Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Novecento i progressi della fonografia hanno permesso di ascoltare musica “trasmessa”, ossia musica non “dal vivo”, senza limiti di luogo e tempo. Ciò ha avuto grandi conseguenze sul ruolo della musica stessa nella vita quotidiana dei suoi fruitori e sulle modalità di ascolto.
Renzo Rossellini
La nascita di Radio Città Futura
Allora c’era il monopolio RAI, che voleva spesso dire censura ed era una condizione per noi inaccettabile. L’idea di potere parlare in modo libero, fuori da quell’opprimente recinto, era per noi un sogno, un sogno di libertà. E così cominciammo a sognare. [...]
Il primo trasmettitore lo costruimmo dentro una scatola di scarpe di cartone, fissando all’interno gli elementi. Collegato il marchingegno ad una piccola antenna cominciammo a fare delle prove in un campo aperto per vedere fino a dove riuscivamo ad arrivare. Quando, con stupore ci accorgemmo che riuscivamo a trasmettere a qualche centinaio di metri, abbiamo pensato di trasferire il tutto a casa di amici che avevano un abbaino al civico 47 di Piazza Vittorio Emanuele. Abbiamo piazzato l’antennina e abbiamo cominciato a dire “Qui è Radio Città Futura 97.700”.
www.radiocittafutura.it
L’alleanza tra fonografia e media ha consentito, a partire dagli anni Venti e poi lungo tutto l’arco del secolo, di ascoltare musica senza preclusioni di luogo e tempo, con apparecchi di riproduzione e di ricezione che, partendo dagli ingombranti mobili per l’ascolto familiare molto ben descritti nel film di Woody Allen Radio Days, sono attualmente sempre più miniaturizzati. Un contenuto a carattere musicale può essere diffuso attraverso un medium di massa quale ad esempio la radio, la televisione o internet. In questo caso per media intendiamo reti e apparati tecnologici di produzione e diffusione di contenuti audio e video. Al loro interno la musica viene proposta e fruita come un contenuto editoriale tra gli altri, assieme a generi come le news, le soap, lo sport.
La relazione tra musica eseguita, musica registrata e musica trasmessa non è però così lineare. In Italia, ad esempio, fino agli anni Cinquanta la musica maggiormente diffusa è quella trasmessa alla radio, dove viene eseguita prevalentemente in diretta in studio. Dunque il mezzo radiofonico è responsabile, per così dire, oltre che della trasmissione anche dell’esecuzione. L’acquisto di dischi è estremamente ridotto e solo con l’esplosione nel 1951 del 45 giri, la versione del disco trasmesso via radio, coincide finalmente con quello acquistabile in negozio. L’associazione tra musica e disco non è scontata (oggi il digitale ci riporta a quella fase disancorando la musica dal supporto fisico) e lo stesso disco, con il suo apparato di ascolto tecnologico espanso fino al mito dell’hi-fi, rappresenta assieme un gadget tecnologico modernista e un oggetto di status. Ciò spiega perché un programma radiofonico del 1953 si chiami Il Discobolo.
L’inserimento della musica nel sistema dei media, rispetto ad altri contenuti di comunicazione, ha prodotto una rivoluzione dalla portata strutturale. Un contenuto musicale come ad esempio una canzone, si è sempre di più svincolato dalla copia, dal supporto materiale, cioè da quel singolo pezzo di vinile o altro sul quale la musica è incisa. Un brano musicale attraverso la radio può infatti essere fruito senza doverne acquistare una copia in negozio e con l’invenzione del nastro magnetico può essere addirittura registrato, cioè trasformato in copia. Simili mutazioni tecnologiche hanno messo in crisi alcune costitutive connessioni economiche che l’avvento del digitale, come in seguito vedremo, ha definitivamente rivoluzionato.
Dal punto di vista del linguaggio invece, la musica è un veicolo di intrattenimento primario ed è quindi naturalmente presente all’interno dei media sin dalla loro nascita. Il ruolo che essa ricopre è però estremamente differenziato. Pensiamo ai sottofondi, alle sigle d’inizio e fine, agli stacchi interni a un programma o che dividono i singoli spot pubblicitari.
