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MUTAZIONE

di Giuseppe Montalenti - Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)
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MUTAZIONE (XXIV, p. 165)

Giuseppe Montalenti

Nel 1880 H. de Vries (v., XII, p. 711) trovò presso Hilversum in Olanda una pianta, la Oenothera lamarckiana che, sfuggita da qualche giardino, si era rinselvatichita e andava riproducendosi abbondantemente. Il botanico osservò che nel luogo dove aveva trovato l'Oenothera, esistevano anche due varietà ben distinte dalla forma tipica, che si mantennero costanti attraverso le successive generazioni per seme. Coltivata la Oenothera nel proprio giardino, poté poi constatare che dalla forma tipica si originavano, in percentuale più o meno elevata, diverse altre varietà, le quali si rivelavano pure costanti. I caratteri distintivi di tali varietà consistono, p. es.: nella statura più piccola (Oe. nanella) o più grande (Oe. gigas) del normale, nella larghezza delle foglie (Oe. lata), nel color rosso delle nervature (Oe. rubrinervis), ecc. A questo processo di subitanea formazione di nuovi tipi nel seno di una specie, il De Vries diede il nome di "mutazione", e sul fenomeno da lui scoperto edificò una teoria dell'evoluzione, secondo la quale alla base del processo evoluzionistico, anziché le variazioni graduali postulate dalla teoria darwiniana, stanno le mutazioni, che insorgono subitaneamente nel plasma germinale, senza apparente dipendenza dalle condizioni esterne, importano variazioni piuttosto notevoli, discontinue, nell'aspetto della specie, e sono subito e totalmente ereditarie.

Le mutazioni, alcune delle quali erano già conosciute dal Darwin, e anche prima, con i nomi di sports o single variations, furono poi riscontrate anche in altre piante e animali, e in primo luogo nel celebre moscerino del vino, Drosophila melanogaster, che ha dato origine, in cattività, a circa 500 mutazioni, le quali hanno fornito il punto di partenza per altrettante razze, il cui studio è servito di base al Morgan e alla sua scuola per l'edificazione delle moderne teorie sull'eredità (v. genetica, XVI, p. 509). Il concetto di mutazione, per la prima volta chiaramente espresso dal De Vries, si è dunque rivelato fecondo, e benché alquanto modificato, si è poi esteso a tutti gli organismi. S'ammette oggi, infatti, che l'insorgenza di mutazioni sia un fenomeno generale, proprio a tutti gli esseri viventi, probabilmente non limitato a un certo periodo della vita della specie (come supponeva il De Vries) e si definiscono le mutazioni come variazioni subitanee e discontinue, che avvengono nel plasma germinale, e sono perciò trasmissibili ai discendenti. Dal punto di vista della loro manifestazione somatica, esse possono essere di grande entità, tali da uscire dall'ambito della curva di variabilità normale per quel carattere, o quei caratteri che interessano, e perciò facilmente riconoscibili, oppure possono consistere in piccole variazioni esteriormente non distinguibili dalle variazioni non ereditarie fluttuanti (modificazioni o somazioni) e in tal caso soltanto l'esperimento genetico può accertarne la trasmissibilità ereditaria.

Esempî di mutazioni si trovano in quantità soprattutto fra gli animali domestici e le piante coltivate, che sono stati per lunghi anni sotto l'osservazione e il controllo dell'uomo e dove la selezione da questo esercitata ha fatto sì che le mutazioni più utili o più notevoli potessero conservarsi in altrettante razze distinte. Basta pensare alle numerose e varie razze dei cani, dei gatti, dei bovini, ovini, suini, ecc., dei polli, dei piccioni e di altri uccelli utili od ornamentali, dei pesci rossi (Carassius), ecc., per farsi un'idea di quali profonde variazioni possono comparire per mutazione. Dimensioni del corpo, forma dello scheletro, e in particolare del cranio, colore, consistenza, lunghezza, disposizione del rivestimento cutaneo (peli, penne, squame), presenza, forma, dimensione degli ornamenti del capo (corna, cresta, bargigli, ecc.) e molti altri caratteri morfologici possono subire, per mutazione, trasformazioni notevolissime dalla forma tipica: basta considerare un cane bull-dog, un pechinece, un bassotto e un San Bernardo, un coniglio selvatico e un Angora albino, un pollo livornese, un combattente e un Bantam, ecc., per persuadersi della vastità e varietà della gamma delle mutazioni. Devesi notare anche che talvolta i caratteri più accentuati si formano per gradi, in due o tre mutazioni successive, dirette nello stesso senso (mutazioni progressive). Connesse, o indipendenti da tali variazioni morfologiche, vi sono poi variazioni di carattere fisiologico, talvolta molto notevoli, e che l'uomo ha spesso sfruttato, selezionandole opportunamente: maggiore o minore produttività di latte o di carne o di uova, attitudine al lavoro, mansuetudine, istinti materni più o meno sviluppati, e talvolta curiose attitudini come quella dei topi danzatori, che camminano descrivendo cerchi, dei colombi capitombolanti, che fanno salti mortali durante il volo, ecc. Sono questi altrettanti esempî di caratteri fisiologici, comparsi per mutazione e selezionati a scopo utilitario o per diletto.

