NAQSH-I RUSTAM
La gola di N.-i R., nei pressi di Persepoli, è nota principalmente per un complesso di opere monumentali appartenenti agli Achemènidi e ai Sassanidi. Essa conserva tuttavia anche resti di sculture rupestri che risalgono all'epoca elamita (fine III millennio).
Infatti il rilievo sassanide celebrante il re Bahram II fu scolpito abbassando, e per gran parte cancellando totalmente, un preesistente, antichissimo rilievo.
Si trattava, a quanto si può intravvedere, di una scena di culto. Due divinità in vesti sumeriche erano sedute su un trono formato da serpenti, mentre alcuni personaggi maschili e femminili, posti su un'unica fila, rendevano loro omaggio. In piedi, dietro alla coppia divina, stava un inserviente, il quale, per la sua posizione periferica, è sfuggito quasi totalmente alla distruzione. Tali resti nelle loro parti ancora leggibili ricordano molto da vicino, per stile, soggetto e costumi, le suggestive sculture rupestri di Karangun delle quali possono essere considerati contemporanei.
In entrambi i siti fortissime influenze sumeriche si affiancano all'elemento più originale dello stile elamita, che consiste nella visione della figura umana posta integralmente di profilo, torso e spalle compresi.
Sotto gli Achemènidi la gola acquistò il preciso carattere di un sacrario dinastico. Lungo la vasta parete di roccia che delimita il monte di Kuh-i Husaīn, furono scavate le tombe dei re, Dario I (521-486 a. C.), Serse I (484-466 a. C.), Artaserse I (464-424 a. C.) e Dario II (424-404). Sono tutti sepolcri a carattere monumentale, costruiti secondo lo stesso schema, con facciata cruciforme. La sezione centrale, mossa da quattro semicolonne in altorilievo con capitelli a protomi taurine, simula un portico; al centro si apre una porta rettangolare che conduce nell'interno del monumento, formato da un numero variabile di stanze poste talvolta su due piani. Nella camera sepolcrale sono scavate una o più fosse, ricoperte poi con un lastrone di pietra.
I bassorilievi che occupano la parte superiore delle facciate rappresentano invariabilmente scene di omaggio: gruppi di popoli sottomessi sostengono il trono sul quale siede il re. Accanto si eleva un altare e al disopra si libra l'immagine cultuale del dio Ahuramazdāh (Hormizd).
Questo tipo di monumento funebre rupestre, preceduto da un portico, era già noto e diffuso tra i Medi, i quali a loro volta ne trassero verosimilmente l'idea dalle tombe anatoliche della Paflagonia. Gli Achemènidi aggiunsero soltanto una maggior ricchezza di ornamentazione e generalizzarono l'uso del finto portico, già noto in epoca precedente anche se saltuariamente impiegato (esempio la tomba di Da-u Dukhtar, presso Karangun, del 650-600 a. C. circa).
Di fronte ai sepolcri reali si eleva la così detta "Ka'hba-i Zardust" una delle più antiche costruzioni architettoniche dell'Iran. Si tratta di un santuario del fuoco achemènide, a forma di torre quadrata, eretto su un triplice zoccolo e costruito con blocchi regolari di calcare. Una scala monumentale conduce all'unica stanza interna il cui accesso era permesso soltanto ai sacerdoti.
Al disotto delle tombe si trovano per lo meno otto rilievi rupestri di epoca sassanide che vanno dall'inizio della dinastia (240 d. C.) fino alla fine del III sec. d. C. Questi rilievi, anche per la loro collocazione, rivelano fin troppo apertamente la dichiarata volontà sassanide di richiamarsi alla grande tradizione aulica degli antichi sovrani persiani, distrutta dai Seleucidi ed incompresa dagli Arsacidi.
Tale ritorno al passato non era causato soltanto dal desiderio di legittimare dinasticamente la nascita del nuovo impero, ma traeva origine da un'esigenza di rivolta nazionale profondamente sentita negli ambienti aristocratici del Fars (Persia meridionale).
