Nanostrutture
Il controllo preciso e la manipolazione dei singoli atomi hanno recentemente reso possibile la fabbricazione di strutture artificiali di dimensioni nanometriche che possiedono nuove proprietà estremamente interessanti. Queste strutture sono spesso denominate nanostrutture e rappresentano la frontiera del progresso della tecnologia dei materiali. Una nanostruttura è costituita da un insieme di atomi le cui dimensioni, in una, due o tre direzioni, sono dell'ordine di grandezza del nanometro (1 nm=10−9 m). Tenendo presente che un atomo di idrogeno ha un raggio di 0,05 nm mentre le distanze interatomiche nei solidi sono dell'ordine di 0,3 nm, una nanostruttura a due dimensioni di 3 nm risulta essere composta da circa 10 strati di atomi. Nel caso particolare in cui la struttura è limitata in tutte e tre le direzioni spaziali, la chiameremo punto quantico, piccolo agglomerato costituito quindi da un insieme di 103÷105 atomi. Con il temine nanotecnologia si intende la fabbricazione e il controllo delle nanostrutture. In effetti è fondamentale ottenere non soltanto oggetti piccoli, ma oggetti di cui si controllino le dimensioni nanometriche con un processo di costruzione atomo per atomo al fine di ottenere proprietà particolari e importanti.
Le nanostrutture possono essere generalmente costruite con due metodi differenti. Il primo rappresenta un approccio top-down, nel senso che la fabbricazione della nanostruttura parte da aggregati macroscopici e procede verso il basso con riduzione delle dimensioni e riordinamenti successivi. Questo metodo è un'estensione delle microtecnologie che, su scala microscopica (1 μm=10−6 m) hanno determinato il successo della microelettronica e della fabbricazione dei circuiti integrati. Il secondo metodo, invece, rappresenta un approccio bottom-up, nel quale si costruisce un nanooggetto da zero, atomo dopo atomo, come nei giochi di costruzioni per bambini, dove i mattoncini sono sostituiti dai singoli atomi. Chiaramente, entrambi i metodi richiedono tecnologie estremamente sofisticate. I metodi del tipo top-down sono in genere basati su litografie dove uno schema macroscopico precedentemente disegnato viene notevolmente rimpicciolito e riportato su una matrice. I metodi bottom-up si basano su reazioni chimiche e manipolazioni atomiche.
Un'importante rivoluzione nella nanoscienza si è avuta nel 1981 presso i laboratori dell'IBM di Zurigo con l'invenzione del microscopio a scansione a effetto tunnel o STM (Scanning tunneling microscope), capace di visualizzare i singoli atomi (risultato del lavoro di Gerd Binnig e Heinrich Rohrer, premi Nobel per la fisica nel 1986). Questo strumento si basa su una punta acuminata che viene fatta scorrere su una superficie. Una debole corrente elettrica passa dalla punta metallica verso il primo atomo della superficie; l'intensità della corrente aumenta esponenzialmente al diminuire della distanza tra la punta e la superficie. Il passaggio di corrente è permesso dall'effetto tunnel, un fenomeno previsto dalla meccanica quantistica. Nello STM l'intensità della corrente dovuta a tale effetto permette di identificare esattamente la posizione occupata dall'atomo sulla superficie.
Visualizzare gli atomi è molto importante nella nanoscienza; d'altro canto manipolare e spostare gli atomi per costruire nuove strutture è parimenti di fondamentale importanza.
I pozzi quantici, generalmente, sono prodotti mediante crescita di strati epitassiali di alta qualità composti da semiconduttori differenti. Le metodologie di crescita sono l'epitassia da fasci molecolari o MBE (Molecular beam epitaxy) o la deposizione chimica da fase vapore di composti metallorganici o MOCVD (Metallorganic chemical vapour deposition). Nella tecnica MBE un flusso di atomi viene fatto evaporare da celle di effusione a intensità estremamente basse e depositare sopra un substrato monocristallino. Ciò permette di controllare la deposizione a livello del singolo strato atomico. Nella camera di crescita, il vuoto è mantenuto a valori molto elevati (10−11 Torr) allo scopo di evitare eventuali contaminazioni dall'ambiente. Variazioni nelle specie atomiche depositate rendono possibile la produzione di multistrati con interfacce fra uno strato e il successivo definite a livello del singolo piano atomico. Inoltre, la crescita di questi strati può avvenire con gli atomi orientati seguendo strutture cristalline ben definite (epitassia).
