MURO (fr. mur; sp. muro; ted. Mauer; ingl. wall)
I muri sono quelle strutture di fabbrica composte di pietre naturali o artificiali, o di altri materiali da costruzione, opportunamente disposti e collegati fra loro, con l'interposizione o no di malte o di altre materie adatte allo scopo, che servono a limitare i diversi ambienti di un edificio e più ancora a sopportare e resistere ai pesi e alle azioni loro trasmesse da altre strutture o da agenti esterni.
Talvolta le due funzioni vengono sdoppiate; e allora le murature possono avere il solo ufficio resistente, oppure soltanto quello di limitare e separare gli spazî.
Etnologia. - Il raggruppare, sovrapponendole le une alle altre con un certo ordine, poche pietre in modo da ottenere un complesso dotato d'una certa stabilità, si può già considerare come un primo tentativo di costruzione muraria. Si comprende quindi come tale semplicissima espressione dell'edilizia si possa riscontrare più o meno presso tutti i popoli della terra e debba essere esistita fino dai tempi più antichi. Infatti anche durante lo scavo di giacimenti paleolitici s'incontrano talvolta dei raggruppamenti di pietre che non sembrano dovuti al caso e che possono far pensare a rudimentali costruzioni (piccoli ripari, focolari, ecc.). Durante il neolitico e l'età dei metalli si giunge, in alcuni luoghi, a una vera e propria edilizia che assurge a manifestazioni imponenti, come ci attestano tante costruzioni megalitiche.
Lo sviluppo delle costruzioni murarie ha tuttora gradi e forme assai diverse presso i varî popoli e ciò è da ricercarsi, oltre che nel livello culturale di questi ultimi, anche in molteplici fattori ambientali, quali la presenza o meno sul posto del materiale adatto allo scopo, le condizioni topografiche del luogo e climatiche. Ciò spiega come lo sviluppo dell'arte muraria non sia sempre un indice sicuro del grado d'evoluzione d'un popolo. Presso i nomadi tale arte non è generalmente molto esercitata e non ha neppure grande incremento presso certe popolazioni alle quali la scarsità del materiale litico e la presenza, nel loro paese, di grandi foreste consigliano l'uso del legname quale materiale da costruzione.
Non è facile stabilire una classificazione delle costruzioni murarie, la quale si può fondare sia sul materiale di cui il muro è costruito, sia sulla disposizione e dimensione degli elementi che lo compongono, sia infine sulla presenza o meno, tra questi ultimi, di materia cementante. Le costruzioni murarie senza materia cementante (comunemente detti muri a secco) debbono la loro stabilità soltanto all'equilibrio statico dei varî elementi che lo compongono, acconciamente disposti. Nei muri con materia cementante tale stabilità aumentata dalla forza di coesione che questa esercita fra i suddetti elementi, ciò che permette al costruttore una maggiore libertà nella scelta delle dimensioni e della forma del muro stesso e nella scelta dello stesso materiale. Rispetto alla semplice costruzione dei muri a secco, l'uso d'adoperare materia cementante è da considerarsi come un'acquisizione posteriore molto importante, ma ciò non toglie che anche popoli di alta cultura abbiano eseguite imponenti opere murarie senza alcun uso di cementi.
Tra le opere murarie di questo tipo vanno ricordate quelle preincaiche e incaiche dell'America Meridionale, opere d'una grandiosità e d'una perfezione davvero stupefacenti, specie se si consideri che i loro esecutori non conoscendo il ferro usarono, per lavorare la pietra, soltanto strumenti litici. Celebri sono le mura preincaiche di Cuzco nel Perù, che si sviluppano per varî chilometri e sono costituite di blocchi spesso di enormi dimensioni. Questi blocchi più che per il volume colpiscono per la loro perfetta lavorazione. Ciascuno di essi ha la caratteristica di essere tagliato ad angoli salienti e rientranti in modo da potere combaciare perfettamente, e in una sola posizione, col vicino, e tale contatto viene a essere così intimo da riuscire impossibile, si dice, introdurre tra le commessure la più sottile lama di coltello. Gli Spagnoli furono così sorpresi da tali lavori, da giungere persino a immaginare che gli antichi Peruviani conoscessero l'arte di ammorbidire la pietra per poterla lavorare con tanta maestria. Costruzioni megalitiche imponenti, ma senza blocchi a salienti e rientranti, s'incontrano in altri punti del continente americano. Tra le più imponenti vanno ricordate le rovine di Tiaguanaco sul lago Titicaca. Nel continente africano fu pure assai diffusa la costruzione dei muri a secco. Ce ne dànno un bell'esempio le rovine della Rhodesia, che si estendono su una vasta regione compresa tra lo Zambesi e il Limpopo e sembrano essere state costruite a scopo difensivo. Benché esse rappresentino un lavoro imponente per il grande sviluppo che esse assumono, pure rivelano, nella loro struttura, una tale semplicità e tali imperfezioni da farle attribuire a costruttori dotati di una tecnica molto primitiva. I muri della Rhodesia sono costruiti infatti con piccoli blocchi di granito prodotti dallo sfaldamento di rocce locali, quasi sempre impiegati senza ulteriore lavorazione, approfittando della loro forma naturale, e uniti tra loro facendone semplicemente combaciare due superficie piane. Si comprende quindi come i crolli abbiano avuto luogo assai di frequente. Nella costruzione di questi muri gli artefici evitarono sempre gli angoli che sostituirono con delle superficie curve (v. anche fortificazione).
L'uso di costruire a secco si ritrova poi in tutto il continente asiatico e anche in Oceania se ne hanno esempî notevoli (Is. di Pasqua).
Si è detto più sopra che la scelta del materiale per la costruzione dei muri dipende in gran parte da condizioni ambientali. Ove il materiale litico adatto scarseggia o manca, o la sua raccolta è particolarmente difficoltosa, si ricorre ad altro materiale.
Un esempio lo troviamo tra gli Eschimesi, i quali costruiscono le loro abitazioni invernali, che debbono tra l'altro avere carattere di precarietà, con blocchi di ghiaccio acconciamente tagliati e sovrapposti. In altri luoghi, si rimedia alla mancanza di materiale litico fabbricando pani di argilla che seccati al sole o cotti al fuoco sostituiscono assai bene la pietra. Le popolazioni peruviane che nell'interno innalzavano i grandiosi edifici di pietra, sulla costa dove questo materiale difettava, costruivano i muri con mattoni d'argilla, come ci attestano, ad esempio, le rovine di Chanchán presso Trujillo.
Benché la fabbricazione dei mattoni e il loro impiego nell'edilizia siano da un tempo lunghissimo entrati in uso presso gran parte delle popolazioni della terra, specialmente presso quelle a cultura più elevata, e si usino promiscuamente pietre e mattoni, pure l'origine della loro fabbricazione è forse, come è stato accennato, da ricercarsi, almeno in parte, nella necessità di sopperire alla deficienza di materiale litico.
Nell'Africa settentrionale, specie nelle regioni desertiche (Fezzan), si fabbricano mattoni con materiali argillosi. Si dà loro, alla meglio, la forma e le dimensioni prestabilite servendosi talvolta d'un rudimentale stampo di legno, e poi si fanno seccare al sole. È questo uno dei metodi piu rudimemali di fabbricare mattoni. In Asia si sono fatte invece opere grandiose con i mattoni. Basti, ad es., ricordare i dagoba di Ceylon, reliquiarî e monumenti commemorativi buddhisti, vere colline formate da un numero sterminato di mattoni.
L'impiego dei mattoni nell'edilizia è generalmente subordinato a quello di materie cementanti. L'uso di materie cementanti è largamente diffuso e data da epoche assai remote. Un rudimentale impiego di tali materie si ha presso quelle popolazioni primitive che impastano con fango le ramaglie e gli sterpi di cui sono costruite le loro capanne, in modo da occluderne gl'interstizî e conferire loro maggiore solidità. L'impiego di materie cementanti varia da luogo a luogo. Anche la loro scelta è subordinata, come quella del materiale cementato, a fattori ambientali, fra i quali hanno a volte importanza quelli climatici.
Nelle regioni desertiche nordafricane (Fezzan) s'usa la stessa sostanza argillosa, che si è vista impiegata nella fabbricazione dei mattoni, come cemento. Seccando, essa può acquistare grande durezza. Il suo impiego però è reso possibile soltanto dalla scarsità di precipitazioni atmosferiche della regione. Infatti dopo piogge eccezionalmente abbondanti tale sostanza si scioglie, producendo il crollo dei muri e spesso la distruzione di paesi interi. Ciò si verifica specialmente quando i muri hanno una bassa percentuale di materiale litico in proporzione al materiale cementante, o quando, al posto di pietre, si usano i mattoni più sopra ricordati.
Tecnica della costruzione muraria.
Antichità. - Il primo muro fu costituito da blocchi informi, raccolti nei terreni sassosi, e posti uno sull'altro con strati di allettamento, formati di fango e scaglie più piccole. Nelle località dove la pietra mancava, o occorreva tagliarla, il muro fu formato soltanto di fango battuto, e sostenuto talvolta con palizzate, come soprattutto fu in Egitto e in Mesopotamia, e come è il caso in Roma del murus terreus Carinarum. Così erano costruite le fortificazioni delle città primitive, specialmente di quelle poste in piano, facendo precedere il muro da un fossato, la cui terra serviva appunto per la formazione del muro stesso. Un esempio assai istruttivo d'un tale tipo di murus si riscontra in Ardea, nella fortificazione che guarda i Colli Albani.
Progredita la tecnica di tagliare la pietra in blocchi d'una certa grandezza, e di trasportare questi a notevole distanza, il muro fu costituito di massi sovrapposti, così come venivano dalla cava, senza alcuna squadratura, o soltanto con una grossolana sbozzatura sul fronte per impedire agli uomini e agli animali di arrampicarsi su di essi. La stabilità del muro era affidata unicamente alla mole dei massi adoperati, scelti fra i più grandi possibili; il muro era verticale, o leggermente in pendenza verso il terrapieno interno della collina, alla quale il muro stesso era generalmente addossato.
Nei terreni a fondo calcareo, la pietra veniva spezzata seguendo le naturali fratture della roccia, e quindi i blocchi risultavano assai difformi tra loro, mentre nei terreni a fondo tufaceo, o di pietra tenera, si otteneva una maggiore uniformità di taglio e di messa in opera. Ciò, tuttavia, non vuol dire differenza d'età fra i due sistemi, ma soltanto differenza di tecnica, imposta dal materiale usato.
Siamo soliti di chiamare questo sistema costruttivo, che è il più antico che conosciamo, col nome d'opera ciclopica, per la credenza diffusa nei secoli passati che esso fosse opera dei giganti dell'età mitica. L'opera ciclopica si riscontra presso i popoli più antichi, che hanno già raggiunto una certa civiltà, in tutto il bacino del Mediterraneo, quantunque in età differente, a seconda della formazione di ciascun popolo: ha inizio nella civiltà cretese-micenea fra il secondo e il primo millennio a. C., e si può studiare con profitto a Creta, nelle grandi regge di Cnosso e di Festo, a Troia, nei varî strati della città, e quindi a Tirinto e a Micene, dove sono gli esempî più completi e più interessanti del mondo ellenico. Si ricordino la Porta dei Leoni in Micene, con le adiacenti mura, e le poderose fortificazioni di Tirinto, dove per la prima volta si trova, nel camminamento interno, una copertura artificiale formata di blocehi disposti a strati aggettanti, che dànno l'aspetto apparente d'una vòlta a sesto acuto.
