muri
s. m. pl. – La costruzione di m. o barriere di separazione ha tradizionalmente caratterizzato la storia umana (tra quelli più rappresentativi la grande muraglia cinese o il vallo di Adriano). Nonostante la grande euforia che ha accompagnato l’abbattimento del muro di Berlino (1989), che sembrava dover significare la scomparsa di tutti i m., questi manufatti continuano a essere una realtà anche del nuovo secolo. In alcuni casi si tratta di semplici persistenze, ovvero eredità del 20° secolo rispetto alle quali non si segnalano cambiamenti di rilevo. È questo il caso della zona smilitarizzata che separa, dal 1953, la Corea del Nord e la Corea del Sud lungo il 38° parallelo; delle barriere che separano i quartieri cattolici da quelli protestanti nella città di Belfast fin dal 1969; del muro di sabbia costruito, a partire dal 1980, dal Marocco all’interno del territorio del Sahara occidentale, conquistato nel 1975 e da allora rivendicato dal popolo saharawi. In altri casi, tali persistenze hanno fatto registrare, dopo il 2000, cambiamenti significativi. Il 1° maggio del 2004, per esempio, giorno dell’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, è stato abbattuto il muro (una barriera in filo spinato) che separava la città di Gorizia da quella slovena di Nova Gorica, eretto nel 1947, nella piazza antistante la stazione ferroviaria della Transalpina. Successivamente, con l’adesione della Slovenia agli accordi di Schengen nel 2007, il confine tra Italia e Slovenia si è aperto definitivamente, con l’abolizione di tutti i controlli di frontiera. Nella piazza della Transalpina, al posto del muro è stato composto un mosaico circolare attraversato da una fila di pietre che rende la linea di confine ormai solo un segno grafico sulla pavimentazione della piazza. Un altro muro rispetto al quale si sono registrati importanti cambiamenti dopo il 2000 è quello che divide l’isola di Cipro tra la Repubblica turca di Cipro Nord e la Repubblica di Cipro. Si tratta, in realtà, di un’area smilitarizzata istituita dall’ONU nel 1974, dopo l’intervento militare dell’esercito turco che portò alla proclamazione della Repubblica turca di Cipro Nord. L’area occupa una superficie di circa 350 km2 e si estende lungo 180 km, attraversando anche la città di Nicosia, capitale della parte greco-cipriota. I primi interventi tesi a rendere possibili i contatti fra le due zone sono stati compiuti nel corso del 2003, con l’apertura di quattro valichi, pedonali e automobilistici: dopo circa trent’anni, greco-ciprioti e turco-ciprioti hanno visto cadere le restrizioni che ledevano la loro libertà di movimento all’interno dell’isola. Nel corso degli anni successivi, la politica di apertura è continuata. Non l’hanno bloccata né il fallimento del referendum svoltosi nel 2004, che ha significato la bocciatura del piano di riunificazione proposto dall’allora segretario dell’ONU Kofi Annan, né l’ingresso della Repubblica di Cipro nell’Unione Europea. Altri tre varchi sono stati aperti, nel 2005, nel 2008 e nel 2010; la tappa più importante e significativa è stata quella del 2008, con l’apertura del valico di Ledra street all’interno del centro storico di Nicosia. Oltre alla rimozione totale o parziale di m., si sono verificati anche casi di rafforzamento di misure di protezione esistenti, come è accaduto nelle enclave di Ceuta e Melilla, gli ultimi avamposti spagnoli nel continente africano, ovvero in territorio marocchino. Per ostacolare i flussi migratori illegali da qui diretti verso l’Europa, negli ultimi anni del 20° secolo è stata costruita una barriera di separazione con il Marocco (lunga 8 km a Ceuta e 12 a Melilla). Nel 2005, dopo un tentativo di massa di superare la barriera, essa è stata elevata da tre a sei metri d’altezza; le strutture sono sorvegliate con un’illuminazione ad alta intensità coadiuvata da strumenti agli infrarossi che permettono la visione notturna, posti di vigilanza, filo spinato, videocamere a circuito chiuso, camminamenti che permettono il passaggio di veicoli per la sicurezza e cavi posizionati sul terreno collegati a sensori elettronici acustici e visivi. Sempre allo scopo di fermare flussi migratori indesiderati è stata edificata, a partire dal 1994, la barriera di