I fili e i punti quantici possono essere prodotti in molti modi diversi. Per esempio, i nanocristalli possono essere formati mediante la chimica colloidale. Questo metodo è generalmente usato nella produzione di punti quantici di semiconduttori composti (cioè semiconduttori formati da elementi del II e VI o del III e V Gruppo della tavola periodica). La tecnica di composizione dei colloidi a monodispersione è antica e la si può far risalire alla sintesi dei colloidi d'oro effettuata da Michael Faraday nel 1857. Il suo uso nella nanofabbricazione è invece assai recente. Un metodo generale per la formazione di punti quantici colloidali di semiconduttori II-VI sfrutta l'inserimento rapido di una soluzione di reagenti chimici, contenenti specie del II e del VI Gruppo della tavola periodica, in un solvente ad alta temperatura in grado di coordinarsi con gli atomi della superficie delle particelle precipitate. Di conseguenza, in una prima fase, si forma un gran numero di centri di nucleazione per particelle di semiconduttore. I legami di coordinazione con il solvente caldo, poi, impediscono o limitano la crescita delle particelle (che tipicamente avviene tramite il cosiddetto processo di Ostwald ripening, consistente nella crescita delle particelle più grandi a spese delle più piccole per minimizzare l'energia libera superficiale più alta associata con le particelle minori). Un successivo restringimento nella distribuzione delle dimensioni è ottenuto tramite induzione di precipitazioni selettive di particelle più grandi. Questo metodo consente il controllo delle dimensioni dei punti quantici al livello di qualche punto percentuale del diametro medio.
I punti quantici di silicio sono prodotti con metodi diversi. Un modo generale consiste nella formazione di uno strato di SiO2 arricchito in silicio, cui si attribuisce la formula stechiometrica SiOx con x〈2. Ciò avviene sia mediante deposizione chimica da fase vapore sia mediante impiantazione ionica di silicio in strati di SiO2. Nel primo caso un flusso di gas di SiH4 e di N2O è introdotto in un reattore dove avviene la deposizione. Il rapporto tra Si e O depositati può essere modificato e controllato agendo sul rapporto dei flussi dei due gas. Nel secondo caso si produce, in un acceleratore, un fascio energetico di ioni di silicio, il quale viene indirizzato contro un bersaglio di SiO2 stechiometrico. Questo metodo è denominato impiantazione ionica perché gli ioni energetici sono impiantati nel bersaglio mediante penetrazione in esso. Il numero di ioni impiantati può essere facilmente controllato misurando, durante il processo, la corrente di ioni sul bersaglio che rappresenta l'eccesso di Si in soluzione con SiO2. In entrambi i casi un trattamento termico ad alta temperatura (>1000 °C) di questa soluzione solida sovrasatura causa una separazione di fase tra SiO2 isolante e Si semiconduttore. Quando iniziano a formarsi nuclei di silicio, questi tendono ad aggregare altri atomi di Si dando origine a piccoli nanocristalli di silicio all'interno del SiO2.
In questo metodo l'Ostwald ripening gioca un ruolo importante e la distribuzione finale delle dimensioni delle nanoparticelle è più larga di quella ottenuta con metodi colloidali. Un metodo ulteriore per produrre nanostrutture di silicio consiste nell'attacco elettrochimico del silicio che porta alla formazione del cosiddetto silicio poroso, un insieme di filamenti molto sottili di silicio nanometrico circondati da grandi spazi vuoti. Questa procedura era nota da molto tempo, ma soltanto nel 1990 Leigh Canham scoprì, presso la Defence Research Agency di Malvern (UK), le proprietà quantistiche dovute alle dimensioni nanometriche di queste strutture.
Tutti i metodi descritti finora consistono in una sorta di autoassemblaggio della nanostruttura. La realizzazione di nanostrutture può anche avvenire mediante metodi nanolitografici. La litografia è largamente usata nell'industria microelettronica per la fabbricazione di dispositivi elettronici. In questo metodo si illumina un fotoresist (tipicamente un materiale polimerico) depositato uniformemente sul substrato parzialmente protetto dalla luce da un'opportuna maschera. Il fotoresist è quindi illuminato seguendo un disegno stabilito. Nelle regioni irraggiate, le proprietà del fotoresist cambiano ed esso diventa più resistente (o più morbido, a seconda del materiale scelto). Ciò è dovuto al fatto che i legami molecolari nel resist sono rotti e ridisposti a causa dell'irraggiamento. L'immersione in un particolare solvente determina la rimozione di tutto il resist a eccezione delle regioni irraggiate (o viceversa a seconda del tipo di resist). Un successivo processo di attacco anisotropo mediante ioni reattivi determina una rimozione direzionale di tutte le zone del campione che non sono state precedentemente illuminate e quindi protette.