Nel cosiddetto Tesoro di Atreo, come in alcuni tratti delle mura di Micene, alla maniera rozza e informe si è venuta già sostituendo una tecnica più accurata, per cui gli angoli dei blocchi vengono regolarizzati, e questi tagliati in forma di poligoni con i lati rettilinei, in modo da farli aderire fra loro, senza bisogno di altro materiale intermedio. Questo sistema più progredito è quello che si chiama opera poligonale, o lesbica, perché gli antichi ne attribuivano ai Lesbî l'invenzione: il lavoro si eseguiva prendendo con il piombo le impronte dei massi già messi in opera, in modo da permettere ai blocchi, che si dovevano mettere successivamente, un perfetto combaciamento. Anche le pareti frontali divennero lisce, e talvolta si usò lasciare una fascia perfettamente piana intorno a ogni blocco, per avere dei punti esatti di collegamento durante la lavorazione.
Un esempio caratteristico di questa costruzione, forse il più antico che si conosca, si ha in Beozia, dove i Minî, per arginare la Palude Copaide, costruirono tre grandi terrazze, con enormi massi disposti a perfetta regola d'arte, per sostenere la pressione dell'acqua.
Mentre l'opera poligonale era il sistema di costruzione usato per i grandi edifici di carattere pubblico, per gli edifici minori si seguitava a usare il sistema dei piccoli blocchi di pietra uniti con fango, rinforzati con travi di legno disposti orizzontalmente o anche a graticcio; nei luoghi dove esistevano banchi d'argilla, si formavano quadrelli di questa materia, impastati con paglia e seccati al sole per un periodo da uno a due anni, che erano molto adatti a riparare dall'umidità e dal calore. L'Egitto e la Mesopotamia sono i paesi che per primi conobbero e largamente praticarono l'uso di mattoni, quasi sempre crudi e seccati al sole, più raramente cotti in fornace.
Col perfezionamento degli arnesi di lavoro, in seguito alla scoperta del ferro, si rese più facile la lavorazione della pietra e quindi del marmo, onde alla maniera poliedrica, che era più rapida ma risultava anche assai più difficoltosa, si sostituì a poco a poco la maniera isodoma, che permise una maggiore agilità di costruzione, un'estetica più raffinata e una regola costante nei piani di posa.
I blocchi vennero tagliati in tutte e tre le dimensioni, secondo l'unità di misura, che nel mondo classico fu prima il piede attico (m. 0,308), poi quello osco o italico (0,285) e infine quello romano (m. 0,296), e levigati in tutti i sei lati: i primi esempî si hanno in Egitto e in Grecia; quivi l'opus quadratum fu il sistema prevalente dal sec. VI a. C. in poi, favorito dall'abbondanza del marmo; più robusto nei basamenti (crepidoma) con massi di spessore doppio (orthostatai), diviene più leggiero negli strati superiori, dove si alternano filari per lungo con filari per largo, per dare al muro un maggiore collegamento.
In Italia l'opera quadrata entrò in uso relativamente tardi, e fu introdotta dagli Etruschi, che profittarono della pietra tenera del loro territorio per tagliarla a parallelepipedi relativamente piccoli disposti a strati orizzontali, dapprima non uniformi e uniti senza calce, in un secondo tempo tagliati più regolarmente e cementati con un leggiero strato di malta. Dagli Etruschi l'appresero i Romani, e in generale tutti i popoli dimoranti in paesi dove si trova il tufo. All'est, invece, e al sud di Roma dove il suolo, aspro e montano, è formato di un calcare duro, l'opera poligonale perdurò ancora per tutta la repubblica e scomparve solo quando alla pietra di cava fu sostituito il mattone di fornace, introdotto specialmente nei tempi augustei.
Sul finire del sec. IV a. C. fa la sua prima apparizione la calce. Non sappiamo quando e da chi la calce fu introdotta per la prima volta: esempî datati in Roma ci sfuggono fino al secolo II a. C., mentre in Pompei già si trova usata nel secondo periodo sannitico (300-180 a. C.) ricavata dalla roccia dei monti.
È molto probabile che fossero proprio i Campani a scoprire il procedimento, che cambiò completamente il sistema di costruzione: non più grandi blocchi, cavati con grande lavoro e trasportati con difficoltà da luoghi spesso lontani, bensì piccoli frammenti, levigati o no, che si potevano cavare nel sito stesso, e mescolare con malta, in modo da formare una massa muraria egualmente compatta e solida. Questo principio fu chiamato dagli antichi opus caementicium (v. cementizia, opera), e caementa i sassi adoperati nella muratura. Come è ovvio, i primi caementa furono sassi erratici, di grandezza difforme, e la malta d'impasto povero, cioè male proporzionata. A mano a mano la tecnica si perfezionò, e si raggiunse un potere coesivo di primissimo ordine, che perdura ancora ai giorni nostri.
I caementa, levigati sulla fronte, ma semplicemente sbozzati nei fianchi, formarono dapprima quel paramento che siamo soliti chiamare opus incertum (v. incerta, opera), poi un paramento più accurato con blocchetti tagliati in forma di piramidi tronche, disposte a strati obliqui di 45 gradi, che si chiamò opus reticulatum (v. reticolata, opera). Il primo sistema fu usato dal sec. II a. C. fino all'età di Cesare; il secondo ebbe inizio in questa età e durò fino all'impero avanzato. Con l'età di Domiziano, al reticolato si mescolano i mattoni a grandi riquadri di 3-4 piedi di altezza, e si forma così l'opus mixtum.
Ma prende a poco a poco il sopravvento un nuovo sistema, che sarà poi preferito in tutti i secoli seguenti: l'opus testaceum o latericium (v. laterizî: L'opera laterizia). Non sappiamo come mai i Romani, che praticavano da secoli, come tutti i popoli italici, il principio di cuocere l'argilla in fornace per ricavarne tegulae e antepagmenta, oltre che statue, rilievi, sarcofagi, abbiano cominciato soltanto nell'età di Tiberio - e incidentalmente nell'età di Augusto - a costruire formelle di lateres per rivestirne il paramento dei muri, e a usare il materiale laterizio in piccole scaglie nell'emplecton dei muri stessi.
L'unione del materiale fittile con la calce si mostrò così pratica e così resistente, da non essere più abbandonata. Soltanto per risparmio di denaro, dove abbondava il tufo, questo fu usato ancora in unione al mattone, o come caementa nell'interno, o come paramento, tagliato a piccoli blocchetti parallelepipedi, o disposto a filari alterni con il mattone (opus listatum). È questo il tipo di muratura del tardo impero e dei primi tempi medievali, detto perciò anche opera saracena.
Medioevo ed età moderna. - La tecnica della costruzione muraria ai primordî del Medioevo è quanto mai in decadenza e ciò soprattutto perché, per le nuove costruzioni, si usano materiali raccogliticci tolti ai monumenti del periodo romano. In conseguenza della varietà dei materiali impiegati deriva un'enorme varietà di apparati costruttivi che, talvolta, imitano tipi caratteristici dell'edilizia romana e talaltra invece assumono aspetto ibrido e comunque difficilmente databile.
I vecchi laterizî, le tegole in specie, prima di essere riutilizzate nelle nuove costruzioni, venivano ritoccate con la martellina e ciò anche allo scopo di distaccare la vecchia malta dalle superficie di posa; negli archi, mancando i mattoni cuneati, lo strato di malta aumentava verso la periferia.
Datare i tipi della muratura medievale riesce quanto mai difficile, se non è dato aiutarsi con riferimenti ai particolari decorativi, come regola generale, si può solo dire che l'alto spessore della malta coincide con i secoli di maggiore decadenza. Nelle murature composte di materiali eterogenei, invece, il problema della datazione presenta minori difficoltà, in quanto, nel vivo del muro, si rinvengono frequentemente frammenti di opere decorative e d'iscrizioni, dall'analisi delle quali è dato potersi approssimativamente riferire a periodi definiti. Così C. Ricci nel nucleo murario dei campanili ravennati rinvenne frammenti decorativi facilmente riferibili ai secoli VII, VIII e financo IX. Fondandosi su siffatta testimonianza egli confutò l'ipotesi di molti studiosi che pretendevano fare risalire quelle costruzioni al sec. VI.
I Bizantini trascurarono il processo costruttivo per pilonamento; essi sistemarono le scaglie di pietra nella malta, in maniera tale da stabilire ogni due strati di pietrame un piano di posa regolare. Specialmente nelle costruzioni di carattere militare della zona ateniese essi perpetuarono la disposizione del pietrame a spina di pesce. Monumenti bizantini costruiti completamente con blocchi di pietrame sono assai rari; più spesso i costruttori di quel periodo interruppero la muratura con ricorsi di laterizî. Siffatto apparato murario si differenzia da quello romano, in quanto gli artefici romani usarono generalmente ricorsi a un solo ordine di laterizî, laddove i bizantini difficilmente ne usarono meno di tre. Lo strato della malta ha in questo periodo almeno lo stesso spessore del mattone.
Il tipo di costruzione più caratteristico dei Bizantini è quello a scaglie di pietrae allettate in malta con paramenti in pietra da taglio a conci regolari privi, fra loro, di legamenti metallici. Lo spessore dei letti di malta tra i blocchi regolari del paramento è maggiore di quello del nocciuolo del muro e ciò per ovviare agli inconvenienti derivanti dal diverso coefficiente di assestamento delle due murature.
Nel periodo romanico la muratura segue la tradizione classica e bizantina; sicché è frequente l'uso sia della muratura a cortina, sia di quella in pietrame a blocchi squadrati, per lo più di tufo litoide o di calcare; talvolta anche in questo tipo di muratura ai filari di conci in pietrame si alternano filari di mattoni. Infine non è infrequente il caso della riutilizzazione dei grandi blocchi di tufo dell'opus quadratum romano. Questo tipo di muratura è fra i più irregolari, giacché i blocchi riutilizzati hanno dimensioni diverse che vengono colmate con l'interpolazione di materiali eterogenei.
Un altro tipo, di cui l'uso è ancora meno diffuso, è quello detto "a falsa cortina". In questo caso la muratura si compone di laterizî frammentarî, la sua superficie esterna è tutta velata con malta fine nella quale sono incise, con il taglio della cazzuola, le linee che imitano il falso apparecchio. Nelle illustrazioni si riporta un particolare della sezione del campanile di Santa Maria in Cosmedin a Roma, la cui costruzione rimonta al sec. XI e in cui la falsa cortina è ancora chiaramente visibile. Avviene anche talvolta che i costruttori medievali imitino apparati tipici della tecnica muraria romana, come, per non citare che un esempio, fecero i costruttori di Castel del Monte in Puglia: seguendo uno schema costruttivo adrianeo alternarono zone di opus reticulatum con filari di pietra squadrata.
Data l'impossibilità di dilungarsi qui in uno studio analitico delle strutture murarie del periodo romanico, basterà rammentare come durante questo periodo l'uso del massiccio a getto e del rivestimento in pietra da taglio scompaia del tutto.
