MYLIUS
– Famiglia di imprenditori di origini austriache impegnata nel settore bancario, nel commercio e nella produzione tessile in molti paesi europei; fu attiva a Milano e in altre aree dell’Italia settentrionale per quattro generazioni, dalla fine del Settecento agli anni Trenta del XX secolo. Heinrich (Enrico), capostipite del ramo italiano della dinastia, nacque a Francoforte sul Meno il 14 marzo 1769, ultimo dei 13 figli di Johann Christoph, viennese di nascita e trasferitosi a Francoforte per lavorare presso la casa bancaria Neufville, e di Dorothea Kraus, originaria di Weimar. Ebbe una formazione scolastica piuttosto breve, limitata, stando alle scarne notizie disponibili, al ciclo elementare. Giovanissimo iniziò a collaborare con il fratello maggiore Johann Jacob, socio della casa mercantile Mylius und Aldebert, con affari e filiali nelle principali piazze europee: già nel 1788, a soli 22 anni, ebbe, secondo alcune fonti (I Mylius-Vigoni, 1994, p. 10 n. 4), la direzione della succursale milanese della ditta.
Allorché, nel 1803, la casa Mylius-Aldebert notificò alla Camera di commercio di Milano l’esercizio dell’attività di «commercio di pannine e cotonine», Enrico ne era certamente responsabile. Nel 1811 l’oggetto sociale dell’azienda si tramutò nel «negozio di manifatture» e la denominazione in Enrico Mylius. Nel 1818, in una nuova registrazione camerale, la ditta divenuta Enrico Mylius e C. in seguito all’ingresso di due nuovi soci (tra i quali il nipote ex frate, Georg Melchior), precisò che gli affari si estendevano al «ramo seta», settore all’epoca particolarmente remunerativo e in straordinario sviluppo. Nel 1828 la Mylius e C. fu censita in una guida cittadina come impegnata nella produzione e commercio di seta e cascami; nel 1833 la casa richiese alla Camera di commercio la cancellazione come «negoziante in manifatture» e l’iscrizione come «negoziante in banca e seta».
Pochi, ricchi ed influenti erano nella Milano della Restaurazione i negozianti in banca e seta, vera e propria élite dell’imprenditoria cittadina. Abili sia nel cogliere le opportunità di profitto insite nelle frequenti oscillazioni dell’offerta di una materia prima legata al ciclo agricolo (i bozzoli), sia nel gestire le vendite su mercati lontani, inglesi e mitteleuropei, dove meccanizzate tessiture ed avanzate stamperie domandavano seta grezza o semilavorata, accumularono, nel corso della Restaurazione straordinari profitti. Come molti altri imprenditori e mercanti del settore serico, Mylius si dedicò, oltre che alla commercializzazione, anche alla prima fase di lavorazione della seta, la trattura. Probabilmente nel 1813 fece costruire una filanda a Boffalora sul Ticino, divenuta celebre sia per la rappresentazione pittorica che ne fece, nel 1828, l’artista piemontese Giovanni Migliara, sia per le numerose menzioni ricevute in varie sedi, deputate all’epoca a celebrare meccanizzazione e progresso. Nella filanda di Boffalora era stato introdotto e con successo sperimentato il nuovo metodo della filatura a freddo, che consentiva la produzione di seta di migliore qualità e un sensibile risparmio di combustibile (torba) in virtù del fatto che una caldaia centrale inviava acqua già preriscaldata alle singole bacinelle nelle quali si traeva la seta dai bozzoli. Lo stabilimento, vera e propria ‘icona della modernità’, ospitava anche un laboratorio per lo studio di nuovi procedimenti di tintura diretto dal chimico Antonio de Kramer e fu indicato come modello da emulare – e in effetti riproposto a Potsdam – da Wilhem von Turk, inviato dal governo prussiano nel 1827 nel Nord Italia per studiare i metodi di produzione e lavorazione della seta.