È evidente, perciò, che la litografia rende possibile la produzione di strutture dalle forme differenti (sfere, fili, colonne) e, al contrario degli autoassemblati, possono essere facilmente ottenute strutture ordinate e distribuzioni ben definite. Il problema principale nella produzione di nanostrutture mediante litografia è rappresentato dalla dimensione minima che può essere raggiunta. Le dimensioni minime sono normalmente limitate dalla diffrazione. Infatti, indipendentemente dalla grandezza delle aperture nella maschera, la regione minima illuminata è dell'ordine della lunghezza d'onda della radiazione utilizzata. Le lunghezze d'onda della luce nell'intervallo visibile (400÷700 nm) sono in effetti inadatte a definire strutture nanometriche. La litografia, per la realizzazione di nanostrutture, deve essere eseguita con radiazione elettromagnetica di piccola lunghezza d'onda (per es., raggi X prodotti negli impianti che forniscono radiazione di sincrotrone) o con fasci di elettroni estremamente collimati (litografia e-beam). In quest'ultimo caso, le protezioni non sono necessarie perché un pennello nanometrico di elettroni colpisce direttamente il resist. Tutti questi metodi rappresentano alcuni esempi di nanofabbricazione. Nella fig. 5 sono riportate schematicamente le strutture che possono essere ottenute con queste procedure.
Tra le proprietà più interessanti delle nanostrutture a semiconduttore vi sono le proprietà ottiche. In alcuni semiconduttori la ricombinazione di un elettrone della banda di conduzione con una lacuna nella banda di valenza causa l'emissione di un fotone la cui energia è uguale all'ampiezza del gap. Nei punti quantici la quantizzazione dei livelli di energia determina un incremento dell'energia dei fotoni emessi; più è piccola la nanostruttura (più il gap è largo) e più sono energetici i fotoni emessi. Ciò è mostrato nella fig. 6, dove sono riportati gli spettri di luminescenza per punti quantici di diverso diametro, compreso tra 5 e 1 mm. La luminescenza ha un netto spostamento verso il blu quando la dimensione del punto quantico diminuisce. Un controllo sulla dimensione del nanocristallo, quindi, può essere effettuato misurando la lunghezza d'onda della luce emessa. Nonostante la natura atomica degli stati elettronici del nanocristallo, gli spettri di luminescenza mostrano un andamento gaussiano con distribuzioni di energia relativamente estese. Ciò è dovuto al fatto che l'eccitazione e la successiva diseccitazione coinvolgono un insieme di punti quantici con dimensioni differenti.
Uno tra i maggiori progressi nello studio dei nanocristalli è rappresentato dall'osservazione della luminescenza proveniente da singoli punti quantici. Questo determina un considerevole miglioramento nella nostra conoscenza, perché normalmente le proprietà fisiche del singolo punto sono nascoste all'interno di grossi insiemi di nanocristalli di dimensioni differenti. Per effettuare tali studi sono necessarie soluzioni di nanocristalli estremamente diluite nelle quali, affinché la risoluzione ottica sia tale da apprezzare il singolo punto quantico, lo spazio tra l'uno e l'altro sia di almeno 1 μm. Lo spettro di un singolo punto quantico, infatti, rivela righe ottiche estremamente strette (con larghezze minori di kT come negli spettri atomici). Osservando la luminescenza da un punto quantico singolo, esso, comunque, sembra lampeggiare in modo irregolare. Il picco di luminescenza di un punto quantico singolo mostra ogni volta uno spostamento in energia. L'effetto può essere spiegato come un fenomeno di elettrizzazione in cui una carica vicina induce un campo elettrico attraverso il punto quantico, causando uno spostamento Stark dell'energia della luminescenza (infatti un'interazione del punto quantico con il campo elettrico determina un effetto sulla posizione dei livelli di energia).
Vale la pena osservare che, nei laser basati sulle strutture quantiche, non solo è possibile regolare con continuità la lunghezza d'onda, ma la corrente di soglia necessaria a innescare l'azione laser è anche considerevolmente ridotta rispetto a strutture normali. Tale caratteristica è dovuta al fatto che nelle nanostrutture la densità di stati è fortemente modificata. Questi laser possono emettere sia lateralmente (Edge emitting laser) sia verticalmente (Vertical cavity surface emitting laser), ma l'azione laser è indotta sempre dall'inversione della popolazione tra la banda di conduzione e la banda di valenza. Una struttura innovativa e completamente differente, denominata laser a cascata quantica, è stata inventata da Federico Capasso e collaboratori nel 1994. In questo caso l'inversione di popolazione e l'azione del laser avvengono in una sottobanda e si ha una transizione intersottobanda (fig.7). Tale struttura necessita di molti pozzi quantici diversi, che, una volta polarizzati applicando agli estremi un'opportuna differenza di potenziale, formano una struttura a scala: un elettrone che si diseccita mediante emissione stimolata nel primo pozzo è iniettato in risonanza nel pozzo adiacente, nel quale occupa il livello superiore ed è quindi pronto per un'altra emissione stimolata.