L'architettura gotica è realizzata quasi esclusivamente con pietrame squadrato sulle quattro facce. I piani di posa sono condotti con la maggiore cura possibile, affinché i carichi elevatissimi siano equamente distribuiti su tutta la sezione del muro. In questo periodo ritornano in uso i legamenti metallici tra i varî conci. A Notre-Dame di Parigi ricorrono, a intervalli, filari orizzontali, a mo' di cordoli; i conci che li compongono sono fissati l'uno all'altro con elementi metallici.
Durante il Rinascimento i costruttori seguono il sistema romano; eseguono cioè in un primo tempo la parte portante dell'edificio e procedono quindi alla posa in opera degli elementi decorativi che innestano a quella, servendosi delle smorze appositamente lasciate durante la prima fase dei lavori.
In questo periodo il corpo del muro è costituito generalmente da scaglie di pietrame e la pietra da taglio non forma che un rivestimento. Il medesimo processo costruttivo è adottato anche per le costruzioni in cortina. In tutti e due i casi il rivestimento è eseguito dopo un primo assestamento della massa muraria e in due tempi diversi: giacché le cornici delle porte e finestre e i particolari decorativi in genere vengono posti in opera a rivestimento ultimato. Siffatti procedimenti costruttivi perdurano fino a tutto il sec. XVII, il quale può essere ritenuto tra i periodi di maggiore decadenza della tecnica delle costruzioni in Italia; con il sec. XVIII si nota invece una certa ripresa, che verrà poi vieppiù sviluppandosi fino ai tempi moderni.
Murature odierne. - A seconda del loro impiego, della natura dei materiali adoperati nella loro costruzione, del modo e delle caratteristiche inerenti alla esecuzione, le murature si distinguono in una grandissima varietà di tipi. Requisiti comuni a tutti, debbono essere, oltre la solidità, anche numerosi altri. Le murature, oltre a essere costruttivamente resistenti, non debbono risultare troppo impermeabili all'aria, debbono avere buone qualità di coibenza del calore e del suono, non debbono assorbire troppo l'umidità, non debbono offrire campo allo sviluppo di germi.
Da quanto si è detto, si vede come la differenza tra i numerosi tipi di murature dipenda non solo dal presentare essi in maggiore o in minore grado i requisiti suddetti, ma principalmente dal loro impiego nei diversi manufatti e dalla funzione statica che essi hanno. Pertanto si possono raggruppare in due grandi categorie: quelli che hanno essenzialmente un ufficio portante e quelli che servono invece soltanto a limitare gli ambientl, nelle costruzioni in cui la parte statica è affidata a speciali strutture delle quali si dirà appresso.
Fra i primi, che chiameremo tradizionali, possiamo comprendere tutte le murature in pietra da taglio, quelle composte con blocchi di pietre artificiali, quelle di pietrame ordinario, di laterizio, quelle miste di pietrame e mattoni, quelle a getto e infine i diversi tipi di calcestruzzi. Tutte queste murature si suddividono poi in numerose varietà, che hanno particolari caratteristiche d'impiego, a seconda delle numerose qualità e dimensioni dei materiali impiegati, della lavorazione, dei mezzi con i quali i materiali vengono collegati e dei tipi di malte ordinarie, idrauliche o cementizie che vengono adoperate per la loro formazione.
Altre varietà per ciascuno dei tipi suddetti si hanno ancora a seconda del loro particolare impiego nelle strutture di fabbrica. Si hanno così le murature per fondazioni, per le strutture in elevazione, per archi e vòlte, per le strutture sporgenti; vi sono infine quelle a paramento visto; quelle sagomate per la formazione di elementi architettonici e decorativi, quelle di rivestimento e altre. Per tutte queste murature, caratteristica essenziale è quella della solidità e in esse i requisiti statici hanno importanza predominante su tutti gli altri.
La seconda categoria di murature è quella che s'impiega in sistemi costruttivi radicalmente diversi da quelli finora considerati. In essi le pareti sono sdoppiate in un'intelaiatura portante, composta di aste e di travi di materiali di grande resistenza (legno, cemento armato, ferro, ghisa, acciaio) e di pareti di rivestimento e riempimento.
La costituzione dell'organismo di tutto un edificio comprende perciò uno scheletro resistente, connesso direttamente con le coperture e i solai, il che rende l'edificio come una gabbia unica solidale e resistente a tutte le azioni, e le pareti di riempimento dello scheletro, che non avendo funzione statica, vengono a costituire una semplice difesa dagli agenti atmosferici, dal calore e dal suono. Queste pareti vengono formate con murature che, per avere funzioni molto diverse da quelle della categoria precedentemente considerata, debbono presentare qualità e requisiti diversi. Primo e più importante fra tutti i requisiti, quello della leggerezza, per non gravare con ingenti pesi le varie parti dello scheletro; in secondo luogo quelli igienici e protettivi cui abbiamo accennato.
Gli ordinarî tipi di murature, già elencati, male si prestano alla costruzione di questi organismi; le loro caratteristiche di solidità e di forte peso, le rendono inadatte; eseguite in piccolo spessore perdono le qualità di coibenza e di difesa dagli agenti atmosferici. Si sono perciò ricercati, specie in questi ultimi tempi, nuovi tipi di murature più adatte a questi particolari impieghi, che presentassero cioè in sommo grado le qualità di leggerezza, congiunte alla sufficiente solidità, del buon isolamento termico ed acustico, e aventi infine le necessarie qualità igieniche.
Prima di giungere a questi nuovi tipi, vennero in un primo tempo impiegate murature in laterizî forati, tipici del nostro tempo (ove si eccettuino le lontane applicazioni negl'ipocausti romani, le vòlte doliari e altri esempî storici che attestano una ricerca di strutture alleggerite mediante inclusione di vuoti nelle masse murarie). Questi tipi di murature sottili con laterizî forati e a doppia parete, tendenti a ottenere strati d'aria, perfettamente stagni, ottimi coibenti, non si dimostrarono in pratica perfettamente adatti allo scopo, o per lo meno, furono nettamente superati da altri tipi più idonei. Questi vennero migliorati seguendo il vecchio concetto di ottenere la leggerezza delle strutture e le qualità di coibenza, mediante l'inclusione, negli elementi costituenti le murature, di zone vuote, e impiegando materiali poveri e di basso prezzo.
I primi di questi nuovi tipi furono quelli formati con calcestruzzo di scorie di carbon fossile, d'immondizie, e di altri materiali di costo quasi nullo, cui fecero seguito i calcestruzzi di pomice.
A questi si è aggiunta negli ultimi tempi, tutta una serie di materiali ottenuti con procedimenti speciali, che si presentano fortemente porosi, con un numero infinito di piccole cavità sferoidali piene d'aria, le quali conferiscono a essi, oltre che un basso peso specifico, un ottimo potere coibente. Essi sono in gran parte a base di cemento e i processi di fabbricazione più comuni impiegati consistono nel mescolare alla malta fluida di cemento una schiuma di sapone preparata con macchine staffilatrici, oppure sostanze chimiche, le quali, reagendo in presenza del cemento, sviluppano gas che dànno luogo a minutissime bolle e di conseguenza a una struttura spugnosa del materiale. Questi materiali (Zellenbeton, Gasbeton o Aerokret, Skimabeton, Cellulite, ecc.) vengono formati in lastre, blocchetti, ecc., con i quali si costruiscono i muri e le pareti con la stessa lavorazione impiegata nei normali tipi di muratura comune.
Un'altra grande serie di materiali nuovi impiegati nella costruzione delle murature di cui si tratta, sono quelli a base di legno, trucioli, pasta e fibre legnose, canna da zucchero, paglia, segatura e simili, sfruttando le buone qualità di leggerezza, elasticità e isolamento di queste sostanze, che hanno altresì il pregio del basso costo, in quanto utilizzano materiali poveri, residui di altre industrie, ritagli di legno non altrimenti utilizzabili. I trucioli, le fibre e la paglia vengono agglomerati con impasti a base di cemento, con sostanze e mastici di vario genere e compressi in apposite forme; oppure vengono sottoposti a fortissime pressioni e in tal modo uniti; tutto ciò dopo aver reso le sostanze citate imputrescibili e incombustibili. Si ottengono in tale modo materiali per murature (per lo più in lastre di vario spessore), con i quali si formano pareti, solai e soffitti, come con i materiali dei muri comuni. Questi nuovi prodotti hanno molto spiccate, oltre tutte le qualità volute, quelle del buon isolamento acustico e termico, non solo per le proprietà intrinseche dei materiali impiegati, ma anche per il fatto che durante il processo di fabbricazione si vengono a formare infinite celle d'aria nella loro massa. Fra i tipi più conosciuti di questi nuovi materiali per murature, ricordiamo la Carfolite, l'Eraclit, il Tekton, il Celotex, il Maftex, il Temlok, l'Insulite, il Solomit, la Masonite.
Si devono infine citare come fra i più adatti allo scopo i materiali a base di sughero ridotto in minute particelle impastate con catrame o altre sostanze agglomeranti, e formati in lastre o blocchetti mediante compressione. Questi sono per l'Italia di grande importanza, perché non solo presentano in sommo grado le qualità volute, ma anche perché si tratta di materiali di fabbricazione italiana. Uno studio particolareggiato sulla costituzione, caratteristiche, impiego e resistenza statica d'ogni tipo di muratura esulerebbe dallo scopo della presente esposizione, per assumere l'importanza di un trattato dell'arte del fabbricare. Va ricordato soltanto che ogni tipo di muratura è composto di una parte resistente (pietre naturali e artificiali, laterizî, materiali speciali, ecc.) e di una parte che ha l'ufficio di collegare il materiale resistente, sì che il muro divenga un tutto unico e siano impediti i moti isolati dei singoli elementi e sia impedito altresì all'umidità e all'aria di penetrare abbondante attraverso le connessure. Questi materiali di collegamento hanno anche l'ufficio di trasmettere regolarmente e uniformemente la pressione fra i varî elementi resistenti, evitando che, per le irregolarità delle loro superficie di contatto, questi possano scheggiarsi o rompersi e provocare discontinuità e scarsa resistenza nella massa muraria. Numerosi furono i materiali impiegati a questo scopo: l'asfalto, il gesso, la terra, l'argilla; presto completamente abbandonati per dar luogo a tutta l'estesa varietà delle malte. Queste hanno tutte le proprietà di essere adoperate allo stato pastoso e di poter quindi riempire esattamente tutti i vuoti fra gli elementi del materiale resistente, di ripartire regolarmente le pressioni fra essi, di trasformarsi infine, in un tempo più o meno lungo, in sostanza forte e tenace, solidamente aderente al materiale principale. Le qualità costruttive di una muratura dipendono essenzialmente dalle qualità della malta, essendo questa il componente che presenta resistenza minore. Più una malta, una volta indurita, sarà resistente e tenace e più saranno eccellenti le qualità resistenti del muro. È inutile impiegare in una muratura pietre o materiali di alta resistenza con una malta cattiva; le qualità della muratura non potranno che risultare scadenti. Altro requisito essenziale che si deve ricercare in tutti i tipi di muratura è quello della regolarità della forma, dei collegamenti e della disposizione di tutti gli elementi di pietra o altro materiale resistente. Le connessure debbono essere quanto più sottili è possibile, in modo da impiegare poca malta e limitare l'entità della parte meno resistente; i giunti verticali di elementi sovrapposti debbono risultare sfalsati, in modo da evitare linee di eventuali fratture della massa. Nei muri agglomerati, costituiti cioè dall'unione con abbondante malta di materiale resistente informe, ridotto in pezzi minuti (calcestruzzi ordinarî e di cemento, ecc.), quello cui si deve badare è l'eccellente qualità della malta che ha funzione di principale importanza, le dimensioni degli elementi inerti e la dosatura dei componenti, in modo che la quantità di malta sia quella strettamente necessaria per riempire tutti i vuoti fra i diversi frammenti. Infine, per quanto si riferisce alle qualità pratiche dei materiali principali delle murature, questi debbono presentare buona resistenza costruttiva, sufficiente durezza e tenacità, facile lavorabilità, inalterabilita alle intemperie, durevolezza, stabilità chimica, impermeabilità, affinità con le malte, porosità sufficiente a permettere la permeabilità all'aria.