Riguardo alla televisione, pensiamo alla prassi che consiste nel riassumere in breve le highlights (o meglio i momenti salienti) attraverso un oggetto che lo stesso linguaggio televisivo denomina clip, all’interno dei magazine di news, degli approfondimenti sportivi, sino ai reality show. Le highlights altro non sono che una selezione di immagini rimontate con un ritmo frenetico, strutturato sulla base di un brano musicale d’impatto e private dell’eventuale sonoro originario.
Riguardo al medium radiofonico, invece, la musica oltre a occupare la maggior parte dello spazio di programmazione, tra le sue varie funzioni ha dato vita, interrelandosi con il parlato, a un processo di sincretizzazione tra regimi di discorso. Il parlato in radio assume, come è evidente, una scansione ritmica musicale. Ogni contenuto radiofonico, indipendentemente dal genere sia esso news, meteo o spot, tende in molti casi a essere modulato dallo stile pop. Un processo tuttora in corso di espansione se pensiamo al sempre più invasivo parlato in stile giovanilistico. Il processo di trasformazione linguistica dei media, in cui la musica gioca un proprio ruolo, vive in realtà di reciproci condizionamenti anche tra radio e tv e viceversa. Si pensi infatti ai telegiornali odierni dove l’iniziale lettura dei titoli deve combattere contro un invadente sfondo musicale. Confrontato con un telegiornale di qualche anno fa presenta caratteri di un’imitazione del discorso radiofonico. Si chiarisce allora come la musica rappresenti nel corpo dei media una sorta di sistema circolatorio che funziona assieme da “punteggiatura”. Come macchina di aggregazione e disgregazione essa aiuta a tenere assieme o viceversa a separare le parti del flusso radiotelevisivo. È inoltre un sofisticato linguaggio semiotico narrativo e passionale utile a “produrre” emozioni e a segnalare variazioni di tensione.
La programmazione radiofonica nel 1927, momento della creazione della prima istituzione radiofonica di stato italiano, l’EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche), presenta un carattere eminentemente di intrattenimento, in particolare di tipo musicale. Musica lirica, romanze d’opera, musica da camera e sinfonica definiscono l’offerta radiofonica con un tipo di ascolto che probabilmente non sarà stato sofisticato come quello del melomane alto-borghese seduto in platea, ma ha indubbiamente consentito di allargare gli orizzonti della cultura musicale della nazione. La radio-televisione italiana d’anteguerra istituisce proprie orchestre, che tuttora costituiscono un patrimonio culturale, e assieme favorisce la popolarità delle canzoni del regime fascista ma anche quelle del cosiddetto genere sincopato di Alberto Rabagliati e Natalino Otto.
Il ruolo del medium radiofonico in parte risponde da sé alla domanda posta da Adorno in Una critica sociale della musica radiofonica (1954): “come può portarsi la buona musica a un pubblico più ampio possibile”? Osservando il mercato radiofonico europeo nel secondo dopoguerra, esso presenta una natura di tipo pubblico e, diremmo oggi, educational, dunque di tipo vagamente pedagogico rispetto al modello americano il quale è invece essenzialmente privato e commerciale. La radio negli Stati Uniti ha cavalcato se non addirittura promosso l’emergere del rock’n’roll (ad esempio Alan Freed nel suo programma intitolato Rock’n’Roll Party inaugurato nel 1954) e in generale delle musiche preferite dal pubblico giovanile. In realtà l’ondata di trasformazione musicale innescata dal r’n’r si spegne rapidamente negli Stati Uniti anche a causa di scandali che mettono in discussione la trasparenza, tuttora molto delicata, delle relazioni commerciali di promozione tra l’industria discografica e quella radiofonica. Sono le radio dei college a generare poi negli Stati Uniti un momento di cambiamento in un’offerta musicale che negli anni Sessanta passa dalle classifiche dei grandi successi (Top 40) all’esplorazione della nuova musica underground.