La filanda di Boffalora utilizzava forza motrice idraulica per il funzionamento simultaneo degli aspi mediante un congegno – così si legge sulla stampa tecnica coeva – «in parte inventato, in parte perfezionato» da Giulio, unico figlio di Enrico e di Federica Cristina Schnauss (1771-1851). Nato a Milano nel 1800, a un anno dalle nozze dei genitori celebrate a Weimar, ebbe una formazione ingegneristica e divenne socio dell’azienda paterna nel 1825. Per conto della ditta risulta abbia compiuto numerosi viaggi d’affari nel Sud Italia per poi occuparsi stabilmente della succursale di Trieste, città in cui, a pochi giorni dal fortemente contrastato matrimonio con Luigia Vitali, il 26 aprile 1830, da tempo affetto da inguaribile malattia morì.
Enrico, colpito dal grave lutto, tenne presso di sé la giovane nuora, alla quale spettò l’onere e l’onore di conservare e accrescere la straordinaria raccolta di opere d’arte che egli, filantropo e mecenate, aveva avviato presso la propria villa di Loveno sul lago di Como, luogo deputato a celebrare il ricordo del figlio e nel contempo a favorire incontri e scambi tra intellettuali italiani e tedeschi: Goethe, Manzoni, Cattaneo, d’Azeglio, Hayez sono alcuni dei personaggi che lì furono ospitati.
Luigia Vitali sposò in seconde nozze il patriota risorgimentale Ignazio Vigoni, e uno dei loro figli, Giuseppe ereditò la villa, oramai divenuta Vigoni-Mylius e la lasciò al suo unico figlio Ignazio; questi, privo di eredi, la legò nel 1983 alla Repubblica federale di Germania. È ora sede del centro italo-tedesco per l’eccellenza europea.
Alla Enrico e C. di Milano, oltre a Giulio, erano stati associati, come già ricordato, Georg Melchior (1795-1857) nel 1818 e Heinrich (1792-1862) nel 1825, due dei figli di Johan Jacob, fratello di Enrico. Nei primi anni Trenta, quest’ultimo pur mantenendo nella ditta una forte interessenza e, con buona probabilità, sovraintendendo di fatto al suo andamento, lasciò ai nipoti la responsabilità formale della conduzione degli affari per dedicarsi alla vita pubblica e alla diffusione di ciò che, al tempo, si chiamava ‘cultura industriale’.
Assessore presso il Tribunale mercantile e di cambio, membro della Commissione consulente di commercio, industria e agricoltura e vice presidente della Camera di commercio di Milano, Enrico Mylius, di religione protestante, uomo dalla mentalità cosmopolita e dai forti legami internazionali fu l’artefice della più significativa e progressiva tra le istituzioni milanesi: la Società di incoraggiamento d’arti e mestieri, creata con il sostegno del locale ceto imprenditoriale e la collaborazione di intellettuali, scienziati e pubblicisti, tra i quali Carlo Cattaneo. Il modello erano le istituzioni politecniche che all’epoca stavano nascendo nei più avanzati paesi europei, l’obiettivo era dotare anche il capoluogo lombardo di un istituto atto a formare tecnici e operai per la nascente industria. Originariamente impegnata soltanto nell’assegnazione di premi e riconoscimenti ad artigiani, inventori e operatori economici distintisi nell’introduzione di procedimenti innovativi, nel 1844, con l’apertura della Scuola di chimica industriale, generosamente finanziata da Mylius, la Società avviò quella attività di formazione tecnica e professionale che ancor oggi la contraddistingue. Ai corsi di chimica fecero seguito quelli di fisica industriale, di geometria meccanica e di tessitura serica sino all’apertura di quella Scuola di meccanica che, diretta da Giuseppe Colombo, avrebbe dato vita nel 1863 al Politecnico di Milano. Mylius, vero e proprio animatore della Società, oltre che generoso finanziatore, ne mantenne la presidenza dal 1841, anno in cui si riuscì a perfezionarne la costituzione, sino al momento della morte, avvenuta a Milano il 21 aprile 1854.