Per le notizie specifiche sulle murature, si rimanda il lettore ai più noti trattati che si elencano qui appresso.
Bibl.: A. Nibby, Del Foro Romano e della Via Sacra, Roma 1819, p. 7 segg. (trattato preliminare); J. H. Middleton, Remains of Ancient Rome, Edimburgo 1892, I, p. 36 segg.; J. H. Parker, Archaeology of Rome, I: Construction of Walls, Londra 1874; J. Durm, Die Baukunst der Etrusker und Römer, 2ª ed., Berlino 1905; E. V. Van Deman, Methods of determining the date of Roman concrete Monuments, in American Journal of Archaeology, XVI (1912), pp. 230-251 e 387-432; R. Lanciani, Ruins and Excavations of ancient Rome, New York 1897, p. 43 segg.; G. T. Rivoira, Architettura romana, Milano 1921, p. 20 segg.; W. Anderson e R. Spiers, The Architecture of ancient Rome, nuova ed. a cura di T. Ashby, Londra 1927, p. 26 segg.
Per il muro moderno, G. Curioni, Costruzioni civili stradali e idrauliche, Torino 1872; Sacchi, L'economia del fabbricare, Milano 1879; P. Planat, L'art de bâtir, Parigi 1904-1908; C. F. e G. A. Mitchell, Brickwork and Masonry, Londra 1908; C. Formenti, La pratica del fabbricare, 2ª ed., Milano 1909; G. Revere, Le prove dei materiali da costruzione e le costruzioni in cemento armato, Milano 1910; H. Germer, Mauerwerkunstersuchungen, Berlino 1910; T. W. Barber, Civil engineering types and devices, Londra 1914; E. Barberot, Traité des constructions civiles, 4ª ed., Parigi 1912; C. Levi, Trattato teorico-pratico di costruzioni civili, rurali, stradali e idrauliche, Milano 1919, I; C. E. See, Traité pratique de construction moderne, Parigi 1926; L. Santarella, Il cemento armato, Milano 1926; G. A. Breymann, Trattato generale di costruzioni civili, Milano 1927; C. Guidi, Il costruttore edile, Milano 1927; G. Rizzi, Manuale del capomastro, Milano 1927; G. Pincherle Muratori, La pratica delle costruzioni, Roma 1928; Astorri, Il cantiere edile, 1931; G. Giovannoni, Corso di architettura, Roma 1931; G. Wasmuth, Lexikon der Baukunst, III, Berlino 1931 (voce Mauerwerk); E. A. Griffini, Costruzione razionale della casa, Milano 1932-33; L'arte moderna nel fabbricare, a cura di varî autori, Milano 1916 segg.; G. Musso e Copperi, Particolari di costruzioni civili e rurali, Torino 1912; G. Vacchelli, Costruzioni di calcestruzzo e in cemento armato, Milano 1920; R. Champly, Nouvelle encyclopédie pratique du bâtiment et de l'habitation, Parigi 1910 segg.; F. Emperger, Handbuch für Eisenbetonbau, Berlino 1921 segg.; Handbuch der Architektur, III, Lipsia 1914 segg.
Muro di sostegno.
In generale si chiama muro di sostegno un'opera muraria destinata a contenere e sostenere un terrapieno. La sua applicazione si riscontra in tutti i rami della tecnica costruttiva, opere idrauliche, marittime, di bonifica, ecc., ma più specialmente nella costruzione di strade ordinarie e ferrate. Si distinguono in generale in muri di sostegno propriamente detti, muri di sottoscarpa e di controripa.
Vengono chiamati muri di sostegno (figg. 23, 24) quei manufatti che servono a sostenere il riporto di terra per una strada e la cui sommità raggiunge il piano stradale; muri di sottoscarpa (fig. 25), sono quelli che, pur avendo la stessa destinazione, non raggiungono il piano stradale; muri di controripa (fig. 26) sono invece quelli destinati a sorreggere il terreno tagliato in posto a scarpa ripida. Fra i primi due tipi non vi è quindi differenza sostanziale, all'infuori di quella accennata. L'adozione di uno piuttosto che dell'altro è subordinata a particolari ragioni economiche o pratiche. Col muro di sottoscarpa si ottiene in generale una sensibile economia di costruzione rispetto al muro di sostegno, ma ne consegue una maggiore occupazione di terreno con la scarpata.
Una differenziazione più netta, per forma, dimensioni, metodi di costruzione, ecc., esiste invece fra i muri di sostegno e di sottoscarpa è quelli di controripa. I primi, costruiti per lo più a sostegno di rilevati stradali, sono soggetti alle spinte trasmesse da terre, inizialmente incoerenti e anche a quelle degli eventuali sovraccarichi mobili sulla strada; i muri di controripa invece, costruitì di solito per sostenere il terreno tagliato in posto per la costruzione di strade in trincea o a mezza costa, sono soggetti, per lo più, alle eventuali deboli spinte di questi terreni che già manifestano un certo grado di coesione. Inoltre, i muri di sostegno e di sottoscarpa, fin dall'inizio della costruzione, si debbono poter reggere da sé, tranne eventuali disposizioni costruttive che peraltro risultano costose, mentre i muri di controripa possono essere costruiti appoggiandoli sul terreno tagliato. A questi ultimi può essere quindi assegnata una più forte inclinazione.
Un'ultima categoria di questi manufatti è costituita dai muri di sponda. Sono analoghi a quelli di sostegno o di controripa, secondo la particolare destinazione, e vengono chiamati così perché costruiti sulle rive dei fiumi e del mare per scopi diversi.
Una classificazione dei muri di sostegno può essere posta in relazione alla natura della muratura. Si hanno così muri a secco, in muratura di malta, in muratura mista, in calcestruzzo di cemento, in cemento armato.
Le forme che tali murature possono assumere sono legate, oltre che alle necessità costruttive, anche allo scopo a cui debbono servire, alle spinte a cui possono andar soggette, alle condizioni del terreno. Svariati sono i tipi usati nella pratica, ma l'esperienza di molti lavori eseguiti ha consigliato un numero limitato di forme.
Muri a secco. - Risultano naturalmente di spessore maggiore degli altri ed esigono, oltre a un'esecuzione accurata, anche un materiale scelto, preparato in pezzi sgrossati, di grandezza proporzionata allo spessore del muro, in modo da realizzare un buon legamento fra i varî elementi. Si adottano fino a 6 m. di altezza e raramente fino a 10 m., nel qual caso è necessario disporre a varia altezza dei corsi regolari con malta, per conseguire una più efficace distribuzione dei carichi. La loro adozione può riuscire conveniente solo in terreni rocciosi, che possono fornire un abbondante buon materiale. Per muri di controripa non sono quasi mai adottati, perché gli spessori maggiori, che occorre assegnare a queste murature, obbligherebbero a un maggior escavo. Molto adottati sono invece per muri di sottoscarpa, raramente per muri di sostegno. Il paramento esterno è quasi sempre inclinato 3/2. Il paramento contro terra è invece per lo più a filo spezzato, a strapiombo nel tratto inferiore (fig. 27), verticale o quasi dove non è più possibile appoggiarlo contro terra o la muratura deve reggersi da sé. Qualche volta, specialmente quando il muro deve risultare relativamente alto, anche la parte al disopra del terreno in posto può essere costruita a strapiombo, appoggiandola a un piano eseguito preventivamente con pietre, il quale però deve tenersi distinto dal muro, perché un legamento fra i due potrebbe riuscire dannoso per qualche eventuale diverso assestamento.
Questi muri non hanno in generale bisogno di fondazioni particolari. La base di essi viene per lo più spinta fino allo strato sodo atto a ricevere i carichi da essa trasmessi.
Muri con malta. - Sono più comuni dei precedenti e la loro costruzione non richiede in generale un materiale scelto; il legamento fra i varî pezzi viene conseguito con la malta. Consentono spessori minori e altezze e forme svariate, adatte allo scopo per cui vengono costruiti e alle particolari forze a cui possono andar soggetti. Possono essere con o senza contrafforti e quest'ultimi possono essere interni o esterni.
I più diffusi sono i muri senza contrafforti, i quali presentano anche la più ampia varietà di forme.
Raramente adottati sono quelli a sezione rettangolare perché risultano troppo pesanti e poco economici. Si preferisce aumentare gli spessori con la profondità, così come aumentano le sollecitazioni esterne, assegnando al muro un profilo a paramenti inclinati o a gradoni, come è indicato nelle figg. 23, 36. Non è opportuno però assegnare al muro in sommità uno spessore limitato, sia per non ridurre eccessivamente il peso, sia anche per non avere paramenti troppo inclinati, in special modo quello esterno. Una delle forme più semplici è quella della fig. 29, cioè con paramento interno verticale ed esterno inclinato (in generale 1/5).
Per altezze forti, ad es., superiori ai 10 m., col paramento esterno inclinato e con quello interno verticale si avrebbe una base molto ampia. Vi si rimedia assegnando anche al paramento interno una conveniente inclinazione dello stesso senso di quello esterno (muri a strapiombo, fig. 30).
Nei muri di sostegno e di sottoscarpa l'inclinazione del paramento interno è in generale minore di quello esterno e tale che il manufatto possa reggersi da sé anche durante la costruzione. Nei muri di controripa invece lo strapiombo può essere tenuto maggiore perché si costruiscono adagiandoli sul terreno sodo tagliato. In questi muri anche l'inclinazione del paramento esterno può essere superiore al 0,20 e quella del paramento interno può essere tenuto dello stesso valore (muro sdraiato).
Nei muri di sottoscarpa, per ridurre lo spessore alla base, si può costruire la parte interrata nel terreno sodo a strapiombo più forte (fig. 31) e quella sopraelevata invece verticale o quasi.
Per necessità statiche e sempre allo scopo di ridurre gli spessori che si avrebbero alla base con solo paramento esterno inclinato, si può adottare, tanto per il profilo esterno quanto per quello interno, una spezzata inclinata nello stesso senso (fig. 32), oppure il profilo curvilineo, detto inglese, ottenuto mediante raccordo del profilo spezzato. Entrambi questi tipi vengono però adottati raramente per la difficoltà della costruzione, e quasi sempre per altezze superiori ai 6 metri.