La BBC (British Broadcasting Corporation) in Inghilterra, e anche la RAI in Italia relativamente alla radio, dal 1945 fino alla metà degli anni Sessanta seguono invece politiche editoriali similari, articolando informazione, intrattenimento e cultura su tre differenti canali (un’organizzazione che solo formalmente permane nell’attuale Radio Rai, stravolta com’è dalla competizione con le radio commerciali).
Per portare una ventata di novità nel panorama istituzionalizzato dell’etere europeo ci vuole un concorrente totalmente fuori portata: Radio Luxembourg, una radio che nel dopoguerra trasmette dall’omonimo granducato tutta quella nuova musica pop d’impronta afro-americana che non trova spazio altrove e che fino a quel momento ha una diffusione quasi clandestina. Radio Luxembourg dal 1964 trova poi in Radio Caroline e Radio Veronica due concorrenti che, trasmettendo da navi collocate al largo in acque internazionali, sfuggono alla legislazione e al monopolio della BBC, e che anch’esse contribuiscono all’affermazione culturale del rock. Più vicina al confine italiano muove invece i primi passi Radio Montecarlo che, in particolare attraverso la voce di Herbert Pagani nel suo programma Fumorama, diffonde nell’area del Nord-Ovest e del Tirreno una proposta musicale molto più orientata al gusto latino e francese, promuovendo tra l’altro la conoscenza di artisti come Françoise Hardy. Pressata dalla concorrenza clandestina, anche BBC1 nel 1967 si trasforma in canale “per giovani”. A Jimi Hendrix è significativamente commissionato un jingle nel quale, condensando in poche decine di secondi il proprio stile, canta: “Radio One, you’re the only one, for me. Just turn that dial, make the music worth while”. Nella programmazione della BBC è inoltre inaugurato uno spazio dedicato a registrazioni live, affidandolo al compianto dj-talent scout John Peel, programma unanimemente riconosciuto come una delle migliori selezioni della produzione del rock inglese (si veda la vasta serie di dischi intitolata John Peel Sessions che vanta nomi come Tim Buckley, Soft Machine, Robert Wyatt, Wire, Ultravox, Cure, Madness, Smiths), fino alla prematura scomparsa del dj avvenuta nel 2004.
In Italia la nuova musica che parla inglese è progressivamente introdotta in radio attraverso spazi estremamente delimitati sebbene premiati da un seguito di culto. Tra i vari protagonisti della promozione e diffusione di una musica maggiormente indirizzata ai gusti giovanili spiccano la coppia creativa formata da Gianni Boncompagni e Renzo Arbore, dapprima a partire dal 1965 con Bandiera Gialla (“programma severamente vietato ai maggiori di anni 18”), poi dal 1970 con Alto Gradimento, caratterizzato da una formula più orientata al varietà e alla comicità. Successivamente appaiono i primi programmi espressamente dedicati alle novità discografiche come Disc-jockey di Adriano Mazzoletti e quelli dedicati all’Hit Parade. Il mercato e l’offerta radiofonica italiana vivono in seguito un vero e proprio momento di rivoluzione, dai risvolti anche sociali, all’irrompere delle radio libere. Nel 1976 (precedute da un esperimento nel 1974 di Roberto Faenza che trasmette da una roulotte) nascono dapprima le radio “nel” Movimento: Radio Città Futura a Roma espressamente pensata come “lotta contro l’informazione borghese”; Radio Popolare a Milano; Radio Alice a Bologna che propone una programmazione musicale tra psichedelia, jazz e punk.
Nel 1975 nascono Radio Milano International e Punto Radio e a seguire verrano altri momenti di aggregazione spontanea senza però connotazioni politiche, che porteranno alla nascita di radio locali che, aggregatesi poi in network, negli anni Ottanta e Novanta andranno a costituire quelle che tuttora sono tra le radio più ascoltate in Italia.
