Multiculturalismo
Convivenza di culture diverse
In senso generale il termine multiculturalismo fa riferimento a una realtà sociale caratterizzata dalla compresenza di varie comunità dalle origini, abitudini, e cultura differenti. In senso specifico, indica le politiche intraprese da alcuni Stati nazionali per limitare le disuguaglianze tra i diversi gruppi etnici e per valorizzare lingue, credenze e stili di vita
Il termine multiculturalismo descrive una situazione in cui sono contemporaneamente presenti gruppi di persone di origini, tradizioni e culture differenti. Possiamo parlare, per esempio, di città multiculturali: Parigi, Roma, Londra sono tali perché in esse vivono, accanto a quelle europee, comunità originarie dell’Africa, dell’America, dell’Asia e persino dell’Oceania. Un mercato multiculturale è quello in cui si trovano persone e prodotti provenienti da tante e diverse parti del mondo: prodotti dell’artigianato andino sono posti a fianco di maschere africane, cibi tipici delle varie regioni italiane affiancano frutti esotici.
Scuole multiculturali caratterizzano molte nostre città e paesi, di piccole e grandi dimensioni: è frequente che i ragazzi italiani abbiano compagni di banco marocchini, albanesi, senegalesi, cinesi e così via.
Il multiculturalismo non è un fenomeno nuovo, anche se negli ultimi anni ha conosciuto un forte sviluppo, in seguito alla crescita dei movimenti migratori. L’antica Roma, Costantinopoli, Venezia – per limitarci agli esempi che ci sono più noti – erano città multiculturali già molti secoli fa.
Il termine multiculturalismo indica in un significato più specifico quelle politiche (costituzioni, leggi, regolamenti e altro) praticate da alcuni Stati nazionali al fine di dare dignità e pubblico riconoscimento alle minoranze culturali e linguistiche presenti sul loro territorio.
In Stati come il Canada e l’Australia (v. anche Australia, storia della), in cui vivono popolazioni aborigene (questo termine significa che esse erano presenti sul territorio «fin dalle origini») perseguitate al tempo del colonialismo, esistono oggi leggi che non solo riconoscono l’importanza delle lingue e delle culture native, ma riservano a coloro che fanno parte di queste minoranze particolari diritti di accesso a lavori e finanziamenti pubblici. In Italia una regione come il Trentino-Alto Adige riconosce come lingue ufficiali l’italiano, il tedesco e il ladino e stabilisce che esse vengano insegnate nelle scuole e possano essere utilizzate negli uffici.
I sostenitori delle politiche multiculturali ritengono che, in alcune circostanze, a fianco dei diritti universali degli individui (libertà di culto, di voto e così via) vadano riconosciuti particolari diritti a minoranze etniche svantaggiate.
«L’essere umano – ha scritto l’antropologo Clifford Geertz – inizia la propria esistenza con le potenzialità di vivere mille tipi di vita, ma finisce, inesorabilmente, per averne vissuta una sola». Vivere in una società multiculturale è affascinante perché permette di immergersi in qualcuna delle altre 999 vite! Il rapporto con individui di altre culture ci porta a contatto con altri modi di essere uomini e donne, con altre consuetudini e lingue, in altri termini rende possibile sperimentare l’enorme ricchezza e varietà delle culture umane. Pensate per esempio al cibo: in una grande città possiamo assaggiare nei ristoranti etnici cibi e bevande originarie di ogni continente. Allo stesso modo, ci incuriosisce e ci affascina la varietà dell’abbigliamento.
Se poi non ci limitiamo a questi aspetti concreti e un po’ superficiali della diversità culturale e intrecciamo rapporti di amicizia con persone di diversa origine, verremo a contatto con le loro storie di vita, con la loro visione del mondo. Scopriremo così che, diversi per culture e lingue, gli esseri umani hanno un insieme di problemi, sogni, progetti che li rendono quanto mai simili e partecipi di un mondo comune.