Il processo si ripete lungo la struttura dando luogo a una sorta di cascata, cosicché un singolo elettrone causa un gran numero di emissioni stimolate. Nei laser a cascata quantica l'energia dei fotoni può essere regolata facilmente modificando le dimensioni della buca quantica, come negli altri laser a semiconduttore. A differenza degli altri laser, però, il processo è unipolare, riguardando soltanto un tipo di portatore, e l'energia dei fotoni è generalmente molto minore della larghezza di gap (la lunghezza d'onda tipica della radiazione emessa da questo tipo di laser è di diversi μm). Sebbene i laser a cascata quantica siano stati inizialmente costruiti con i semiconduttori composti III-V, l'elettroluminescenza nelle strutture a cascata quantica è stata ottenuta di recente in eterostrutture Si/SiGe. Benché a oggi un laser a semiconduttore del IV Gruppo non sia stato ancora fabbricato, tale metodo sembra molto promettente.
Il silicio, semiconduttore principale nell'industria microelettronica, è stato considerato per lungo tempo inadatto in applicazioni di optoelettronica, che è rimasta dominio dei semiconduttori III-V e delle fibre vetrose. Ciò è dovuto principalmente al gap indiretto del silicio, che lo rende uno scarso emettitore, e all'assenza di effetti elettro-ottici lineari. L'enorme progresso degli ultimi anni nella tecnologia delle comunicazioni ha determinato una richiesta crescente di funzioni optoelettroniche integrate in circuiti elettronici. Ciò permetterebbe di accoppiare le capacità di trattare informazioni proprie della microelettronica con le efficienti proprietà di interconnessione dell'optoelettronica. In linea di principio, il silicio sarebbe il materiale più adatto, grazie alla grande maturità delle sue tecnologie di processo e al suo dominio incontrastato in microelettronica; l'assenza di efficienti sorgenti di luce al silicio rappresenta però un serio limite alla sua utilizzazione. Un notevole impegno è stato indirizzato di recente verso lo studio di tutti quei processi che permettono di aggirare questa difficoltà.
A partire dalla scoperta dell'emissione di luce dal silicio poroso la comunità scientifica ha concentrato i propri sforzi sullo studio di nanostrutture al silicio. Queste strutture comprendono, oltre al silicio poroso, anche i nanocristalli prodotti con tecniche diverse. Il confinamento dei portatori nei punti quantici aumenta la probabilità di emissione radiativa e riduce quella dei fenomeni competitivi di ricombinazione non radiativa. L'effetto netto è un'emissione di molti ordini di grandezza più intensa rispetto al silicio cristallino. Il problema iniziale, relativo all'instabilità nell'emissione di luminescenza, è stato infine risolto e attualmente vengono prodotte strutture stabili e affidabili, compatibili con la tecnologia del silicio. In particolare, sono stati fabbricati dispositivi elettroluminescenti basati su ossido di silicio substechiometrico (più ricco in silicio rispetto al biossido), integrati in circuiti microelettronici al silicio. Inoltre, sono stati ottenuti guadagni ottici e amplificazioni nei nanocristalli al silicio, aprendo la strada a possibili future realizzazioni di laser al silicio basate sui punti quantici.
Le nanotecnologie possono essere usate nella produzione di cristalli artificiali, denominati cristalli fotonici, che stanno rivoluzionando la fotonica moderna e le comunicazioni. Per comprendere le proprietà di tali cristalli artificiali, possiamo partire da quelli convenzionali. Un cristallo è una disposizione periodica di atomi, e quindi quando un blocco elementare è ripetuto nello spazio si ha un reticolo cristallino. Dal punto di vista di un elettrone, un reticolo cristallino è un potenziale coulombiano periodico. Dato che gli elettroni si comportano come onde di materia, la loro propagazione in tali strutture è determinata dall'equazione di Schrödinger e le soluzioni sono costituite dalle note funzioni d'onda di Bloch. In particolare, come conseguenza della diffrazione, il reticolo può introdurre un gap nella struttura a bande di energia, vale a dire un'impossibilità per gli elettroni di propagarsi in certe direzioni spaziali con determinate energie.
