposito votivo, in ΒΑ, III, 1990, pp. 65-70; ead., Narce (Com. di Mazzano Romano, Roma). Loc. Monte Li Santi-Le Rote: santuario suburbano, in StEtr, LVIII, 1993, pp. 540-542.
Sulle monete del santuario: F. Catalli, Moneta e territorio, in La Civiltà dei Falisci..., cit., pp. 246-247.