L'ingrossamento della base per necessità statiche si può ottenere assegnando al muro un profilo pentagonale, come è indicato nella fig. 33. Con un simile espediente però si avrebbe una parte troppo inclinata, perciò si preferisce raggiungere lo scopo assegnando anche al paramento interno un profilo inclinato positivamente (fig. 34) oppure a gradoni (fig. 23).
I muri con contrafforti sono usati più raramente dei precedenti. Si costruiscono con speroni interni o esterni, oppure dalle due parti. Il muro continuo prende il nome di maschio, esso viene raccordato agli speroni con smussi o con raccordi circolari. I contrafforti interni si adottano poco e principalmente per sostenere i muri a strapiombo. In generale essi non apportano sensibile beneficio alla stabilità del muro contro la spinta delle terre. Gli speroni esterni (figura 35) invece aumentano la stabilità del maschio anche contro la spinta delle terre; possono essere applicati anche a muri già costruiti e che manifestano una deficiente stabilità.
In generale gli speroni si pongono a una distanza uguale a 3 ÷ 4 volte lo spessore del muro alla sommità dei contrafforti. Il maschio può costruirsi arcuato fra i contrafforti. Spesso anche gli speroni vengono uniti in sommità con archi. In questo caso il maschio può essere costruito con muratura a secco.
Nella fig. 36 è visibile un tipo di muro, in vista e sezioni, con contrafforti esterni e interni oppure solo esterni, come è indicato schematicamente in pianta, e maschio arcuato. I contrafforti esterni sono uniti con archi in sommità, i contrafforti interni sono uniti anch'essi con archi, ma a varie altezze.
Modalità costruttive dei muri con malta. - Il paramento esterno dei muri con malta è opportuno tenerlo liscio per evitare che l'acqua piovana penetri nei giunti.
Se il paramento è inclinato, conviene tenere i giunti normali a esso; in tal modo si ottengono superficie lisce se si usano mattoni, e non occorre tagliare ad angolo acuto il pietrame che s'impiega. Si deve aver cura di evitare, con opportune cautele, la raccolta dell'acqua a monte dei muri, disponendo opportune cunette e provvedendo il muro di feritoie per lo scolo delle acque retrostanti.
Le fondazioni dei muri sono in relazione alle caratteristiche di resistenza del terreno sottostante. Su terreno buono, atto a ricevere il carico trasmesso dalla base del muro, questa può essere impostata su esso; il piano di appoggio risulterà allora normale al paramento esterno. Quando occorre invece una vera e propria fondazione, si provvederà allargando la base con riseghe. Nei terreni compatti o rocciosi sarà sufficiente predisporre il piano di appoggio a circa 50 cm. sotto il livello di campagna, diversamente si scenderà fino al terreno sodo. Se la superficie del terreno è molto inclinata si può sistemare lo scavo a gradini (fig. 23), così si otterrà un risparmio di muratura. In presenza di rocce stratificate, per evitare scoscendimenti, conviene interessare varî strati con opportuni gradoni di fondazione. In ogni caso è sempre necessario battere bene il terreno di fondazione e, se esso è cattivo, conviene ricorrere a palificate di sostegno o di costipamento (v. fondazioni). I muri toccati da corsi d'acqua debbono essere protetti mediante scogliere o gettate di grossi elementi.
È opportuno disporre alla sommità dei muri un coronamento di lastre di pietra; nei muri di sostegno si esegue come indicato in fig. 23, cioè tagliando, oltre lo spessore su cui va impostato il parapetto, il muro a 45°. Il coronamento del parapetto può essere eseguito con lastre di pietra o con mattoni disposti a coltello. Nei muri di sottoscarpa il coronamento si fa con una banchina orizzontale di lastre di pietra e tagliando l'eccedenza ad angolo retto, oppure raccordando il paramento esterno con la scarpa del terreno (fig. 37).
Muri di calcestruzzo. - I muri di calcestruzzo di cemento non armato non differiscono dai precedenti, se non per gli spessori più limitati, consentiti dalla maggiore resistenza offerta dal materiale e dalla solidarietà di tutta la struttura.
La costruzione è molto facile e può essere eseguita in tempo molto breve. Costruite le casseforme di legname basterà versarvi dentro il calcestruzzo a strati ed eseguire un'energica battitura. Per garantire lo sfogo delle acque d'infiltrazione nel terrapieno, questi muri si costruiscono a tronchi separati da piccole fenditure, che a tergo vengono protette dall'interramento con pietrame a secco.
Questi tipi di muri, più economici degli altri, tendono a diffondersi sempre più. Largamente impiegati sono nelle costruzioni marittime per muri di sponda. In questi lavori il getto di calcestruzzo deve essere eseguito però con accuratezza per evitare il dilavamento delle malte. Qualche volta si preferisce costruire il muro con massi artificiali di calcestruzzo preparati fuori opera. Essi possono raggiungere dimensioni di 2÷3 metri sia in larghezza sia in altezza, e vengono messi in opera con delle gru di sollevamento. Conviene disporre i massi in filari orizzontali sovrapposti con giunti verticali ricorrenti su tutta l'altezza del muro. Il muro viene così a essere costituito da tante pile a contatto, indipendenti fra loro, e quindi può seguire i cedimenti eventuali del terreno senza sconnettersi. L'adozione di giunti verticali alternati non è consigliabile poiché in caso di cedimenti ineguali del fondo i massi assumono delle posizioni inclinate e in essi possono provocarsi degli sforzi di flessione che ne producono la rottura.
Nella fig. 38 è visibile un muro di sponda costruito con calcestruzzo versato in posto in casseri, nelle figg. 39 e 40 due tipi di muro eseguiti con massi artificiali costruiti fuori opera, rispettivamente con la base poggiante direttamente sul fondo e su un imbasamento di pietrame minuto. È sempre consigliabile, nell'uno o nell'altro caso, predisporre il terreno di fondazione spianandolo e costruire a tergo dei muri un rinfianco di pietrame che serve a far diminuire la spinta del terrapieno.
Muri di cemento armato. - I più semplici sono costituiti essenzialmente da una parete verticale collegata a una lastra di base.
Possono essere senza o con speroni. I muri senza speroni non differiscono da quelli di calcestruzzo se non per il minore spessore e per il comportamento statico che è quello di una mensola incastrata alla base. Inoltre essi possono sopportare sforzi di flessione ancora maggiori per la presenza dell'armatura metallica nella parte tesa.
Per limitare l'impiego del ferro conviene assegnare al muro spessori convenienti e tenere i paramenti inclinati in modo da aumentare le dimensioni con la profondità.
Nella fig. 41 sono riprodotti due esempî di muri di calcestruzzo armato con piccole piastre di base, nella fig. 42 un altro con piastra di base molto ampia, necessaria per la stabilità. Nei disegni è visibile anche l'armatura, distribuita opportunamente secondo l'andamento degli sforzi e tenuta opportunamente distante dai bordi per evitare l'arrugginimento.
Le piastre di base possono anche farsi sporgere verso l'esterno per evitare il ribaltamento e cercare di centrare la risultante delle forze. Non bisogna però aumentare la sporgenza esterna a scapito di quella interna per la stabilità allo scorrimento, la quale è evidentemente favorita dal peso del terreno sovrastante la lastra interna. Qualche volta, per evitare lo scorrimento, si munisce la piastra di base di uno sperone di ammarro, o anche si dispone il piano di appoggio sul terreno leggermente inclinato e pressoché normale alle varie direzioni che può assumere la risultante delle forze (fig. 42).
I muri di cemento armato con speroni sono molto diffusi. Gli speroni si costruiscono in generale verso il terrapieno, vengono incastrati alla piastra di base e contribuiscono alla stabilità dell'opera. La distanza reciproca varia da 2 a 4 m., con preferenza per gl'interassi minori perché consentono di realizzare una maggiore economia. I varî elementi, parete, speroni e piastra di base, vengono raccordati a mensola. La parete allora funziona come una piastra incastrata su tre lati e viene armata opportunamente.
Le spinte vengono trasmesse in parte agli speroni, che funzionano così come mensole a T incastrate alla base. Qualche volta alla sommità si dispone una soletta, la quale, potendo funzionare come trave orizzontale, consente l'incastro della parete verticale anche nella parte superiore.
Nella fig. 43 è visibile la disposizione d'armatura di un muro di sostegno con speroni, sia in questi sia nella parete verticale e nella piastra di base. A quest'ultima è conveniente assegnare sempre un opportuno spessore per renderla sufficientemente rigida da consentire l'ipotesi di distribuzione lineare delle pressioni sul terreno.
Qualche volta, in terreni cattivi, questi muri s'impostano su pali di sostegno che trasmettono gli sforzi agli strati sottostanti del terreno. La disposizione però è usata molto raramente perché prolungando la piastra di appoggio è in gmerale possibile ridurre le pressioni sul terreno a quelle consentite con sicurezza.
Anche questi muri si costruiscono in tronchi separati da giunti verticali i quali consentono la libera dilatazione per effetto della temperatura e inoltre servono da sfogo alle acque filtranti nel terrapieno sostenuto.
Per i muri di sponda sono adottati largamente dei tipi costituiti da cassoni di cemento armato, riempiti successivamente da calcestruzzo magro. Essi consentono una maggiore celerità nell'esecuzione dell'opera e possono essere costruiti in scali di alaggio anche lontani dal luogo di impiego, e poi trasportati in posto mediante galleggiamento. Questi cassoni possono essere divisi in celle da diaframmi trasversali e longitudinali. La loro sezione è spesso trapezia, con base allargata con ali sporgenti. La loro lunghezza può raggiungere anche i 25 m., mentre la larghezza totale è in relazione alle spinte a cui devono essere assoggettati.
I cassoni trasportati sul luogo d'impiego vengono affondati riempiendo le celle di calcestruzzo magro. È sempre necessario però predisporre prima dell'affondamento il piano del terreno di appoggio orizzontale, e, quando il terreno non è sufficientemente compatto, è opportuno interporre uno strato di sabbia o di materiale più o meno minuto secondo le caratteristiche di resistenza del terreno sottostante.
Nelle figure 44 e 45 sono rappresentati due tipi di tali muri in alti fondali, con la parte sotto acqua a cassoni, rispettivamente di m. 8,50 e m. 13 di altezza.
Altri tipi di muri vengono adottati in pratica, ma tralasciamo di accennarli perché di minore importanza e derivati dai precedenti.
Spessore dei muri. - Lo spessore dei muri è variabile, dipendendo dalle caratteristiche di resistenza dei materiali, dalla forma del muro, dalle condizioni del terreno di fondazione e di quello sostenuto e dal tipo di costruzione, muratura a secco o con malta, di calce o di cemento, o di cemento armato con o senza contrafforti o a cassoni, ecc. Non è possibile quindi, per brevità, considerare i diversi casi.
Ci occuperemo solo dei tipi più correnti, in malta di calce e senza contrafforti, considerando le forme che, per l'esperienza di moltissimi lavori eseguiti sono le più adottabili nei casi più comuni, e diamo le formule adottate nei diversi casi dal servizio delle costruzioni della Società Italiana delle Strade Ferrate Meridionali per il calcolo degli spessori dei muri di sostegno delle stesse ferrovie, per un valore dell'angolo di attrito uguale a ~ 350, corrispondente al caso di molte terre asciutte di ordinaria consistenza, e per un peso del muro di 2200 kg./mc. circa. Questi spessori del resto, possono dare un'idea di quelli da assegnare ad altri tipi e in condizioni statiche diverse, così, ad es., per strade ordinarie possono essere senz'altro ridotti.