Nascendo e crescendo in una specifica cultura, gli esseri umani acquisiscono abitudini particolari. Essi finiscono spesso per considerare naturale, razionale, migliore la propria cultura e per giudicare irrazionale, barbaro e incomprensibile il modo in cui vivono gli altri. Gli antropologi definiscono tutto ciò etnocentrismo, letteralmente il porre sé stessi e la propria cultura al centro del mondo. L’etnocentrismo produce atteggiamenti che vanno dall’indifferenza all’intolleranza, fino a forme estreme come la violenza o il tentativo di respingere o eliminare gli altri (genocidio).
Nelle società multiculturali si riscontrano spesso conflitti tra i vari gruppi che si manifestano non solo a causa delle diverse abitudini, culture o religioni ma, per lo più, per motivi di natura economica. In molti paesi le popolazioni aborigene furono private delle loro terre al momento del colonialismo e i loro discendenti sono ancora oggi emarginati da un punto di vista economico. Allo stesso modo, le comunità di migranti hanno spesso molte più difficoltà di accesso alle risorse rispetto alle comunità locali. I conflitti per le risorse materiali (posti di lavoro, accesso a fondi pubblici) e immateriali (diritto a usare la propria lingua, a formulare programmi scolastici e così via) sono spesso molto forti. Le politiche multiculturali tentano di rimediare a queste disuguaglianze e di limitare i conflitti.
Posti davanti alla necessità di far convivere gruppi di cultura differente, gli Stati nazionali hanno adottato nel tempo vari atteggiamenti. Le politiche dell’assimilazione consistono nel tentativo, operato dalla cultura dominante, di assorbire i gruppi subordinati, facendo sì che, nel corso di un paio di generazioni, questi ultimi assumano le abitudini, la lingua, la cultura del paese di adozione.
All’opposto, le politiche della segregazione consistono nel tentativo di mantenere separati i gruppi, costruendo per esempio quartieri (pensate ai ghetti) e scuole per le varie minoranze etniche. A lungo la Repubblica Sudafricana praticò l’apartheid: bianchi e neri erano rigidamente separati e, ai neri, era proibito frequentare persino i ristoranti o gli autobus su cui viaggiavano i bianchi!
Le politiche della fusione o del melting pot (un termine che significa «crogiuolo» o «pentolone») tendono a incoraggiare l’amalgama, il mescolamento tra le varie culture, al fine di produrre una società originale che scaturisce proprio dalla presenza di una notevole varietà di gruppi. Infine, come abbiamo detto, le politiche multiculturali riconoscono importanza e dignità alle varie comunità presenti sul territorio.
Alcuni studiosi ritengono che il concetto di interculturalismo sia oggi preferibile a quello di multiculturalismo. Parlare di intercultura (ritroviamo questo termine in espressioni come educazione interculturale, oppure comunicazione interculturale) significa riferirsi a una situazione in cui i vari gruppi etnici presenti su un territorio sono invitati al dialogo, allo scambio, alla contaminazione delle loro lingue, abitudini, culture. L’interculturalismo consente di superare alcuni difetti delle politiche multiculturali, quali la tendenza a mantenere fissi i confini tra i vari gruppi, a pensare che le culture siano delle entità rigide che permangono uguali a sé stesse nel trascorrere del tempo.
Anche se si propone di conferire dignità alle varie culture, il multiculturalismo rischia infatti di rafforzare le differenze e di rendere ancora più difficile il dialogo tra le comunità. Al contrario, un approccio interculturale sottolinea l’apertura, le connessioni, la capacità di mutamento che ogni cultura possiede in sé stessa. A ben vedere in effetti, le culture umane non sono delle realtà originali, autentiche, che si trasmettono immutate nel tempo con il succedersi delle generazioni: in ogni cultura ci sono abitudini, modi di comportarsi, concetti e termini presi a prestito da altre epoche e altre società. Si potrebbe dire con uno slogan che noi siamo fatti di altri: l’intercultura sottolinea proprio questa dimensione di scambio e mescolamento tra le varie culture e in questo si distingue dal multiculturalismo.