I Sassanidi tuttavia, pur pretendendo teoricamente di risalire alla grande tradizione iniziata da Ciro, proseguirono in pratica, per gran parte, sulla linea della complessa ed originale cultura irano-ellenistica che si era venuta formando nelle terre dominate dai Parthi. Cosicché, in sostanza, la loro arte rappresentò l'estrema evoluzione di un'arte iranica antichissima, che si era espressa, di volta in volta attraverso i secoli, per mezzo delle creazioni dei Medi, dei Persiani, degli Arsacidi.
Anche le scene che si susseguono lungo le pareti di roccia di N.-i R., fanno rivivere gli eterni e limitati temi di questo repertorio iranico. Esse infatti rappresentano - con una maggiore sottolineatura aulica - investiture divine di re, scene di ossequio, lotte a cavallo. Siamo dunque di fronte ad opere decisamente orientali anche se non esclusivamente neo-achemènidi. Pure non mancano elementi che tradiscono la presenza di un influsso greco. Tale deve essere considerata principalmente la tecnica dell'altorilevo sconosciuta nel mondo orientale e felicemente usata dai Sassanidi per sottolineare drammaticamente il significato allegorico delle scene rappresentate. Le figure dei rilievi mostrano sempre il volto e gli arti inferiori di profilo mentre il busto e le spalle sono di fronte. Inoltre esse sono concepite tenendo conto di una proporzione gerarchico-sentimentale delle varie parti del corpo. Si hanno così teste e mani grandissime, gambe corte, ecc. Per lo stesso motivo i cavalli risultano spesso troppo piccoli rispetto ai cavalieri.
I ritratti dei re e dei dignitari sono sempre intesi in senso concettuale. Ogni sovrano viene individuato e reso chiaramente leggibile al pubblico attraverso una serie canonica di elementi esteriori che vanno dalla particolare composizione della corona, alla acconciatura della barba e dei capelli, alla foggia ed al colore dei vestiti, ecc.
Gli otto rilievi di N.-i R. rappresentano, da sinistra a destra:
1) L'investitura di Ardashir I(224-241 d. C.). Ardashir, secondogenito del gran sacerdote Papak, divenne re della Persia dopo la prematura morte del fratello maggiore Shapur, al quale tuttavia egli si era sempre rifiutato di prestare atto di sottomissione. Sua prima cura fu la riorganizzazione interna del regno sulla base di un deciso accentramento politico ed amministrativo. Quindi, assicuratesi le spalle, egli estese la sua sovranità anche al di fuori dei tradizionali confini del Fars, urtandosi apertamente con l'imperatore arsacide Artabano V. Scoppiata ben presto la guerra, Ardashir vinse a più riprese il rivale ed infine lo uccise (224 d. C.) in battaglia nei pressi di Susa. Due anni dopo egli veniva incoronato imperatore a Ctesifonte. Il nuovo sovrano dell'Iran dovette subito fare fronte ad una potente coalizione filo-arsacide, capeggiata dal re dell'Armenia Chosroe I e della quale facevano parte tanto i Romani quanto i Kuṣāna. La lotta durò a lungo ma alla fine il nascente impero sassanide uscì non solo vittorioso ma anche rafforzato nelle sue interne strutture. Ardashir negli ultimi anni di regno associò ai trono il figlio Shapur.
Il rilievo è consacrato all'investitura di Ardashir I il quale riceve dal dio Ahuramazdāh un diadema ornato di nastri. I due personaggi, immersi in un'atmosfera eroica, sono rappresentati a cavallo, l'uno di fronte all'altro. Ai piedi del dio giace vinto lo spirito del Male, riconoscibile per i capelli a forma di serpenti. Gli zoccoli del cavallo regale calpestano invece le spoglie di Artabano V. L'opera è realizzata con uno studio attento della simmetria bilaterale, in puro stile araldico. Il significato della composizione viene ad acquistare così un risentito sapore cavalleresco ed aristocratico. Il panneggio delle figure non ha ancora raggiunto la disinvolta e spesso verbosa grazia che caratterizzerà la successiva scultura sassanide. Le pieghe cadono in verticale ed hanno una loro plastica pesantezza. Sul pettorale del cavallo di Ardashir si legge un'iscrizione trilingue (parsik, pahlevi, greco) alla quale fa da riscontro un'iscrizione in aramaico sulla spalla del cavallo del dio.