Indichiamo con s lo spessore in sommità, con h l'altezza del muro e con h′ quello dell'eventuale sovraccarico sulla strada.
Per le Strade ferrate del Mediterraneo si sono tenuti in generale i seguenti spessori:
1. Muri di sostegno della ferrovia in rilevato:
a) paramento esterno verticale e interno a riseghe con inclinazione risultante di 0,20 per m. : s = 0,22 h.
b) Profilo a strapiombo, esterno di 0,20 e interno di 0,10 : s = m. 0,60 per h ≤ 3 m., s = m. 2,80 per h = 18 m.
Per altezze intermedie si può interpolare linearmente.
2. Muro di sottoscarpa: profilo a strapiombo come per il caso b precedente e per h ≤ 1,25 h′ : s = h/3 + 0,10h′.
3. Muri di controripa: profilo a strapiombo, esterno 0,30, interno 0,25 : s = m. o,80 per h ≤ 5 m.; s = m. 2,57 per h =18 m.
Per altezze intermedie si può ritenere una variazione lineare.
In terreni brecciosi si teneva in generale s = 0,10 h con un minimo di m. 0,50.
Inoltre con sede stradale a mezza costa, in terreni molto inclinati e con scarpa esterna inclinata di 0,20 e interna verticale, a riseghe di 10 cm. per metro di altezza, partendo dalla sommità, si faceva:
a) per muri terminanti a livello delle rotaie: s = 0,12 h con un minimo di m. o,70.
b) per muri di sottoscarpa si aumentava lo spessore determinato con la formula precedente di: o,02 h; 0,03 h; o,04 h; 0,o7 h; o,09 h; 0,11 h; secondo che l'altezza del piano delle rotaic dal coronamento del muro era meno di 3 m. oppure 4, 5, 10, 15, 20 m. Non si adottavano spessori inferiori a m. 0,50.
La direzione generale delle Ferrovie dello Stato ha stabilito alcuni tipi per le diverse categorie di muri e gli spessori minimi corrispondenti da assegnare, i quali sono riportati nelle "modalità da adottarsi per la compilazione dei progetti di manufatti, muri e gallerie" per le ferrovie stesse.
Qualche autore ha dimostrato come gli spessori precedenti e quelli stabiliti dalle Ferrovie dello Stato risultano in generale leggermente esuberanti.
Verifica di stabilità dei muri di sostegno. - Il calcolo diretto dei muri di sostegno riesce in generale alquanto laborioso, per cui si preferisce in pratica progettare per interpolazione fra casi analoghi le dimensioni di massima ed eseguire il calcolo di verifica.
Per la verifica di stabilità, i muri di sostegno di pietrame con o senza malta si considerano costituiti da una serie di corpi semplicemente appoggiati fra loro, sotto l'azione della spinta e del peso; per ciascun giunto deve potersi verificare la stabilità alla rotazione, allo scorrimento e allo schiacciamento.
È consigliabile che la curva delle pressioni rimanga compresa fra le linee di nocciolo, per modo da avere tutte le sezioni compresse. Solo nei muri di cemento armato, per la presenza dell'armatura metallica di trazione, si può prescindere da tale considerazione. Ciascuna sezione può essere verificata con le solite regole della pressoflessione facendo astrazione della resistenza a trazione del calcestruzzo.
Nei muri di pietrame con malta, se la curva delle pressioni esce fuori dalle linee di nocciolo, basterà verificare che nella parte reagente a compressione le tensioni non superino quelle ammissibili con tutta sicurezza.
Consideriamo per semplicità un muro di sostegno a sezione rettangolare e, per fare il caso più generale, prendiamo in esame un giunto qualsiasi AB, di larghezza d (fig. 46). Consideriamo una striscia di muro di profondità b = 1 m.
Sia P il peso della parte di muro sovrastante, S la risultante della spinta del terrapieno e dell'eventuale sovraccarico, di componente orizzontale H e verticale V. Se S è la spinta relativa al terrapieno limitato fino alla sommità del muro, cioè al piano CD, il punto di applicazione è a ⅓ di BC. La spinta indotta dal sovraccarico, cioè dal carico al disopra del piano CD, è invece applicata a ⅓ di BC.
La verifica al ribaltamento attorno allo spigolo A fornisce: P•z + V•d ≥ H•a. Per la sicurezza è consigliabile che il primo membro sia 1,5 volte circa il secondo.
La verifica allo scorrimento, se f è il coefficiente di attrito fra muratura e muratura, deve fornire: (P + V)f ≥ H.
Anche questo primo membro deve risultare, per sicurezza, alquanto maggiore del secondo.
Componendo le varie forze, la risultante R passerà dal punto N, distante da A di:
Se u è > di d/3, il punto N è interno al nocciolo e tutta la sezione è compressa.
Le tensioni saranno:
in cui e è l'eccentricità del carico rispetto al baricentro G della sezione, cioè: e = d/2 − u.
Se u 〈 d/3, come è il caso in figura, allora il punto N cade esternamente al nocciolo, cioè fuori del segmento β α = d/3, e la sezione è in parte tesa.
Non essendo consigliabile fare assegnamento sulla resistenza a trazione della malta, si eseguirà la verifica sulla parte reagente che risulterà larga 3 u. A un estremo di questa sezione teorica la compressione sarà nulla, all'estremo A assume invece il valore: σA = 2(P + V)/3 u b sempre però che N sia fra A e G; per N fra B e G, basterà riguardare questo punto, per la verifica allo schiacciamento, come se fosse A. Per il ribaltamento e lo scorrimento le cose non cambiano.
In ogni caso σ non deve superare la tensione ammissibile con tutta sicurezza sul materiale.
Un'analoga verifica deve essere condotta per la sezione di base. In questo caso per f si terrà il coefficiente d'attrito fra terra e muratura e per σ il carico di sicurezza sul terreno.
Se la sezione non è rettangolare il procedimento è analogo.
Varieranno naturalmente le posizioni dei punti α e β, e per la verifica allo schiacciamento sarà da adottare la formula generale della pressoflessione come è detto alla voce fondazioni.
Bibl.: F. Crotti, Sulla spinta delle terre, Milano 1875; G. Crugnola, Sulla spinta delle terre, Torino 1880; Strade Ferrate Meridionali, Tipi di opere d'arte, Ancona 1898; A. Castigliano, Manuale pratico per gli ingegneri, Torino 1882-88; V. Baggi, Corso di costruzioni stradali, Torino 1926; C. Guidi, Lezioni sulla scienza delle costruzioni, parte 5ª, Torino 1929; C. I. Azimonti, Considerazioni e dati teorico-pratici sui muri di sostegno, di sottoscarpa e di controripa, Roma 1917; A. Pasini, Costruzione delle strade ordinarie e ferrate, Milano 1923; A.F. Jorini, Teoria e pratica della costruzione dei ponti, Milano 1917; Moersch, Teoria e pratica del cemento armato, Milano 1930; P. Periani, Progettazione ed esecuzione delle opere marittime, parte 2ª: Atti, ricerche, studi della Scuola di specializzazione per le costruzioni in cemento armato, presso il Politecnico di Milano, Milano 1933.
Comunione coattiva di muro.
La natura giuridica della cessione coattiva della comunione del muro, disciplinata dall'art. 556 cod. civ., la cui origine risale alle consuetudini di Francia, è un tema che diede luogo a varie dottrine, tra le quali, peraltro, appare preferibile quella dominante che ravvisa, nel suddetto rapporto, una vendita con carattere coattivo, giustificata prevalentemente da ragioni d'interesse privato.
La legge stabilisce espressamente (art. 571 cod. civ.) che, quand'anche non si fabbrichi sul confine, se non si lascia da questo la distanza di almeno un metro e mezzo, il vicino può chiedere la comunione del muro e fabbricare fin contro il medesimo, pagando anche il valore del suolo che verrebbe da lui occupato; e la dottrina dominante ritiene che la disposizione ricordata non riguardi soltanto l'ipotesi, più frequente del resto, in cui il vicino voglia fabbricare appoggiandosi al muro, o, quanto meno, che essa sia suscettibile d'interpretazione analogica. Il vicino può rendere comune il muro in tutto o in parte, purché lo faccia per tutta l'estensione della sua proprietà (art. 556 cod. civ.); il che ha da riferirsi, giusta l'insegnamento più persuasivo, al caso in cui la comunione del muro si domandi per appoggiarvi un edificio o parte di esso, nel senso che la comunione deve acquistarsi per tutta l'estensione dell'edificio di proprietȧ dell'acquirente, in larghezza e profondità, anche sino alle fondamenta se egli è proprietario dei piani inferiori. Una siffatta limitazione della proprietà non può essere senza un compenso, che è costituito dalla metà del valore attuale del muro e del suolo su cui il muro stesso è costruito; di più, la legge impone all'acquirente, risolvendo una questione vivamente dibattuta sotto l'impero del diritto francese, l'obbligo di eseguire le opere necessarie per non danneggiare il vicino.
La cessione coattiva della comunione del muro subisce delle eccezioni. Una prima, espressamente statuita, le sottrae gli edifici destinati all'uso pubblico. Che si debba poi intendere per edifici destinati all'uso pubblico, è questione che rientra nella dottrina generale della demanialità; un'interpretazione ampia appare, tuttavia, più consona allo spirito e alla lettera della disposizione. Un'altra eccezione, ispirata alla necessità di non danneggiare il vicino, si verifica quando esistano, a favore del proprietario del muro e contro il vicino che domanda la comunione, servitù che verrebbero pregiudicate dall'acquisto della comunione stessa (servitù di luce, di prospetto, ecc.); con le quali, peraltro, non vanno confuse le luci e finestre con inferriate e invetriate fisse, che, secondo dispone l'art. 584 cod. civ., non solo non vietano di chiedere la comunione, ma possono venir chiuse dal vicino con l'appoggiarvi (e solo in questo modo) il proprio edificio.
La comunione coattiva di un muro si ha pure nella facoltà riconosciuta di poter costringere il vicino a contribuire alle spese di costruzione o di riparazione dei muri di cinta, che separano le rispettive case, i cortili e i giardini, situati nelle città e nei sobborghi (art. 559 cod. civ.). Anche questa limitazione della proprietà è dettata da prevalenti ragioni d'interesse privato, con riflessi di ordine pubblico. La legge parla di case, cortili e giardini, ma l'enumerazione non ha da ritenersi tassativa, secondo l'opinione più attendibile.
In mancanza di regolamenti particolari o di una convenzione, l'altezza del muro sarà di tre metri; se i due fondi sono a livello diverso, dispone l'art. 560 che l'altezza dovrà misurarsi dal fondo più alto e che le spese di costruzione e di riparazione del muro fino all'altezza del proprio suolo, sono a carico del proprietario del fondo superiore. Quest'ultima disposizione, che risolve una questione vivamente agitata in Francia, ma, per lo più, risolta in senso contrario, nel silenzio della legge francese, offre il fianco a gravi critiche, già perché non par equo gravar la mano su uno dei vicini, di fronte a una limitazione destinata ad arrecare reciproca utilità; e in quanto, per sottrarre poi il vicino a un'imposizione che avrebbe potuto essere, bene spesso, assai gravosa, si sentì la necessità di concedergli la facoltà, ove non voglia contribuire alle spese di costruzione o di riparazione di un muro divisorio, di esimersene, cedendo la metà del terreno su cui il muro deve essere costruito e rinunziando al diritto di comunione (art. 561 cod. civ.).