Con la scomparsa di Enrico la ditta passò nelle mani di Heinrich e Georg Melchior, i quali proseguirono sia nell’attività di commercio in banca e seta, sia nel finanziamento di imprese di altri settori, tra le quali l’azienda meccanica Elvetica, futura Breda e C., alla cui costituzione Enrico aveva partecipato, nel 1846, in qualità di socio accomandante. I figli di Georg Melchior, Giulio (1835-1914) e Federico Enrico (1838-1891), così come quelli di Heinrich, Hermann (1822-1890) e John Frederick (1826-1897), ereditarono quote di capitale e responsabilità della E. Mylius e C. alla morte dei rispettivi genitori. Non si hanno notizie precise sul ruolo di Hermann, è noto invece che John Frederick, grazie al forte aiuto finanziario della madre Sofia Mennet rilevò la filiale di Genova della ditta milanese, la quale rimase a Giulio e Federico Enrico congiuntamente sino al 1879, allorché quest’ultimo ne uscì per dedicarsi ad attività imprenditoriali nel settore cotoniero.
Acquisita una filatura ad Arona e una tessitura a Besnate, Federico Enrico, nel 1898 costruì la grande filatura di Cogozzo (Brescia) e, nello stesso anno, promosse assieme ad altri cotonieri lombardi una delle prime società di capitali del settore cotoniero: il Cotonificio bergamasco con stabilimenti ad Albino e Ponte Nossa. Tra i soci promotori e fondatori della Società ceramica Richard (1873), della Società per la filatura dei cascami di seta (1872) e della Banca industriale e commerciale, acquisì quote in accomandita del linificio Butti e C. e sottoscrisse pacchetti azionari delle principali imprese bancarie a manifatturiere del tempo. Convinto sostenitore della comunità protestante ambrosiana, colto e appassionato collezionista di arte fu, dal 1886, presidente della Società per le belle arti e Permanente, alla quale in più occasioni concesse prestiti, onorati post mortem in virtù di un ragguardevole legato (lire 20.000).
Con esplicite disposizioni testamentarie, Federico Enrico ridusse la quota ereditaria delle figlie Camilla e Catulla, derogò, in accordo con la moglie Anna Richard – figlia di Giulio, industriale francese della ceramica – ai patti nuziali e assicurò all’unico figlio maschio, Giorgio (1870-1935), assieme alla ditta (nei 3 stabilimenti consolidati), risorse finanziarie sufficienti al proseguimento dell’attività imprenditoriale. Nonostante la cospicua dotazione ereditaria e l’ottima congiuntura dell’età giolittiana, Giorgio non riuscì a sviluppare gli affari e ad affrontare la crisi del settore cotoniero provocata dalla Grande Guerra. Probabilmente reso fragile anche dalla morte dell’unico figlio maschio, Enrico (1901-1926), e convinto di essere sull’orlo del fallimento, si suicidò nel 1935.
Come per altre dinastie imprenditoriali coeve, autoctone e straniere, furono essenzialmente problemi inerenti la successione imprenditoriale a determinare l’uscita dalla scena economica dei Mylius. Il fratello di Federico Enrico e zio di Giorgio, Giulio, dal suo matrimonio con Eugenia Schmutzinger (1838-1903) aveva avuto due femmine, una sola delle quali, Agnese (1860-1927), gli sopravvisse ed ereditò la casa mercantile e bancaria E. Mylius e C. La ditta aveva sempre mantenuto, anche dopo la morte del fondatore, la sua vocazione finanziaria: aveva sottoscritto azioni nel corso del boom ambrosiano degli anni Settanta e promosso, stando alle registrazioni della Camera di commercio di Milano, la nuova industria del latte condensato, fondando la Bohringer Mylius e C. nel 1879, con il probabile intento di avviare anche in Lombardia un’industria che stava avendo all’epoca grande successo in Svizzera. Nell’annuario delle banche italiane del 1917-18, la E. Mylius e C. compare come istituto privato del settore, ma nell’edizione del 1921-22 non ve ne è più traccia (I Mylius-Vigoni, 1994, p. 63).