Mentre questi concetti sono stati usati estensivamente negli studi e nella comprensione delle proprietà dei semiconduttori, soltanto recentemente si è studiato l'analogo per i fotoni. Questo analogo fotonico è il cosiddetto cristallo fotonico, nel quale il reticolo è formato da una disposizione ordinata nello spazio di materiali dielettrici diversi che determinano una variazione ordinata della costante dielettrica. Se le costanti dielettriche dei materiali sono abbastanza differenti e se l'assorbimento della luce è trascurabile, allora la dispersione di luce in corrispondenza delle interfacce produce effetti simili a quelli ai quali sono sottoposti gli elettroni in un reticolo atomico. Ciò significa che in un cristallo fotonico possono esserci gap di energia (cioè fotoni di una certa energia non possono propagarvisi). Questo fatto permette di manipolare i fotoni. Per esempio è possibile realizzare cristalli fotonici aventi gap di banda fotonica in modo che alla luce sia impedito di propagarsi a determinate energie secondo determinate direzioni. Questo significa che, introducendo imperfezioni all'interno di un cristallo fotonico, è anche possibile creare separatori e guide d'onda con proprietà avanzate (per es., una curva di 90°). L'effettiva produzione di cristalli fotonici è attualmente oggetto di studi estensivi. Essi possono essere realizzati in molti modi diversi, ma in ogni caso le nanotecnologie, la manipolazione e il controllo della materia a livello atomico rappresentano requisiti necessari.
Un effetto elettrico caratteristico delle nanostrutture è il cosiddetto Coulomb blockade. Esso rappresenta il fondamento dei dispositivi a elettrone singolo ed è un effetto classico che avviene in presenza di capacità molto ridotte: il trasferimento di un elettrone in un condensatore (con una capacità estremamente piccola, dell'ordine dell'attofarad) si traduce in un corrispondente potenziale negativo che supera l'energia termica kT (dove k è la costante di Boltzmann e T è la temperatura espressa in kelvin). Ciò inibisce il passaggio di un secondo elettrone, a meno di non aumentare la differenza di potenziale di iniezione. La fig. 9 mostra schematicamente il fenomeno. L'iniezione di un elettrone in una buca quantica modifica le energie impedendo ulteriori immissioni di elettroni. Il dispositivo è generalmente composto da una sorgente di elettroni (per es., silicio cristallino), un pozzo per l'uscita degli elettroni (anch'esso fatto di silicio cristallino) con un punto quantico nel mezzo. Il punto quantico è separato dalla sorgente e dal pozzo da due strati di ossido estremamente sottili (che sono isolanti e costituiscono la barriera per gli elettroni). Gli elettroni penetrano e attraversano il punto quantico grazie all'effetto tunnel. Questo schema rappresenta, con una porta di controllo che permetta di modificare il potenziale sul punto, la base per un transistor a elettrone singolo (SET, Single electron transistor). Tutte le dimensioni della struttura devono essere accuratamente determinate in relazione alla temperatura, affinché la capacità del punto C rispetto agli strati vicini sia tale che: e2/2C>KT essendo e la carica dell'elettrone. La formula mostra che l'energia del campo elettrostatico deve essere maggiore dell'energia termica. L'invenzione delle memorie a elettrone singolo operanti a temperatura ambiente ha rappresentato un grosso passo in avanti in microelettronica. L'effetto di memoria fu osservato per la prima volta in uno strato di polisilicio, dove potevano essere immagazzinate molte cariche elettriche con l'effetto di modificare la tensione di soglia per la formazione del canale di conduzione. La presenza o meno delle cariche nel polisilicio (floating gate) rappresenta l'informazione (stati 0 e 1). Più di recente, si è mostrato che i nanocristalli incorporati in SiO2 possano agire come floating gate in dispositivi di memoria. Il processo consiste nel caricare il punto quantico con un elettrone mediante effetto tunnel. Il punto quantico carico modifica la tensione di soglia per la formazione di un canale tra una sorgente e un pozzo. Il processo generale è, in linea di principio, simile a ciò che accade nelle EEPROM (Electrically erasable programmable read only memory), ma in questo caso tutte le dimensioni sono estremamente ridotte. I problemi sono relativi al trattenimento della carica, dato che una perdita dell'elettrone intrappolato costituisce una perdita totale dell'informazione immagazzinata. Quando memorie affidabili a elettrone singolo, basate su nanostrutture, saranno disponibili in commercio, si avrà, a parità di capacità di memoria, una drastica riduzione nelle dimensioni dei dispositivi.
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