2) Il re Bahram (Vahram) II (276-293 d. C.), in piedi, è circondato dai membri della sua regale famiglia. Salito al trono in un momento critico dell'impero sassanide, Bahram II dovette simultaneamente difendere la propria corona da una guerra con Roma nelle marche occidentali e da una grossa rivolta nelle marche orientali. Egli - preso fra due fuochi - fu costretto così ad una umiliante pace con Roma alla quale cedette la Mesopotamia del N e l'Armenia.
Si tratta del rilievo scolpito cancellando un precedente rilievo elamita. Il re, col volto di profilo ed il corpo frontale, sta al centro, mentre ai due lati convergono verso di lui parenti e cortigiani rappresentati a mezzo busto.
3) Bahram II (?) combatte a cavallo, la lancia in resta, contro un avversario romano (l'imperatore Caro ?). A sinistra, dietro al re, si nota la figura di un attendente che reca lo stendardo. Questo rilievo, insieme con i rilievi n. 5 e 7 di cui si parlerà tra breve, fa parte di un gruppo di opere databili verso la fine del III sec. anche se non sicuramente attribuibili a questo o a quel sovrano.
È particolarmente interessante vedere come il tema - notissimo in tutta l'arte iranica - della lotta a cavallo, sia stato risolto - qui - dagli scultori sassanidi ricorrendo alla convenzione del cosiddetto galoppo volante. Il galoppo volante con ogni probabilità ebbe origine tra gli Iranici esteriori e comunque fu diffuso in Persia ed in Mesopotamia durante l'impero arsacide; ciò dimostra, ancora una volta, quanto peso avessero, sul concreto articolarsi del pensiero artistico sassanide, molte suggestioni ed eredità estranee, o solo marginali, alla tradizione aulica degli Achemènidi.
4) Rilievo molto rovinato; si indovinano i contorni di un re seduto, visto di fronte, il quale si appoggia alla spada. Potrebbe trattarsi di Shapur II (309-379 d. C.).
5) Sotto al quarto rilievo. Rappresenta un cavaliere (probabilmente il re Hormuzd II; 303-309 d. C.) che disarciona con un colpo di lancia un nemico vestito alla romana. Dietro al re un attendente innalza lo stendardo.
6) Vittoria di Shapur I su Valeriano. Shapur (241-272), figlio di Ardashir, continuò l'opera del padre, volta, insieme al consolidamento interno dell'impero e alla conquista di sempre nuove province. La sua prima azione bellica fu contro i Kuṣāna, rei di una politica filo-arsacide e filo-romana. Egli travolse e distrusse con selvaggia violenza le resistenze degli avversarî e penetrò a S dell'Hindu Kush fin oltre Peshawar, ed a N fino nel cuore della Transoxiana (la spedizione è ricordata in una lunga iscrizione venuta alla luce nella Ka'hba-i Zardust, a Naqsh-i Rustam).
Voltosi quindi verso l'Occidente, Shapur ottenne una prima volta dal debole Filippo l'Arabo, l'Armenia e la Mesopotamia e, quindici anni dopo, conquistò Antiochia e gran parte della Siria, vincendo presso Edessa (260 d. C.) l'imperatore Valeriano. Nella rotta lo stesso Valeriano fu fatto prigioniero insieme con circa 70.000 legionari. Tale glorioso episodio rimase una pietra miliare nella storia del regno di Shapur. Ben cinque rilievi, sparsi su varî promontorî rocciosi del Fars, ricordano ed ingigantiscono l'avvenimento.
In campo religioso Shapur I donò la propria protezione a Mani, forse sperando di trovare nella nuova religione sincretistica un ulteriore, potente elemento coesivo per il proprio vasto impero.