Per tutto l’Ottocento, i Mylius diedero un contributo rilevante, se non determinante allo sviluppo economico, artistico e culturale della città e dell’intera regione, agendo spesso in sintonia e sinergia con altri mercanti e industriali, anch’essi stranieri, migrati a Milano dai paesi più avanzati dell’Europa continentale, e prevalentemente di religione protestante. Accorte strategie nuziali avevano rafforzato i legami di quella business community della quale certamente alcuni esponenti della famiglia Mylius erano state colonne portanti, sino a quando, come in molte altre storie di dinastie imprenditoriali, il combinarsi di fattori macroeconomici avversi – di grande rilevanza come il conflitto mondiale – e di vicende private legate alla scarsa disponibilità di eredi (maschi), impedì loro di continuare a svolgere il ruolo di protagonisti sulla scena economica regionale, nazionale ed internazionale.
Fonti e Bibl.: Informazioni sulla ditta E. Mylius e C. si trovano presso l’Arch. storico della Camera di commercio di Milano, fondo Registro Ditte, ad nomen; sono rintracciabili all’Arch. di Stato di Milano, Fondo Successioni, ad nomen, le denunce di Sofia Mennet e di Federico Enrico Mylius, utili per dettagli su patrimoni ed eredi. Su Giorgio e le attività dell’azienda si vedano anche, presso l’Archivio storico della Banca d’Italia, i fondi: Rapporti con l’estero, pratt., n. 4, f. 1; n. 316, f. 12; n. 383, f. 1; Sconti, pratt., n. 56, f. 1; n. 57, f. 1; n. 598, f. 1; Segreteria Particolare, pratt., n. 423, f. 1, sfasc. 70; Carte Beneduce, n. 58, f. 11; Carte Stringher, n. 23, f. 1, sfasc. 1; Consorzio sovvenzioni su valori industriali, pratt., n. 337, f. 19; n. 464, f. 5; n. 675, f. 3 e f. 11; n. 678, f. 5. Notizie biografiche esaurienti, su Enrico e sui rami Mylius e Vigoni della famiglia, in I Mylius-Vigoni. Italiani e tedeschi nel XIX e XX secolo, a cura di F. Baasner, Firenze 1994. Altre informazioni sulla vita, la formazione e l’attività di alcuni esponenti della famiglia in M. Poettinger, Imprenditori tedeschi nella Lombardia del primo Ottocento: spirito mercantile, capitale sociale ed industrializzazione, in Rivista di storia economica, XXIII (2007), 3, pp. 319-360 e Id., German entrepreneurial networks and the industrialization of Milan, in German Historical Institute London, Bulletin Supplement, 2011 n. 2: Cosmopolitan networks in commerce and Society 1660-1914, a cura di A. Gestrich - M. Schulte-Beerbühl, pp. 249-292. Delle innovazioni tecnologiche introdotte nella filanda di Boffalora si dà conto in pubblicazioni coeve: Giornale di fisica, chimica, storia naturale medicina ed arti, VIII (gennaio-febbraio 1825); Annali universali di tecnologia, di agricoltura, di economia rurale e domestica, di arti e di mestieri, II (ottobre-dicembre 1826). Sul ruolo di Enrico nella promozione della Società di incoraggiamento: C.G. Lacaita, L’intelligenza produttiva. Imprenditori, tecnici e operai nella Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri di Milano (1838-1988), Milano 1990, in particolare pp. 21-23; sull’attività della ditta e sulla personalità del suo fondatore: Rispettabilissimo Goethe, … caro Hayez, … adorato Thorvaldsen. Gusto e cultura europea nelle raccolte d’arte di E. M., a cura di R. Pavoni, Venezia 1999; C. Martignone, Imprenditori protestanti a Milano. 1850-1900, Milano 2001, ad ind.; M. Poettinger, Lo sviluppo economico lombardo nelle attività degli imprenditori tedeschi, in La tradizione rinnovata: da Enrico M. alla Sesto San Giovanni del futuro, a cura di G. Oldrini - A. Venturelli, Como 2006, pp. 49-103; Arti, tecnologia, progetto. Le esposizioni d’industria in Italia prima dell’Unità, a cura di G. Bigatti - S. Onger, Milano 2007, in particolare pp. 241-247.