La presenza della musica nella televisione rappresenta un’innovazione fondamentale nel campo dei media. La televisione rende mediaticamente visibili corpi che nella radio sono solo voci, così come a suo tempo il sonoro nel cinema ha donato la voce ad attori che mai si erano preoccupati di recitare, parlando semmai solo tramite il gesto e il corpo. Se l’ascolto radiofonico mette in gioco unicamente la musica, quello televisivo implica anche la necessità di intrattenere il pubblico visivamente. Detto in breve, cosa bisogna far vedere durante una trasmissione musicale? L’azione musicale viene ripresa, le viene conferito un ritmo registico. Il playback, ad esempio, la banda sonora preregistrata con una ripresa visiva in diretta, consente possibilità inedite scatenando d’altro canto, sino ad anni recenti, questioni infinite sul valore autentico della musica preregistrata. La televisione negli anni Cinquanta è un medium in erba, definita poi come paleo-televisione, e come tale ancora non consapevole delle proprie potenzialità e del proprio “specifico”. Divora, per questo motivo, tutto ciò che l’ha preceduta e che essa è in grado di inglobare, prevalentemente trasportando sul piccolo schermo modelli già sperimentati in radio, come il programma Nati per la musica di Gorni Kramer e Lelio Luttazzi, e artisti “radiofonici” già affermati come il celeberrimo Quartetto Cetra.
Abbiamo già evidenziato come la musica nell’audiovisivo rappresenti da sempre un fondamentale strumento di raccordo, coesione e assieme di scansione. Musicali sono anche in televisione le sigle, gli stacchi, i sottofondi, elementi costitutivi del linguaggio radiotelevisivo che sono però anche strumento di costruzione dell’identità. Pensiamo anche ai jingle di rete, brevi figure audiovisive che aiutano a identificare e a rimarcarne immediatamente l’identità. Pensiamo a Intervallo e al suo inconfondibile sottofondo d’arpa, grado zero del cliché televisivo arcaico e per questo rielaborato da Ciprì e Maresco in Cinico Tv. Pensiamo anche a Carosello, luogo storico oramai consacrato della cultura popolare ma prima d’ogni cosa siparietto musicale nonché luogo di condivisione di massa della musica leggera e colta. Oltre che luogo di rielaborazione dell’archivio sonoro della cultura popolare, l’odierna musica degli spot pubblicitari contemporanei è diventata anche veicolo primario di promozione (pensiamo ad esempio agli spot delle aziende di telefonia mobile, responsabili del lancio di nuovi successi stagionali).
È però il Festival di Sanremo il momento di celebrazione più forte del connubio tra musica e televisione in Italia. Nato alla radio nel 1951, il Festival approda alla tv nel 1955 e nel 1958 tocca uno dei suoi momenti più popolari con Domenico Modugno e la sua Nel blu dipinto di blu poi ribattezzata Volare, raro esempio di canzone italiana moderna di fama internazionale. Modugno, la cui performance è visibile tramite la televisione, gesticola e agita le braccia e il corpo in uno stile inconsueto per i cantanti dell’epoca. Del 1959 è invece la prima edizione di Canzonissima, varietà televisivo che già a partire dal nome dà enorme rilevanza alla musica e che perdurerà sino agli anni Settanta. Intanto in quegli anni l’acquisto di dischi inizia ad assumere un peso rilevante (lo strumento di rilevazione dell’Hit parade nasce nel 1959).