Si tratta con molta probabilità del primo rilievo scolpito da Shapur per commemorare la vittoria di Edessa. L'imperatore romano, in ginocchio, il corto mantello gonfiato dal vento, chiede pietà al re persiano il quale avanza a cavallo da destra. Shapur solleva la mano di un personaggio in vesti occidentali (probabilmente si tratta di Cyriades) per infeudarlo del titolo di imperatore romano. Questa interpretazione storica dell'avvenimento, per il suo carattere ovviamente presuntuoso ed arbitrario, rientra perfettamente nel tono magniloquente ed eroico della storiografia di corte sassanide.
L'immagine dell'imperatore Valeriano rivela per molti versi una forte influenza occidentale, specie se messa a confronto con l'impassibile monumentalità degli altri personaggi. Si vedano a questo proposito il drammatico dinamismo della sua posizione e la testa che ha il carattere di un ritratto naturalistico e può essere avvicinata al profilo delle monete.
Il panneggio delle figure sembra imitare tessuti serici; esso si increspa come sconvolto dal vento e si dispone sulla potente struttura dei corpi in molteplici, contorte e trite piegoline.
Questa tecnica, elegante ed un poco oziosa, rimarrà, nell'arte sassanide, come una delle caratteristiche esteriori più immediatamente individuabili.
7) Due rilievi con lotte a cavallo. In alto un re (Bahram II?) colpisce all'addome con la lancia un avversario il cui cavallo, per la violenza dell'urto, crolla sugli arti posteriori. La scena certo descrive un preciso episodio storico e per questo la testa del re è priva della corona. A sinistra si distingue lo stendardo sassanide. L'insieme della composizione è del tutto simile al rilievo n. 3.
In basso si vede un'altra scena di combattimento.
8) L'investitura divina di Narsah (Narse). Narsah (293-302 d. C.), figlio cadetto di Shapur I, si insediò sul trono dopo avere deposto il debole Bahram III. Il suo regno non fu molto brillante ed iniziò con un disastro militare durante una guerra contro Roma. Tutta la famiglia imperiale cadde in mano nemica e per ottenere la pace il re fu costretto a cedere la Piccola Armenia ed altre terre al di là del Tigri. Alla sua morte salì al trono Hormuzd II (303-309 d. C.).
Narsah in piedi, riceve la corona del potere dalle mani della dea Anāhitā che sta all'estremità destra del rilievo. Dietro al re si scorge un gran vizir in attitudine di omaggio, insieme con un altro personaggio non terminato. Tra il re e la dea è scolpita la figura di un fanciullo che rappresenta di certo il principe ereditario. La composizione del rilievo testimonia l'esistenza, in seno all'arte imperiale sassanide, di una corrente più libera e "borghese". Ciò non solo per la sostituzione di Ahuramazdāh con la popolare Anāhitā, ma anche per la minore rigidità aulica e la meno rigorosa simmetria della scena.
A sinistra dei rilievi si innalzano due altari del fuoco gemelli, di epoca sassanide. Tagliati nella roccia viva, sono di grandezza differente ed hanno la forma di un piramide mozza. I quattro lati presentano archi a tutto sesto posati su quattro pilastri d'angolo, al disotto di un terrazzo merlato. Nella cavità centrale veniva acceso il fuoco sacro che bruciava per i fedeli.
Di fronte alla tomba di Dario I alcuni saggi di scavo compiuti dallo Schmidt, hanno portato alla luce, oltre a strati achemènidi e sassanidi, uno strato islamico antico.
Naqsh-i rustam - darabgird. - Località presso l'odierna Dara (Iran), da non confondersi con il sito precedente.
In fondo ad una nicchia tagliata nella parete rocciosa di un monte si trova un grande rilievo che rappresenta la vittoria di Shapur I su Valeriano. Il re occupa il centro della composizione. Gli zoccoli del suo cavallo calpestano il corpo di un romano vinto, mentre davanti a lui, prosternato secondo l'usuale iconografia, Valeriano chiede pietà. Le teste di una quindicina di soldati romani, un cavallo ed un carro, compaiono dietro all'imperatore e sullo sfondo si allineano quattro file di dignitari persiani.
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