separazione che interessa circa 1000 dei 3000 km del confine tra Stati Uniti e Messico. Essa è stata oggetto di particolare attenzione soprattutto da parte dell’amministrazione Bush. I fondi stanziati nel 2005 per dotarla di un sistema di sorveglianza particolarmente sofisticato sono stati però bloccati nel 2010 dal governo Obama, poiché considerati troppo onerosi; inoltre, nelle zone dove questi sistemi erano stati installati la resa non è stata efficace. Tuttavia, anche senza tali sistemi, la barriera rimane difficile da superare e, per questo, i migranti seguono percorsi più accidentati. Ne è derivato un aumento del numero di coloro che muoiono nel tentativo di attraversarla a fronte di una crescita costante del flusso migratorio. L’immigrazione clandestina di nord-coreani verso la Cina ha iniziato a essere una realtà significativa già durante l’ultimo decennio del 20° secolo, alimentata soprattutto dalla grave carestia che ha colpito la Corea del Nord nel 1995. Al fine di porre un freno a questo flusso migratorio, la Cina ha avviato, nel 2006, la costruzione di una recinzione, per lo più in filo spinato, in corrispondenza del tratto di confine segnato dal fiume Yalu più facilmente attraversabile per via della distanza ridotta tra le due rive o per la scarsa profondità delle acque. La barriera interessa, tra l’altro, la zona della città di Dadong (Yunnan), in prossimità dello sbocco del fiume nel Mar della Cina, ma la sua estensione copre una porzione esigua del lungo confine sino-coreano, circa 1300 km che corrono lungo il corso dello Yalu (circa 800 km) e del fiume Tumen (circa 500 km). Nel 2003, una rete d’acciaio elettrificata lunga più di 500 km è stata costruita lungo il confine tra Botswana e Zimbabwe. Il governo del Botswana ha giustificato la costruzione della barriera con la necessità di evitare lo sconfinamento delle mandrie provenienti dallo Zimbabwe, accusate di aver favorito la diffusione dell’epidemia di afta epizootica, scoppiata proprio nel 2003. Le ragioni contingenti legate a questo evento sono tuttavia da valutare all’interno di un quadro più complesso di relazioni tra i due stati confinanti. Si tratta di realtà sociali ed economiche profondamente diverse: da un lato i quasi 2 milioni di abitanti del Botswana, tra i più ricchi del continente africano (16.000 $ il PIL pro capite nel 2011); dall’altro lato i 12 milioni di abitanti dello Zimbabwe, tra i più poveri del continente e anche del mondo (500 $ il PIL pro capite nel 2011). Inevitabile, in tali condizioni, lo sviluppo di un flusso migratorio attratto verso le città e le miniere del Botswana. In un contesto di conflitto politico prima che sociale si inserisce la decisione del governo israeliano di costruire la barriera che separa la Cisgiordania da Israele. Iniziata nella primavera-estate del 2002 ha visto reaIizzarsi il 70% degli oltre 700 km progettati. Il tracciato del muro non segue la Linea verde dell’armistizio, fissata nel 1967, ma è spostato per la quasi totalità del percorso all’interno della Cisgiordania; seguendone le sinuosità è evidente il suo obiettivo di separare le colonie ebraiche, soprattutto quelle più numerose, dai territori abitati dai palestinesi. Al termine della costruzione, il muro finirà per racchiudere due enclave palestinesi, una a nord, l’altra a sud di Gerusalemme; sarebbe così rafforzata la contiguità territoriale tra Israele e il resto del territorio della Cisgiordania a maggioranza ebraica. Da parte governativa israeliana si sottolinea con estrema fermezza il valore difensivo della barriera e si è continuato a costruirla anche dopo la sentenza della Corte internazionale di giustizia dell’Aia che ne ha negato la legittimità e imposto la rimozione (2004). Israele ha sempre sottolineato la mancanza di un progetto politico connesso alla barriera, ma non possono essere negate né la potenza del suo impatto, né le conseguenze che ne derivano in termini di riorganizzazione territoriale. La costruzione del muro, per esempio, ha già determinato la confisca di migliaia di ettari di terre palestinesi; inoltre molti villaggi sono stati isolati dalle altre comunità e numerosi sono i casi in cui il muro ha separato le abitazioni dai terreni agricoli, primaria fonte di sostentamento.