La musica rappresenta per la televisione anche un tema attorno al quale costruire interi programmi. Essa è veicolo per l’ibridazione con altri generi televisivi, ad esempio con il quiz, mistura che genera programmi di enorme successo da Il Musichiere (dove numerosi divi dello spettacolo, da Gassman ad Albertazzi, si cimentano nel cantare), fino all’odierno Sarabanda, con una formula sostanzialmente immutata nei cinquant’anni trascorsi. La tv ha costruito nel tempo anche un’alleanza editoriale con le case discografiche ed è così che accanto alla collaborazione con la radio sono nati eventi itineranti come il Cantagiro, il Disco per l’estate e il Festivalbar, che hanno portato la musica in giro per l’Italia e mostrato una rappresentazione visibile della provincia italiana. All’inizio degli anni Sessanta anche la musica internazionale comincia ad avere seguito in Italia ed ecco programmi come Alta Fedeltà, condotto da Gorni Kramer e la sua orchestra, che renderà ascoltabili e visibili Sammy Davis, Dean Martin, Frank Sinatra. Lo sguardo verso l’estero corrisponde anche all’emergere del gusto giovanile e di nuovi divi della musica italiana come Adriano Celentano, Gianni Morandi, Mina, Rita Pavone. Mina acquista notorietà televisiva tramite la conduzione di Studio Uno, varietà del sabato sera che debutta nel 1961; Rita Pavone soprattutto con il ruolo di Gian Burrasca nell’omonimo sceneggiato televisivo di Lina Wertmüller. Anche la canzone d’autore guadagna accesso al video a partire da un programma dello stesso anno chiamato Il Cantautore dove appaiono tra gli altri Umberto Bindi e Giorgio Gaber. Quest’ultimo è spesso presente in successivi programmi che valorizzano il patrimonio popolare e d’autore. D’altra parte la cultura beat e poi quella hippy fanno l’ingresso in Italia anche tramite la loro progressiva penetrazione nell’immaginario televisivo. Del 1967 è Diamoci del tu condotto da Caterina Caselli e dallo stesso Gaber, e del 1969 è Speciale per voi di Renzo Arbore, entrambi programmi in cui la musica e le tribune da talk-show simil-assemblea danno corpo alle prime apparizioni televisive della cultura giovanile .
Negli Stati Uniti la musica in televisione ha già avuto un ruolo essenziale per la diffusione dei grandi miti giovanili come Elvis Presley e i Beatles attraverso l’Ed Sullivan Show. La loro apparizione ha segnato la seconda e la terza maggiore audience della storia della televisione americana, rispettivamente con circa 60 e 70 milioni di telespettatori. In Inghilterra, invece, a partire dal 1964 Top of the Pops su BBC1 si afferma come il luogo in cui ogni giovedì sera è possibile ascoltare i gruppi di successo del pop inglese. Old Grey Whistle Test per gli anni Settanta e The Tube per gli anni Ottanta su Channel Four rappresentano invece momenti musicali più approfonditi.
Gli anni Settanta, in Italia e altrove, saranno il momento in cui molte certezze andranno in crisi, anche riguardo al modo di proporre in televisione l’intrattenimento e la rappresentazione del sociale. La stessa trasmissione televisiva del sacro Festival di Sanremo per alcuni anni verrà limitata unicamente alla serata finale. A scorrere ora i nomi dei partecipanti del Festival e dei vincitori di quegli anni si nota in effetti, a parte rari casi come quello di Rino Gaetano, una stasi creativa dell’intrattenimento leggero. L’energia è allora tutta riposta verso la canzone d’autore o “impegnata” (nasce in quegli anni il Premio Tenco) che non passa di certo per Sanremo e che in televisione ha un accesso limitato, come nel caso di Automobili di Lucio Dalla, show del 1977 come l’omonimo disco, nel quale sono ospitati anche Bennato, Venditti e Paolo Conte.
La domenica pomeriggio diventa alla fine degli anni Settanta luogo di sfida e controprogrammazione tra L’altra domenica di Renzo Arbore sulla Rete2 (programma che darà spazio a varie proposte innovative, molte delle quali internazionali e musicali ed eseguite in diretta) e sulla Rete1 Domenica In… di Corrado, la quale dal 1978 ospita al proprio interno Discoring, programma condotto dal compagno-rivale Gianni Boncompagni che prediligerà una proposta più divulgativa e tradizionale nella confezione ma ugualmente attenta alla qualità. Sarà uno dei momenti più vivaci della programmazione televisiva musicale della RAI.