Lo stesso si può ripetere per le piante: cambiamenti della produttività, precocità, resistenza alle malattie e ai fattori climatici avversi, nonché una varietà infinita di colori e di forme delle varie parti, ma specialmente dei fiori, sono alcune delle mutazioni più frequenti, che determinano la numerosissima serie delle razze delle piante coltivate.

Lo studio delle mutazioni riveste una grandissima importanza, non soltanto dal punto di vista pratico, ma anche da quello teorico, in quanto sono queste le sole variazioni ereditarie fino a oggi sicuramente dimostrate, ed è pertanto su di esse che può basarsi una teoria dell'evoluzione la quale posi su dati sperimentali. In questi ultimi anni le ricerche sulle mutazioni sono state intensificate, e si sono potute distinguere tre categorie ben distinte di mutazioni:1. mutazioni cromosomiche; 2. mutazioni del genoma; 3. mutazioni fattoriali. Le prime consistono in rotture, frammentazioni, trasferimento di parti, fusioni, ecc., a carico di singoli cromosomi, i quali trasmettono fedelmente questi loro caratteri attraverso le successive generazioni; a tali alterazioni per lo più visibili dei cromosomi (v. genetica) corrispondono spesso variazioni più o meno notevoli nell'aspetto dell'animale o della pianta. Le mutazioni del genoma consistono nella presenza di uno o più cromosomi soprannumerarî oppure nell'assenza di qualche cromosoma: i casi più comuni sono quelli detti di poliploidia, in cui si ha un numero di cromosomi che, invece di essere diploide, cioè eguale a due volte il numero aploide n, è pari a 3n, 4n, 5n, ecc. Ne risulta spesso una maggiore dimensione delle cellule, e conseguentemente di tutto il corpo: per es., la Oenothera gigante risultò poi essere una mutazione tetraploide (4n = 28 cromosomi). Meno frequenti, ma pure presenti nelle piante, sono le mutazioni aploidi, con n cromosomi.

Alle mutazioni fattoriali non corrisponde alcuna alterazione visibile della compagine cromosomica, e perciò si ammette che consistano in mutazioni dei singoli fattori o geni (v. genetica) che presiedono all'estrinsecazione dei varî caratteri. Costituiscono la categoria più numerosa e importante di mutazioni.

S'ammette, come s'è detto, con buone basi sperimentali, che tutti gli organismi diano luogo a mutazioni; e se queste, in condizioni di vita libera, non dànno origine ad altrettante razze, ciò devesi soprattutto al fatto che le mutazioni insorgono generalmente allo stato eterozigote, cioè un solo membro delle coppie di fattori che si trovano nel genotipo muta indipendentemente dal suo omologo. Inoltre le mutazioni sono per la grande maggioranza recessive, e perciò, quand'anche potessero emergere, in seguito all'incontro di due riproduttori eterozigoti per quel carattere (in tal caso la teoria mendeliana prevede che un quarto dei figli sia omozigote, cioè abbia il carattere manifesto), se non rappresentano caratteri tali da costituire un netto vantaggio nella lotta per la vita, o se non vengono selezionate da qualche azione speciale, come potrebbe essere l'isolamento geografico, sarebbero in breve nuovamente sommerse dai caratteri dominanti. Poche sono infatti le mutazioni dominanti rispetto al tipo selvatico: nella Drosophila, che è l'animale geneticamente meglio conosciuto, le mutazioni dominanti (comprese quelle la cui dominanza è debole o irregolare) sono il 17%, delle mutazioni conosciute.

Recentemente si è riusciti a ottenere un notevole incremento del numero di mutazioni con varî mezzi sperimentali, di cui il più efficace è dato dai raggi X, o da altre radiazioni a onde corte, che si sono rivelati capaci di produrre sia mutazioni fattoriali, sia mutazioni cromosomiche (H.J. Muller, 1928). Si è però potuto constatare che anche la temperatura e varie sostanze chimiche possono influire sulla mutabilità, confermando cosi in parte esperimenti precedenti, i quali non potevano ritenersi del tutto probativi, in quanto non erano stati condotti con il rigore necessario. I raggi a onde corte sono però i più attivi, e riescono a moltiplicare per 100 o 150 il tasso delle mutazioni spontanee. Questo è sempre piuttosto basso e variabile per i diversi fattori e nei varî organismi; nella Drosophila si calcola che, in totale, sia del 2-3%.

Molte specie di animali e di piante sono state già sperimentate, e in tutte si è ottenuto un aumento della mutabilità sotto l'azione dei raggi a onde corte; ma l'esatta conoscenza della genetica della Drosophila consente in questo animale conteggi più precisi e ricerche più esatte. Queste, per opera specialmente del Muller, del Timoféeff-Ressowski, e di altri, hanno dato già risultati generali di grande importanza, ed è lecito sperare che consentano una più profonda analisi sperimentale del problema dell'evoluzione e un ulteriore progresso nella conoscenza dell'intima struttura della materia vivente.

Bibl.: H.D. Vries, Die Mutationstheorie, Lipsia 1901-03; E. Guyénot, La variation et l'évolution, Parigi 1930; N.W. Timoféeff-Ressowsky, Mutationsforschung in der Vererbungslehre, Dresda e Lipsia 1937; H. Hubbe, Spontane und strahleninduzierte Mutabilität, Lipsia 1937.

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