Bibl.: C. Ferrini e G. Pulvirenti, Delle servitù prediali, Torino 1908, I, p. 197 segg.; E. Pacifici-Mazzoni, Servitù legali, in Il codice civile italiano commentato, II, Torino 1927, n. 400 segg.; A. Butera, Muro comune, in Dig. ital., XV, p. 1100, n. 18; L. Ramponi, Comunione coattiva di muri e distanze legali tra edifici, in Giurispr. ital., IV (1909), p. 265 segg.; id., Comproprietà, Torino 1922, p. 520 segg.; A. Verga, Appunti sul diritto di medianza, in Foro ital., I (1926), p. 465 segg.; V. Angeloni, Concetto e limiti del diritto di acquistare la comunione del muro di confine, in Corte di cass., 1928, p. 11 segg.; F. Cammeo, La servitù stabilita dall'art. 559 cod. civ. e la prova della proprietà del fondo dominante, in Giurispr. ital., I (1928), p. 138 segg.
Mura di città.
Antichità. - Per le mura in genere e per i metodi di fortificazione seguiti dagli antichi vedi fortificazione; qui si esaminano le mura di cinta dal punto di vista costruttivo.
Nei terreni accidentati si sceglieva per la fondazione di una città la sommità di una collina, e si facevano correre le mura un po' al disotto della vetta, colmando il vuoto fra le mura verticali e le pendici oblique del colle col materiale ricavato dalla demolizione delle asperità del colle stesso: è questo il sistema adoperato in tutte le città a sistema poligonale, sia in Grecia sia in Italia; molto spesso la roccia tagliata sulla vetta serviva a costruire le mura, rotolando i blocchi giù per le pendici, fino a collocarli al loro posto. Tracciata la linea delle mura si tagliava un piano nella roccia viva, che doveva servire da piano di fondazione, e su questo si disponeva una prima fila di grossi blocchi, riempiendo la parte posteriore con altri blocchi di volume minore e terra; quindi si livellava ogni cosa, formando un nuovo piano, sul quale si compiva la stessa operazione precedente, sempre trasportando i blocchi dall'alto verso il basso, il che spiega come in quei tempi remoti le maestranze abbiano potuto manovrare a così notevoli altezze massi del peso di parecchie tonnellate.
Nelle città in pianura, la costruzione delle mura, quando queste non erano fatte di mattoni, avveniva col sistema abituale di piani inclinati di legno o di terra, sui quali i massi venivano rotolati o tirati a mezzo di rulli, fino al punto stabilito. Generalmente in queste città, invece dell'opera poligonale, si preferiva l'opera quadrata, che permetteva di tagliare blocchi più piccoli, e quindi di trasportarli più facilmente a notevole altezza, formando dei piani di posa uniformi, più pratici per la costruzione del muro e soprattutto delle torri. Queste sono rare nelle città del primo sistema, la posizione elevata permettendo una visibilità maggiore; sono al contrario assai frequenti nelle città in piano, come ad es., nelle città dell'Egitto e della Mesopotamia, nella Cartagine punica, a Pánakton nell'Attica a Pesto nella Magna Grecia, a Fondi nella Campania.
In alcune città dell'Oriente si usava ancora nell'età classica il sistema, che si riscontra nelle mura di Khorsabad, e che troviamo descritto nell'Iliade per le fortificazioni dei Greci dinnanzi a Troia: sopra uno zoccolo di pietre informi (alto da 1 a 2 metri) si tiravano su due cortine parallele di mattoni crudi o di pietre tagliate alla distanza voluta per la larghezza del muro, e lo spazio intermedio si riempiva con terra pilonata, frammista a sassi; gli angoli e le torri erano formati di soli blocchi. Così appaiono costruite le mura di Mantinea, dopo la distruzione del 385 a. C.
In Egitto e in Mesopotamia le città erano circondate da mura, ma di esse abbiamo ben pochi avanzi superstiti. Delle mura di Cartagine abbiamo la descrizione in Appiano; particolarmente importante era il tratto di esse che proteggeva la città dalla parte di terra: esso presentava un triplice ordine di difese: il muro vero e proprio costituiva la terza difesa. Era alto 30 braccia (m. 13,32) senza i merli e le torri, e aveva 30 piedi (m. 8,88) di larghezza; nel suo spessore erano ricavati due piani di ambienti, destinati quelli in basso a stalle per gli elefanti, quelli in alto a magazzini, caserme, ecc. Lungo la cortina, alla distanza di due pletri (m. 59,20) l'una dall'altra, erano torri dominanti le mura.
Fra le città greche saldamente fortificate vanno ricordate, oltre Atene, il Pireo, Eleusi, Sunio, Figalia, Alea, File, Olimpia, Pánakton, Messene e Ramnunte. Fino a Pericle le mura erano costruite di preferenza in opera poligonale, mentre da Pericle in poi si preferì l'opera isodoma, che divenne sempre più elegante e accurata; particolarmente interessanti sono le mura dell'antica città di Pánakton (Gyftokástro) che si conservano ancora per notevole altezza, con frequenti torri rettangolari, costruite con un sistema di opera quasi quadrata, più irregolare nelle mura e più esatto nelle torri, collocate a distanza di circa 40 metri una dall'altra e sporgenti 5 metri.
Anche le mura di Messene, innalzate nel 371 a. C., si conservano in qualche punto fino all'altezza dei merli e presentano larghe porte, già coperte con architravi in piano, e blocchi tagliati con estrema cura, secondo assise orizzontali, con una sola cortina di 2 metri di spessore.
Le lunghe mura di Atene, costruite da Temistocle, hanno in alcuni punti una fondazione fatta di frammenti di pietra uniti con calce, che è forse il primo esempio del genere, adoperato per ovviare allo stato acquitrinoso del sottosuolo. Fino dal sec. VI si trova il principio di collegare i blocchi fra di loro per mezzo di grappe di legno o di bronzo, sistema che diviene poi più frequente nell'età ellenistica.
Nell'opera quadrata i Greci usavano varî modi di disporre i blocchi: 1. tipo isodomo: con filari tutti di eguale altezza e spessore, generalmente su due cortine, riempite nel mezzo con materiale vario e collegate talvolta con lunghi blocchi trasversali; 2. pseudo-isodomo: con filari di altezze disuguali, ma uniformi per ogni filare; 3. diatono: muro composto di una sola cortina, con blocchi che occupano tutto lo spessore del muro; 4. pseudo-diatono: una sola cortina, ma con blocchi che si alternano per testa e per taglio, cioè un filare con blocchi che vanno da una parte all'altra, e un altro filare con due blocchi affiancati nel senso della lunghezza. Il secondo e il terzo tipo sono preferiti nell'età classica fino a tutto il sec. IV a. C.; il primo tipo si trova maggiormente usato nell'età ellenistica e il quarto nell'età repubblicana a Roma.
I primi esempî di città fortificate sul suolo italico si riscontrano in Etruria, dove, però, l'opera dell'uomo si limitò quasi sempre ad adattare le condizioni della natura, che si prestava molto bene a uno scopo difensivo: qui infatti si trovano spesso colline con le sponde quasi a picco e accessibili solo da un lato, circondate da fiumi che formano fossati naturali, con a fianco una collina più alta e più piccola, sulla quale veniva stabilita l'acropoli. Veio è uno degli esempî più caratteristici di questo genere di fortificazione naturale, dove il lavoro dell'uomo si limitò soltanto a rendere più aspre le pendici e a munire gli avvallamenti e i punti più deboli. Altri esempî sono Castel d'Asso, Cerveteri, Fiesole, Vetulonia, Cortona, e sul suolo latino Ardea, città quanto mai interessante sotto questo riguardo.
In modo assai differente furono costretti ad affrontare il problema i popoli della Magna Grecia e della Sicilia, dove le città erano quasi sempre in terreno pianeggiante, o appena in declivio: due esempî basterà citare per tutti: Pesto e il Castello Eurialo a Siracusa.
La città di Pesto è interamente in piano, vicino al mare, in terreno piuttosto paludoso. Le mura somigliano molto a quelle di Pánakton in Attica, costruite in opera isodoma, con due cortine laterali, riempite di terra e munite di frequenti torri quadrate: solo le porte erano fortificate con torri rotonde. Nelle mura si notano tre periodi: il greco, il lucano e il sannitico; l'aggere appartiene al secondo periodo, e fu aggiunto all'esterno del muro greco secondo la moda italica; le porte furono tutte restaurate nel terzo periodo e specialmente la porta Sirena.
Il Castello Eurialo, a pochi chilometri da Siracusa, fu eretto da Dionisio, signore di quella città, tra il 402 e il 397 a. C. sulla collina di Epipole, punto strategico di primaria importanza per la difesa del territorio siracusano; comprendeva una serie di fossati e di muri, collegati per mezzo di camminamenti interni scavati nella roccia, e rinforzati con torri e bastioni ad angoli sporgenti e rientranti; un muro di quasi 5 chilometri di lunghezza riuniva il colle Eurialo con la città bassa (v. fortificazione, XV, p. 736, figg. 20, 21).
In Italia una questione grave, dal punto di vista cronologico, è quella delle mura poligonali. Nel centro della penisola si trovano numerose città fortificate in questo modo, città che la mancanza di fonti storiche non ci permette di studiare e datare in modo sicuro, almeno nella fase di origine. Tra le più antiche sono probabilmente: Cori, Alfedena, Roselle (presso Grosseto), Saturnia, Populonia, Vetulonia, Artena, Segni, Bellegra e Arpino; tra le più recenti: Norma, Sezze, Circei, Alatri, Ferentino, Veroli e Fondi. In un periodo intermedio si debbono collocare: Amelia, Palestrina, Terracina, Aquino e Alba Fucense.
Di fronte a quelle mura colossali, sforzo immane di più generazioni, spinte dalla necessità di una solida difesa - quando, e contro chi, non sappiamo - si rimane meravigliati, pensando a un tale lavoro, eseguito con gli scarsi mezzi tecnici di allora, ed eccellente dal punto di vista strategico, talvolta a più anelli concentrici, con torri di segnalazione poste nei luoghi più eminenti e con porte ben difese da stretti passaggi e da rinfianchi laterali.
Le cinte poligonali non hanno il fossato all'esterno delle mura, perché sono situate quasi sempre sulle cime delle colline; il fossato è invece necessario nelle città in pianura o in leggiera collina. Prendiamo l'esempio dal Muro Serviano di Roma, quel muro che ormai tutti gli archeologi sono d'accordo nel datare alla prima metà del secolo IV a. C., subito dopo l'incendio gallico (390 a. C.).
Era costituito da un muro, del perimetro di circa 11 chilometri, formato di blocchi di tufo cavato nelle vicinanze di Roma, con filari disposti a strati alterni, uno per lungo e uno per largo. Il muro reggeva al di dietro un terrapieno largo 30 m. e alto 9, il quale digradava verso l'interno, sostenuto da un altro muro di minore spessore e di tufo più friabile, detto "cappellaccio". Dinnanzi al muro era scavata una fossa, larga 100 piedi, cioè quasi 30 metri, e profonda 30 piedi. In origine non vi erano torri; per eccezione ve ne furono aggiunte alcune più tardi, come vi furono aggiunte alcune piazzole, protette da archi, per l'impianto delle macchine da guerra.