Gli anni Ottanta segnano una trasformazione epocale dovuta all’ingresso del videoclip, formato editoriale che propone un pre-confezionamento dello show musicale audiovisivo. Mr. Fantasy, condotto da Carlo Massarini, coglie immediatamente il fenomeno nel 1981 (anno d’inizio anche della programmazione americana di MTV) e vi allestisce attorno una costruzione minimale fatta di grafica, scenografie essenziali e di un immaginario futuribile al passo con i tempi. Lo spazio televisivo in questo caso non è più costruito attorno a uno stage ma risente del virtuale di là da venire, coerentemente con i nuovi spazi iperreali proposti dal videoclip che sintetizzano e rendono visibile l’immaginario del rock. In questi anni la televisione commerciale fa il suo ingresso nel mercato e la musica si posiziona tra gli elementi predominanti con la rete tematica Videomusic che inizia a trasmettere dal 1984. Nel luglio del 1985 la RAI invece trasmetterà il Live Aid, evento musicale del decennio durante il quale a scopo di beneficenza passano in rassegna stelle del rock classico e nuovi volti del techno-pop anni Ottanta. Sempre la RAI nel 1987 trasmette il primo concerto italiano di Madonna nonché il concerto dei Pink Floyd a Venezia nel 1989. Fininvest (ora Mediaset) si concentra invece sulla confezione e innovazione dei programmi: con Deejay Television di Claudio Cecchetto indovina un modo di relazionarsi con la nuova sensibilità “paninara” e con personaggi allora in erba quali Jovanotti, Fiorello, Leonardo Pieraccioni e Linus. Un’altra strada viene invece percorsa dai programmi di Red Ronnie che tra l’altro propone con Be Bop a Lula la coabitazione tra videoclip, reportage e voci dal mondo dei fan.
Dagli anni Novanta, e in particolare dal 1997, il ruolo della musica nella televisione, in Italia come nel resto dell’etere globale, viene assunto principalmente da MTV che da canale musicale si trasforma sempre più in una rete che trasmette per un pubblico giovanile musica ma anche contenuti di altro tipo.
Le nuove tecnologie fanno in tempi recenti il loro ingresso nel mercato dei media tradizionali. La coabitazione con la musica è il risultato di alcune tappe evolutive tra le quali segnaliamo: la comparsa del CD nei primi anni Ottanta che ha segnato l’ingresso sul mercato consumer della musica in forma digitale e dunque riproducibile e duplicabile senza perdita di segnale; la diffusione tra un numero ampio di utenti di connessioni internet a banda larga. Come altre arti, quali la fotografia, la grafica, il cinema, la musica passa oggi attraverso il computer dove la si può ascoltare, produrre, modificare e “scaricare”. La diffusione delle reti informatiche connesse al telefono mette i computer casalinghi in grado di appartenere a un’unica rete e in questo modo si afferma un diffuso scambio di materiali musicali informatici. Anche la vendita di dischi, che oggi vive un’ennesima crisi di settore, si sta reindirizzando verso forme di vendita on line di CD o, più semplicemente, di file musicali acquistabili e scaricabili sul proprio computer. Ecco perché il player più aggiornato, la versione contemporanea del mangiadischi o del walkman, è rappresentata dall’iPod, ossia un mini computer tascabile dotato di memoria sufficiente a immagazzinare migliaia di brani. L’iPod, oggetto di status e di tendenza, conserva la musica in file che spesso presentano il formato mp3, cioè di ridotta taglia ma anche di minore qualità sonora, il che apre nuovi dibattiti sulla perdita di qualità dell’ascolto musicale odierno. Più in generale lo scenario contemporaneo propone una convergenza tra diversi modi di fruire la musica (radio, televisione, telefono cellulare, computer, iPod) su cui si gioca una battaglia economica tra i fornitori di contenuti, dispositivi (device) e luoghi di fruizione. Non è più il tempo del bar con il juke-box, della radio a transistor o del giradischi casalingo accanto al divano. La musica si consuma in modo frammentato e diffuso (si pensi al grande successo delle suonerie scaricabili direttamente sul telefono cellulare) e si tende ad acquistare un servizio piuttosto che un singolo disco. La partita si gioca sui nuovi strumenti di fruizione/intrattenimento, come la consolle dei videogame, il computer o il telefono cellulare.