Il Muro Serviano restò in efficienza almeno fino al tempo delle guerre italiche, e fu allora rinforzato con speroni e rinfianchi. Quattordici porte si aprivano in tutto il recinto, generalmente situate nelle insenature fra un colle e l'altro, ma neppure una ce ne è rimasta intera, quella che si trova sotto il palazzo Antonelli a Magnanapoli essendo piuttosto una finestra che una porta.
Le mura di Pompei hanno molta somiglianza con le mura di Roma (e sotto alcuni punti di vista anche con quelle di Pesto), e anche là le torri furono aggiunte dopo, nell'età delle guerre sociali; si componevano di tre piani: il primo, al livello del fossato esteriore, per il corpo di guardia; il secondo, al livello del cammino di ronda, destinato alle macchine da guerra pesanti, e il terzo a dominio della campagna, in cui prendevano posto gli arcieri.
Queste mura perdettero gran parte della loro importanza con la pace data al mondo da Augusto; tuttavia troviamo molte città che vengono fortificate proprio in questo periodo: Fano, Spello, Rimini, Spoleto, Aosta (Augusta Praetoria) e Torino (Augusta Taurinorum) acquistano proprio allora una potente fortificazione, di cui abbiamo ancora, specialmente a Fano, Spello e Aosta, resti notevoli.
Il muro di Aosta è tutto eseguito in pietra squadrata, assai dura, disposta su due cortine, ciascuna dello spessore di oltre 2 metri, riempite nel mezzo con ciottoli misti a calce; ogni 14 metri si trovano dei contrafforti per legamento delle due parti e ogni 150 metri, in media, delle poderose torri quadrate. Mirabile è la porta praetoria, con dopppio fornice, intramezzato da un'ampia corte per il corpo di guardia, e con fornici laterali più piccoli per il passaggio controllato dei pedoni.
Il bisogno di dare una salda fortificazione alle città comincia a farsi sentire di nuovo dalla fine del sec. III d. C. Roma è la prima, come capitale, e vi provvedono gl'imperatori Aureliano e Probo fra il 272 e il 279 con una nuova cinta, adeguata allo sviluppo che la città aveva assunto durante l'impero (figura 47). L'uso ormai secolare del mattone facilita la costruzione e permette di adattare meglio il tipo di difesa alle esigenze del terreno: il muro ebbe generalmente un'altezza di 26 piedi (m. 7,80) e si compose di un basamento di opera a sacco, largo da m. 3,50 a 4, di una cortina di mattoni con sopra un cammino di ronda scoperto e riparato verso l'esterno da un murello merlato. In alcuni tratti il passaggio fu coperto con una galleria a vòlta, illuminata da grandi arcate verso l'interno e da strette feritoie verso l'esterno, per gli arcieri; ciò si nota specialmente fra la porta Salaria e la porta Pinciana, con lo scopo forse di facilitare l'afflusso delle truppe e delle macchine da guerra nei luoghi particolarmente esposti agli assalti nemici.
Per completare la difesa, ogni 100 piedi (m. 29,60) furono innalzate massicce torri quadrate, collegate col muro stesso e fornite di una camera superiore coperta, al livello del cammino di ronda, entro la quale erano collocate le arcubalistae, due in ogni torre, disposte negli angoli in corrispondenza delle fenestrae maiores forinsecus.
Questo tipo di fortificazione fu poi adottato in tutto l'impero, di fronte alla minaccia delle invasioni barbariche e fu perfezionato prima da Costantino e poi da Arcadio, Teodosio e Onorio, sotto la direzione di Stilicone.
Fra la fine del sec. III e il principio del IV tutte le città più importanti dell'impero vengono di nuovo fortificate e soprattutto quelle di confine, e quelle del settentrione d'Italia, Pola, Aquileia, Verona, Milano, Torino, ecc. In Oriente si fanno notare: Costantinopoli, che ha le mura molto simili a quelle di Roma, Tomi (Costanza) sul Mar Nero, la civitas Tropaeensium, presso il Tropaeum Traiani di Adam-Clisi, e in Asia Minore, Eliopoli, Palmira, Gerasa, ecc.
Sul limes germanico restano ancora molti avanzi di città e accampamenti fortificati, con torri e porte, alcune delle quali di carattere monumentale, come la Porta Nigra di Treviri (v.).
Mura e torri costruite con concetti monumentali troviamo ancora a Colonia, dove gli architetti tentarono anche di fare della policromia costruttiva, mediante l'impiego di varî materiali posti a disegno; in Ratisbona, dove sono poderose mura di grandi blocchi calcarei, protette da torri rotonde, ecc.
Avanzi di mura si osservano inoltre nelle città della Gallia meridionale e della Spagna; con minore frequenza in Africa, dove il pericolo di un'invasione nemica in questo tempo era reso difficile dal mare interposto fra i due continenti, mentre ancora l'elemento indigeno non dava segni troppo pericolosi di ribellione alla potenza romana.
Molto spesso per la costruzione di queste mura furono distrutti edifici più antichi, sia perché recavano impedimento alla difesa, sia perché faceva comodo prenderne il materiale da costruzione; ed essendo questi monumenti più prossimi alle mura i sepolcri, fra i blocchi adoperati nelle cortine e nelle porte si osservano molti frammenti d'iscrizioni funerarie, di cornici e di sculture decorative.
Medioevo ed età moderna. - Durante tutto l'alto Medioevo le cinte murate conservano ancora le stesse caratteristiche costruttive di quelle romane. Le torri a faccia squadrata verso l'interno delle mura si alternano alle cortine.
Il processo di frazionamento del potere sviluppatosi dal sec. X al XIII conduce all'abbandono delle fortificazioni cittadine sicché alle città munite si sostituiscono i castelli e talvolta anche le chiese e i conventi. Firenze e Roma non seguono però questa tendenza; sappiamo infatti come in Firenze tre recinti di mura fossero edificati dal 600 al 1298, anno in cui fu completato il recinto iniziato da Rolandino da Canossa. A Roma i pontefici, a cominciare da Gregorio II e Gregorio III, che restaurarono le Mura Aureliane, non cessarono fino al Rinascimento di consolidare le mura esistenti e di elevarne di nuove.
Con il sorgere delle libertà comunali e con il declinare del feudalesimo si riprende a fortificare le città edificando nuove mura o adattando le vecchie ai mutati sistemi di difesa e di offesa; è da questo periodo che l'architettura militare, fin qui ligia ai tipi classici, comincia ad assumere aspetti proprî e caratteristici. Così l'aggetto delle torri dal recinto viene aumentato affinché l'intero fronte delle cortine entri nel raggio di azione delle feritoie aperte nelle torri; le muraglie vengono scarpate, seguendo un criterio costruttivo di cui l'uso si comincia a diffondere fin dall'inizio del secolo XIII. La zona basamentale e inclinata delle mura detta scarpa risponde alla funzione di sostenere il terrapieno interno alla cinta; il quale diviene ogni giorno più necessario per contrastare alla crescente efficienza dei mezzi offensivi; le stesse vecchie cinte murate vengono anzi ridotte a questa forma.
Così nel 1333 si procede al terrapienamento delle mura di Monza e di altri centri minori finché all'inizio del sec. XV la diffusione dell'uso delle artiglierie richiede la rapida trasformazione delle mura di Casalmaggiore, Bologna e Firenze cui seguono Pesaro nel 1461; Brescia nel 1466 e Forlì per opera di Pino degli Ordelaffi nel 1471-72. La scarpata era alta generalmente un terzo delle mura; nella linea di raccordo tra la scarpa e la cortina perpendicolare comincia a ricorrere il cordone, sorta di guscio in pietra fortemente aggettante di cui l'uso si diffonde vieppiù fino al Rinascimento.
Nei secoli XIV e XV cominciano ad apparire le prime torri cilindriche e poligonali: così nei castelli di Lucera e Cascina, nelle mura di Como e in quelle di Viterbo, opera questa caratteristica del periodo svevo. Queste torri poligonali, comprese quelle a pianta quadrata, presentano il saliente rivolto alla campagna secondo un criterio raccomandato da Francesco di Giorgio Martini.
Col sec. XIV l'uso delle torri pentagonali si diffonde ancora; in questo periodo ne appaiono a Civitavecchia, Ancona, Camerino, Bologna, Pesaro, Pisa, Modena, Parma, Casale e Alba. Successivamente attraverso un lento processo evolutivo la torre pentagonale si tramuterà in baluardo.
Il continuo perfezionarsi delle armi da fuoco richiede però altre trasformazioni radicali, trasformazioni che conducono all'ingrossamento delle sezioni, ma soprattutto al livellamento delle torri al piano medesimo delle cortine e al rafforzamento delle coperture negli ambienti interni delle torri con la sostituzione dei solai in piano con vòlte in maniera che le terrazze possano essere utilizzate quali piazzole per le artiglierie. Spesso si arrivò anche a colmare con terra l'intera torre: così a Orléans durante l'assedio del 1428. Al livellamento delle torri si provvide anche nelle opere già esistenti; così a Pisa nel 1511, a Prato nel 1528, a Firenze nel 1526.
In seguito a queste successive trasformazioni le forme architettoniche tipiche del Medioevo vengono definitivamente abbandonate. Comincia inoltre lo studio degli architetti per rendere le mura più aderenti alla configurazione planimetrica del terreno sicché anche gli schemi di mura ad andamento geometrico, simile e concentrico al perimetro del castello, cadono in disuso.
Si giunge così sino al pieno Cinquecento quando Michelangelo eseguendo la cinta murata di Firenze (1529), a sostegno del terrapieno, con mattoni di argilla cruda impastata con paglia, dà prova di aver afferrato come l'indeformabilità dei muri ai colpi delle armi da fuoco fosse la causa prima della loro rovina.
L'ancora aumentata efficienza delle artiglierie ridusse vieppiù l'importanza delle mura di cui l'uso andò rapidamente perdendosi; esse furono sostituite da piazzeforti indipendenti disposte secondo piani organici a difesa degli agglomerati urbani e dei centri strategici. Queste opere ebbero altezze limitate in maniera da ridurre il bersaglio e per neutralizzare per quanto fosse possibile l'effetto dei proiettili sulle cortine, le quali furono scarpate dal piede alla sommità.
Bibl.: R. Cagnat, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, III, ii, p. 2048 seguenti; W. Wrede, Attische Mauern, Atene 1933; L. Mauceri, Il castello Eurialo nella storia e nell'arte, Roma 1928; G. Säflund, Le mura di Roma repubblicana, in Acta Inst. romani Regni Sueciae, I, Lund 1932; J. A. Richmond, The City Wall of imperial Rome, Oxford 1930; A. Maiuri, Studi e ricerche sulla fortificazione di Pompei, in Monumenti Lincei, XXXIII (1930), p. 113 segg.; e per l'età medievale e moderna; A. Guglielmotti, Vocabolario marino e militare, Roma 1889; E. Rocchi, Le fonti storiche dell'architettura militare, Roma 1908. V. anche fortificazioni.